Capitolo Cinquantadue

132 26 263
                                    

Appena Larenc e Kerol misero piede nell'atrio dell'Accademia, la porta che conduceva alla biblioteca si aprì. Ne uscì Loura, la quale, appena vide Larenc, gli venne incontro.

Solo dopo sembrò notare Kerol, e il sorriso sul suo volto lasciò il posto a un'espressione indispettita.

«Già fuori?» chiese, fingendo stupore, ancora senza rivolgersi a Kerol direttamente.

«L'ho liberata io.» la difese Larenc, «L'Imperatore non sembra aver avuto nulla da dire al riguardo.»

«Non fingerti tanto sorpresa.» intervenne Kerol, «Prima di tutto, non sei brava a farlo. E poi, so bene che hai letto interamente il libro del destino. Un particolare come questo non ti sarà certo sfuggito.»

Loura sorrise. «Già, non mi è sfuggito nulla di tutto questo.» disse, alludendo alla reazione che Kerol aveva appena avuto.

La giovane si morse il labbro, ferita nell'orgoglio. Era stata troppo impulsiva. Avrebbe dovuto capire che Loura aveva predetto anche la sua reazione. La odiava, tanto quanto odiava l'Imperatore, e tentava di convincersi che la causa non fosse la semplice gelosia.

Più la conversazione andava avanti, più ne era certa. La notte che Loura aveva passato con Larenc era un torto, ma il suo atteggiamento era una tecnica, studiata per farla soffrire.

«Non mi sono sfuggite neanche quelle.» Loura fece cenno alle manette attorno ai polsi di Kerol.

Istintivamente, la giovane fece per nascondere le braccia dietro la schiena. Ma, ovviamente, non poteva.

Allora fu Larenc a mettersi tra lei e Loura. «Hai scoperto qualcosa di nuovo, su Solean e Rozsalia?» chiese.

La domanda ferì entrambe – sembrava che il suo primo interesse fosse ancora Rozsalia. Ma Larenc sapeva ciò che stava facendo, ed era genuinamente preoccupato, sia per Rozsalia che per Solean.

Loura sospirò. «Ha incontrato il suo destino.» rispose, fredda, prima di superare i due senza poco più che un cenno della mano come saluto, ovviamente rivolto soltanto a Larenc.

Il giovane ebbe un colpo al cuore. Loura gli aveva parlato del destino di Solean, e di quello di Rozsalia, a esso collegato tramite un legame così stretto che era impossibile da spezzare. Accettare che non avrebbe mai più rivisto Rozsalia era stato facile, a suo tempo, ma sapere di non aver mai detto realmente addio a Solean, non sapere che l'ultima volta che lo aveva visto, sul campo di battaglia, lo aveva trattato come un nemico, lo feriva così profondamente da minacciare di fargli versare una lacrima di fronte a Kerol. E se avesse versato una sola lacrima, un fiume l'avrebbe seguita.

Ma non era questione di orgoglio. Non per lui. Vi era qualcuno, qualcuno che sapeva, qualcuno che aveva architettato tutto, qualcuno al quale non importava delle sue lacrime, ma che avrebbe saputo dire con mesi di anticipo quando e quante ne sarebbero cadute da ognuno dei suoi occhi, e per quale motivo. E quel qualcuno era l'Alto Imperatore. E Larenc cominciava a odiare quel qualcuno.

«Che cosa significa?» la domanda di Kerol – ripetuta forse per la terza volta, a giudicare dall'impazienza nella sua voce – lo svegliò dai suoi pensieri.

Si voltò a guardarla, per incontrare i suoi occhi del colore dell'ambra, ansiosi di ricevere una risposta.

«Rozsalia ha raggiunto Noomadel.» rispose Larenc.

«Bene,» sospirò Kerol, «Quindi ha raggiunto anche Solean.» Era un sollievo. Significava che non avrebbe più avuto notizie di Rozsalia.

Non le era mai piaciuta, ma sapeva che a lei era sempre piaciuto Solean, e il fatto che i due innamorati se ne fossero andati la rendeva felice. Alleggeriva il peso della solitudine che sentiva gravare su se stessa.

EmberDove le storie prendono vita. Scoprilo ora