05 - Confessions

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Prima di presentarmi nell’ufficio del professore decisi di tornare al dormitorio. Così, dopo pranzo, aprii la porta della stanza che condividevo con Laurel, mi lavai i denti, sistemai i capelli e il trucco. Era una cosa stupida, probabilmente. Anzi no, sicuramente lo era, ma cosa potevo fare? Ci tenevo ad essere presentabile (non che quella mattina non lo fossi, perché sapendo che avrei avuto una lezione con Styles avevo passato molto più tempo del necessario davanti allo specchio).
Guardai l’orologio. Erano le tre meno cinque minuti. Ero in anticipo.
Mi sedetti sulla panchina di legno in corridoio e aspettai. Poco, in realtà, perché lui arrivò quasi correndo un paio di minuti dopo e si fermò quando mi vide seduta di fianco al suo ufficio.
“Mary Jane!” Esclamò.
“Professore.” Dissi, alzandomi immediatamente dalla sedia. Automaticamente le mie mani cominciarono a lisciare il tessuto della gonna, per abbassarla in caso si fosse alzata quando mi ero seduta.
“Siamo in perfetto orario, vieni. Entra.”
Dopo aver cercato per qualche minuto in tutte le tasche, trovò le chiavi e aprì la porta del suo ufficio, lasciandomi passare per prima. Lo ringraziai e mi accomodai sulla sua poltrona.
“Il trucco del bicarbonato ha funzionato, grazie.” Disse poi, mostrandomi il taschino della camicia che stava indossando. Era la stessa che aveva macchiato di pomodoro la settimana prima.
Sorrisi e cercai disperatamente di non pensare a quello che c’era sotto la camicia. A quei tatuaggi che avrei voluto osservare da vicino, di cui avrei voluto tracciare i contorni con un dito. Alla sua pelle chiara e a quei muscoli lievemente definiti. Al profumo che doveva avere…
No, Mary Jane, basta. Decisamente basta.
“È una delle cose che mi ha insegnato mia madre.” Dissi. Lui annuì e sorrise.
“È una donna saggia.” Replicò. “Allora, Mary Jane, cosa mi hai portato oggi?” Domandò lui.
Improvvisamente diventai ancora più nervosa di prima, estrassi la chiavetta USB dalla tasca della mia borsa e la porsi al professore. Lui la inserì nella porta del suo computer e cominciò a leggere.
Era stato più difficile scrivere quel tema, perché sul foglietto che mi aveva dato c’era semplicemente scritto “viaggiare”, nella scrittura che ormai avevo imparato a riconoscere ovunque.
E per me viaggiare era bellissimo, era interessante. Mi piacevano le nuove avventure, mi erano sempre piaciute. Ma dopo anni e anni di trasferimenti, di nuove città, nuove scuole e nuovi amici, ero arrivata al punto in cui avevo voglia di fermarmi, di mettere le radici in qualche posto e rimanerci per un po’.
Styles lesse il tutto corrugando la fronte e una piccola ruga si formò tra le sue sopracciglia. Dio, era così bello quando era concentrato.
Approfittai del fatto che non mi stesse guardando per osservarlo di nascosto.
“Okay, vieni qui.” Disse dopo un po’. Mi ero così abituata al silenzio, interrotto solo dal suono delle sue dita sul trackpad del computer, che quasi mi spaventai.
Mi alzai e lo raggiunsi dietro la cattedra. Anche lui si alzò e mi lasciò sedere sulla sua sedia. Poi si sistemò di fianco a me, si abbassò leggermente e cominciò a mostrarmi alcune frasi sullo schermo.
Sentivo il profumo del suo dopobarba e a volte si avvicinava così tanto che i suoi capelli solleticavano la mia guancia. Ero consapevole della sua presenza di fianco a me al duecento percento e trovavo difficile concentrarmi su qualsiasi altra cosa.
“Ecco, guarda.” Appoggiò la sua mano sulla mia spalla e provai un brivido al contatto. La sua mano era calda e trovavo piacevole il suo peso sulla mia pelle. Sembrava che in quel punto fosse esploso qualcosa che provocava elettricità. “Questa parte, quella in cui esprimi la tua voglia di fermarti per un po’ e descrivi le sensazioni che hai provato quando hai capito che St. Louis era la città in cui volevi rimanere… questo è quello di cui sto parlando. Non c’è niente di freddo o di impersonale in questa parte di testo.”
Non c’era nulla di impersonale nemmeno nella sua mano sulla mia spalla. Sembrava che fosse stata fatta apposta per essere lì.
“Grazie.” Mormorai, abbassando lo sguardo sulle mie mani. Poi successe qualcosa. Il professore strinse leggermente la presa sulla mia spalla, forse come segno di incoraggiamento, ed io sentii un altro brivido, questa volta in tutto il corpo. Provai l’istinto di appoggiare la mia mano sulla sua, ma quello sarebbe stato davvero inappropriato e dovetti convincermi che non era una buona idea. Così, invece, cominciai a concentrarmi sull’orlo della mia gonna e cominciai a giocarci.
“Sei silenziosa, oggi.” Notò lui, ritraendo la mano e raddrizzandosi. Alzai lo sguardo per incrociare il suo e notai un’espressione diversa dal solito.
Cercai di pensare a una risposta accettabile.
Sono silenziosa perché ho paura che i miei pensieri possano tradirmi. Non posso dirli ad alta voce.
Forse no.
Sono silenziosa perché sono in imbarazzo. Mi ha vista andare via dal pub con Jasper e so che lei sa che cos’è successo.
No.
Sono silenziosa perché ho un’incredibile cotta per lei e non riesco a capire perché si sta comportando in questo modo con me. Mi sta confondendo le idee ed io non so più cosa pensare. Mi sta letteralmente facendo impazzire.
Decisamente no.
“Sono, uhm, preoccupata per il test di Letteratura Inglese di domani.” Mentii infine. Ecco, quella era una spiegazione molto più accettabile, anche se non era vera.
“Su che argomento è?” Domandò Styles, improvvisamente interessato.
“Dickens.” Risposi. “Grandi Speranze.”
“Oh.” Commentò lui. Come al solito avevamo cambiato discorso. Avevamo abbandonato il mio tema e stavamo parlando di altro. E, anche questa volta, Harry Styles decise di allentare la cravatta e slacciare un paio di bottoni della sua camicia, perché non era abituato a portarle e lo soffocavano.
Sospirai, cercando di non farmi vedere.
“L’ho letto e ho studiato, ma sono sempre nervosa prima dei test.” Dissi. Avevo bisogno di sentire il suono della mia voce per distrarmi dai mille pensieri che si erano formati nella mia mente. Il silenzio era pessimo. Terribile.
“Vedrai che andrà tutto bene, sei una brava studentessa. Almeno, nel mio corso lo sei.” Disse lui, facendomi l’occhiolino e sorridendo.
Fortunatamente ero seduta, altrimenti ero sicura che sarei caduta. E probabilmente avrei rotolato sul pavimento per ore, perché il professor Styles mi aveva appena fatto l’occhiolino. Esisteva qualcosa di più ingiusto?
“Grazie.” Dissi.
“Comunque se hai bisogno di ripassare… posso aiutarti. Sai, ai miei tempi ho studiato anch’io una cosa o due su Dickens.”
“Non… ehm… non ha un altro appuntamento dopo di me?” Domandai, balbettando. Mi aveva appena proposto di passare ulteriore tempo insieme? Si era appena offerto di aiutarmi a studiare per un test? Che cosa c’era di sbagliato in lui? Non si comportava da professore. Si comportava da… studente.
“No, devo solo preparare la prossima lezione, ma posso farlo anche questa sera. Se hai bisogno io sono disponibile.”
E ovviamente mi ritrovai a dire di sì, perché chi, sano di mente, poteva rifiutare l’opportunità di passare anche solo cinque minuti in più in quell’ufficio con lui? Io no. Quindi accettai volentieri e, dopo aver finito di parlare del mio tema, estrassi il libro di Letteratura Inglese e la mia copia di Grandi Speranze di Dickens dalla borsa e cominciai a studiare insieme al professor Styles.
