Capitolo 3

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Ritornando a casa, Robert decise di approfittare del tragitto per visitare Olomouc. Gli piaceva molto questa città, e una volta la frequentava, benché, a dire il vero, non avesse là né parenti, né amici, né conoscenti. Ma ciononostante, la città gli piaceva molto.

Quando l'autobus arrivò a Olomouc, Přibyl scese. Erano poco più delle quattro. Robert era assai stanco e sentiva che non sarebbe stato male se avesse mangiato qualcosa. Allora entrò in un ristorante. Prima era un cliente abituale di quel ristorante, e benché non vi entrasse ormai da dieci, se non quindici, anni, il proprietario lo riconobbe subito e gli indicò un tavolo libero.

Dopo una ventina di minuti entrò un giovane cameriere che Robert non conosceva e al quale pertanto chiese:

"Scusi, Lei è il nuovo cameriere?"

"Non proprio nuovo... sono nove anni che lavoro qua".

"Ah, capisco".

"Dunque, cosa ordina?"

"Vediamo..." Robert ci pensò un attimo. "Prenderò del filetto di manzo in salsa".

Adorava questo piatto, come del resto qualunque carne del genere. E lo ordinava sempre, una volta. Tranne, forse, un paio di volte, quando non ne aveva affatto voglia.

"Va bene", il cameriere annotò l'ordine sul proprio telefono. "Qualcos'altro?"

"Per adesso basta. Se poi vorrò qualcos'altro, La chiamerò".

"Va bene. E da bere?"

"Da bere? Forse..."

C'è da stupirsi se Robert era un grande amante dei vini? Eppure stavolta optò per un whisky. Un whisky scozzese. Il Glenfiddich. Il cameriere annotò quest'altra cosa sul proprio cellulare e poi si allontanò per prendere gli ordini dagli altri clienti, non prima di aver augurato a Robert buon appetito e una buona giornata.

Aspettando ciò che aveva ordinato, Robert decise di giocare a un gioco. Sebbene ne avesse di anni, era un amante di videogiochi come non se ne erano mai visti al mondo. Quando gli portarono il suo filetto (anzi quello di manzo), Robert premette pausa per continuare più tardi.

Appena iniziò a mangiare, udì un urlo provenire da un altro tavolo. Si girò e vide due giovinette che, come anche lui un secondo prima, stavano aspettando il loro ordine, e nel frattempo stavano discutendo di cose loro. Stranamente, una delle due era Evelína Blažková, nipote della parente a casa della quale Robert era stato il giorno prima, nonché sorella minore del suo erede.

Lui interruppe il loro "affare":

"Allora?" domandò a Evelína. "Dovete proprio farlo ora?"

"Guardi che non stiamo oziando", rispose quella, "stiamo elaborando un progetto".

Già che ci siamo, Evelína studiava pittura in un'università chiamata Valle degli alci. La ragazza che era con lei era sua amica e compagna di corso.

"Stanno elaborando un progetto, ecco", ripeté Robert in tono di schernimento. "E io quindi non devo mangiare qui tranquillamente?"

"Guardi che siamo venute prima noi in questo ristorante".

"Sì", confermò la sua amica. "E nessuno Le ha chiesto di immischiarsi nelle nostre faccende".

"Ragazzina, chi ti ha insegnato l'educazione?" Robert perse la pazienza. "Come osi?"

"Come osa Lei, né più né meno. E adesso ci lasci stare che ora dobbiamo ricominciare da capo. Abbiamo perso tre ore, sa".

"Tre ore? Ma guardale un po'!" l'indignazione di Přibyl non aveva confini. "Tutta la gente normale viene in un ristorante per farsi tranquillamente una mangiata, invece loro pensano a delle sciocchezze! E non mi fanno mangiare tranquillamente!"

Il cameriere stava già vicino.

"Scusi", chiese a Robert, "potrebbe abbassare un po' la voce? Non c'è solo Lei qua".

"Va bene", Robert tirò un respiro. "Ma allora ci pensi Lei".

"A chi?"

"A queste... bulle minorenni!" Robert cercava con cura le parole, ma non trovò nulla di più decente. Evelína e la sua amica avevano ormai vent'anni e quindi era un'offesa per loro sentirsi chiamate così.

"Intanto", rispose il cameriere con assoluta calma, "non sono bulle, sono studentesse. Sono arrivate qua per qualche settimana. Noi grandi chiamiamo questa cosa trasferta, mentre loro la chiamano tirocinio".

"Se anche fosse così", sibiò Robert, "perché non mi fanno mangiare in pace?"

"Perché non La fanno mangiare? Le hanno forse tolto la forchetta?"

"No, ma mi danno fastidio. E m'irritano".

"Scusi, ma ho da fare", disse il cameriere. "Lei faccia quello che vuole, mangi, non mangi, a me non interessa. Il mio compito è quello di servire il cliente".

E si allontanò. Robert era molto adirato, e tuttavia decise di mangiare. Altrimenti per chi avrebbe ordinato quel cibo?

Raccolse tutte le forze e si mise a mangiare il manzo. Dopo averlo finito, si ricordò (se n'era quasi dimenticato) che prima che glielo avessero portato stava giocando a un gioco. Adesso nessuno gli dava più fastidio, perché una delle due ragazze disse all'altra: "Andiamo, stare qui è impossibile", e lo fecero.

Passato qualche livello, decise di tornare a fare ciò che, secondo le sue stesse parole, si viene a fare in un ristorante: mangiare. E poi il cellulare gli si stava iniziando a scaricare.

Chiamò il cameriere che, una volta liberatosi (gli ci vollero pochi minuti), gli si avvicinò.

"Tutto bene? Si è calmato?"

"Sì, mi sono calmato", rispose Přibyl, ma lo disse con un tale tono che diventò chiaro che non si era calmato del tutto.

"Vuole mangiare qualcosa?"

"Facciamo dell'anatra al forno".

E con ciò Robert confermò di essere un amante della carne. A parte alcuni momenti, si poteva benissimo considerare l'opposto di coloro che chiamiamo vegetariani.

Il cameriere annotò l'ordine e procedette, mentre Robert ricevette l'ordine dopo quindici minuti e ci mise quasi altrettanto tempo a mangiare l'anatra.

Quanto stava per andarsene, gli portarono il conto, che lui pagò subito; quando il proprietario gli disse di tornare un'altra volta, Robert rispose che ci sarebbe senz'altro tornato se fosse capitato nuovamente in quella splendida città. Che ci sarebbe sicuramente capitato nell'arco dei sei mesi, lo sapevano benissimo tutti e due.

Uscito dal ristorante, andò ad aspettare l'autobus (naturalmente, quello con cui era arrivato era già partito). Era già sera e si stava addormentando, perciò temeva di perdere l'autobus, ma fu fortunato. Ma nell'autobus aveva ancora più voglia di dormire, perciò temeva di perdere la propria fermata. Ma anche in questo caso, le sue fissazioni si rivelarono vane.

Arrivato a casa, per prima cosa mise il telefono in carica e poi, vestito così com'era, cadde sul letto e si addormentò, quasi avesse perso coscienza.

Il settimo invernoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora