Capitolo Trentaquattro

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La battaglia continuava. E più continuava, più Larenc si chiedeva se la stessa figura di Solean non fosse un'illusione. Davvero avrebbe permesso che i Tesrat vincessero Fersenvar? Avrebbero liberato un fronte, dopo tutti quegli anni in cui il sangue di entrambi gli eserciti, il sangue di tutti quegli Ember, era stato sparso inutilmente su quelle scogliere acuminate?

Che l'Imperatore avesse davvero dato a lui e a Solean il compito di mettere fine a quella guerra, spingendoli ad andare l'uno contro l'altro? E per quanto quella farsa – quell'illusione – avrebbe potuto andare avanti, prima che venissero scoperti? La divisione dei fronti avrebbe avuto vita breve. In totale, erano cinque. Se anche Larenc avesse ceduto Revhely in cambio del fronte del Vuoto, il fronte Sud sarebbe rimasto un terreno di battaglia. L'unica via per la pace era la guerra. Questo Larenc credeva.

Tornò a concentrarsi sulla battaglia, perdendo di vista Solean. L'orso che era scomparso di fronte a lui, dopo la morte del Comandante Barnamed, comparve di nuovo. Larenc ebbe appena il tempo di chiedersi come fosse possibile, prima di ricordarsi il contenuto del rapporto che lui stesso aveva scritto e consegnato all'Imperatore pochi giorni prima. Ciò che aveva scoperto nel Vuoto.

Se un Djabel muore, diventa illusione, ripeté Larenc, nella sua mente, Se l'illusione si corrompe, diventa mostro. Se il mostro muore, torna illusione. Se l'illusione si distrugge, compare il corpo del Djabel.

Se invece non si dava tempo alla prima illusione di corrompersi e di unirsi a un'altra a formare un mostro, nulla sarebbe successo. Sarebbe semplicemente svanita.

L'orso che aveva di fronte ora era un'illusione realistica. Sapere questo non lo aiutava a stare calmo. Larenc imbracciò il fucile, e prese la mira, mentre l'animale si avvicinava. Un colpo sarebbe bastato, forse?

Tutto ciò che poteva fare era tentare, mentre innumerevoli altre illusioni e Yksan attaccavano i suoi uomini e quelli delle squadre a lui vicine.

Non ci mise molto a capire che non avrebbe fatto in tempo a fermare l'orso. Ormai era di fronte a lui. Presto le altre illusioni, diventate realistiche a loro volta, avrebbero attaccato, si sarebbero unite, sarebbero diventati mostri.

Larenc era tornato dal Vuoto sano e salvo, aveva scoperto il segreto sui mostri, ma questo non lo aiutava affatto. Al contrario, ora i mostri gli facevano ancora più paura.

«Ritirata!» sentì qualcuno urlare i suoi pensieri, «Squadra 825, ritirata!» riecheggiò quella voce.

«Tutte le squadre, ritirata!» tuonò un'altra voce.

Solo Larenc rimase fermo, come pietrificato, di fronte al grande orso. Le gigantesche zampe terminavano in artigli spessi, sporchi di terra e di sangue. Ogni passo compiuto dall'animale era un tuono, un terremoto, nella mente di Larenc.

Era qualcosa di invincibile. Era la paura. Nel momento esatto in cui la paura sarebbe dovuta svanire, per essere sostituita dall'adrenalina e dagli istinti.

Quando si mosse, balzando all'indietro, non fu per sua volontà. Qualcuno lo aveva spinto.

Endris Walturn.

Si era gettato in avanti, non più con il fucile e il nagyvet, ma con la pistola e il kixvet, che usò per pararsi il petto, malamente. Riuscì ad abbattere l'orso, che scomparve in una nuvola di polvere nera, e andò a unirsi alla sabbia del fronte del Vuoto.

«Padre...» balbettò Larenc. Ora era al centro del campo di battaglia, un cadavere imminente. E ancora, non si muoveva. Nemmeno le sue labbra si muovevano. Sembrava un incubo.

«Uomo a terra!» riuscì a gridare, pregando che qualcuno fosse abbastanza pazzo da tornare indietro, e aiutarlo.

Reagì quando era troppo tardi. Larenc sapeva che era troppo tardi, ma la disperazione fa fare strane cose. Alzò il nagyvet, proteggendo se stesso e il padre. Conficcò lo scudo nel terreno, e lo appoggiò alla schiena, rivolgendosi all'indietro, verso Walturn.

EmberWhere stories live. Discover now