 
La sessione di studio durò esattamente venticinque minuti, poi lui dichiarò che ero pronta – appoggiandomi una mano sul ginocchio e facendomi trasalire – e cominciammo a parlare di altro. Perché chiacchierare del più e del meno con il proprio professore era normale, vero? Decisi di convincermi che lo era, perché altrimenti sarei impazzita. E il giorno successivo avevo davvero un test su Dickens e non volevo passare la notte a pensare a quello che era successo e ad analizzarlo nella mia mente.
“Allora, come ti stai trovando? So che il primo periodo all’università può essere difficile, perché è tutto molto diverso dalle scuole superiori.” Mi domandò lui, mettendosi comodo sulla sedia e osservandomi.
“Bene, direi che sta andando tutto alla grande. Ho una coinquilina che adoro, sto uscendo anche con una ragazza che conoscevo già dall’ultimo anno delle superiori e a volte pranzo con compagni del suo corso.” Risposi, evitando accuratamente di nominare Jasper. Tanto lui non avrebbe mai potuto chiedermelo, non era appropriato, giusto? Sbagliato.
“E con il ragazzo che ti ha fatto la battutaccia sul nome? L’hai più rivisto?” La domanda venne fatta con tono quasi casuale, ma nel suo sguardo c’era curiosità. Sembrava che volesse davvero sapere la risposta. Non avevo idea di cosa rispondere. La verità? “Scusa, a volte dimentico di essere un professore e forse questo discorso è un po’ troppo personale.” Disse lui pochi secondi dopo, salvandomi dall’imbarazzo di rispondere.
Sorrisi e chiusi il libro che era rimasto aperto davanti a me. Sapevo che avrei dovuto tornare al mio dormitorio, ma speravo di trovare una scusa qualsiasi per rimanere anche solo cinque minuti in più.
“Forse è meglio se vado.” Dissi, riponendo il libro nella mia borsa con lentezza. “Non vorrei disturbarla più del dovuto.” Aggiunsi.
“Non preoccuparti, nessun disturbo. Mi piace aiutare gli studenti. È per questo che ho deciso di insegnare.”
“È un bravo professore.” Dissi. “Credo che il suo corso sia il preferito di tutti gli studenti.” Aggiunsi.
Lui sorrise, mostrandomi quelle dannatissime fossette che lo facevano sembrare più giovane. Non che fosse vecchio, perché aveva solo ventisei anni. Ma erano comunque sette più dei miei. E sì, li avevo contati, perché nella mia mente avevo già pensato a tutti gli scenari possibili.
“Grazie.” Rispose lui. “A dire la verità ero nervosissimo il primo giorno, perché avevo paura che nessuno mi prendesse sul serio.”
Okay, eravamo arrivati alle confessioni.
“Magari i ragazzi. Con le ragazze non…” Mi lasciai sfuggire, prima di interrompermi e chiudere la bocca. Cosa diavolo stavo dicendo?
Lui mi guardò con aria interessata.
“Cosa vuoi dire?”
Arrossii e chiusi gli occhi. Come potevo uscire da quel discorso?
“Ehm… nel senso che le ragazze la trovano affascinante, quindi ascoltano tutto ciò che dice.”
Se avessi potuto avrei scavato un buco nel pavimento e mi ci sarei nascosta per sempre. Mi sarei meritata di rimanerci sepolta per tutto il resto della mia stupida, patetica vita.
Il professor Styles sorrise e mi guardò negli occhi, come se stesse cercando di studiarmi. Ed io cercai di smettere di osservarlo, ma non riuscii.
“Sono sicuro che non tutte le ragazze mi trovano affascinante.”
Mi stava provocando, lo sapevo. Voleva sapere se anch’io la pensavo come tutte le altre. Avevo solo due opzioni:

Little White Lies || [One Direction - Harry Styles]Where stories live. Discover now