Capitolo 12

3 0 0
                                    

Un giorno, ritornando dalla passeggiata mattutina (non sempre camminava di mattina, e se lo faceva, non seguiva un orario specifico, comunque lo faceva abbastanza spesso, convinto che ciò aiutasse a ottenere soddisfazione), Přibyl, a qualche chilometro da casa sua, scorse una scatola. Passò qualche giorno a girare con questa scatola e cercare invano a chi appartenesse: prima chiedeva a tutti coloro che incontrava se avessero perso una scatola come quella, ma la risposta era sempre la stessa, ossia che non ne sapevano nulla; al sesto giorno, invece, decise di consegnarla all'ufficio oggetti smarriti in via Karolina Světlá, ma anche lì alla fine gli dissero di non sapere nulla. A quel punto Robert decise di prenderla per sé, pronto ad andare in galera se fosse uscito fuori il vero proprietario della scatola.

Tornato a casa, aprì questa scatola e vide che dentro v'era un giocattolo a forma di criceto. Dapprima non capì che cosa avrebbe potuto fare, lui, alla sua età, con un criceto così piccolo. Tuttavia, poi scoprì che nella stessa scatola c'era una nota che diceva che si trattava di un regalo per una certa Marika Zdráhalova.

Lui sapeva che Marika Zdráhalova era l'ennesima sua parente, la cugina di secondo grado di sua madre, ma per suo grande dispiacere non ebbe mai modo di conoscerla, perché lei si spense all'età di dieci anni, quando i genitori di Robert non erano neanche sposati. Era talmente malata che anche se si fossero radunati tutti i medici del mondo, e assieme a loro gli studenti di medicina, non sarebbe stato possibile salvarla.

Non riuscì mai a capire come avesse fatto a trovare la scatola in quel luogo, ma in fin dei conti decise di tenersi il criceto. Perché no? È bello, sarà una decorazione in più.

Tentando di trovare il proprietario della scatola nella quale scoprì il criceto, Robert domandava a ogni passante se questa scatola fosse la sua. Uno di questi passanti era un certo Jakub Ševčík. Robert non conosceva né lui, né gli altri; io, invece, posso raccontarne qualcosa.

Innanzitutto, il suo cognome deriva dalla parola švec, ossia calzolaio. Infatti, un suo antenato che viveva ai tempi dei Lussemburgo, faceva il calzolaio e questo è quasi l'unico dato pervenuto che lo riguarda. Per quanto riguarda lo stesso Jakub, invece, era giovanissimo e assieme ai propri amici (che conobbe a scuola o all'università) faceva divertire la gente, soprattutto i turisti, con delle buffe scenette (i copioni lo scriveva qualcun altro di loro, ma anche Jakub a volte gli dava una mano con qualche battuta).

Durante un'esibizione, conobbe una certa Christina Burkhalter. Lei aveva ormai un po' più di quarant'anni, ma l'unica cosa che mostrava ciò erano certi tratti del suo viso. Era austriaca, ma viveva da tempo nella Repubblica Ceca e preferiva la lingua ceca a quella tedesca. In Austria lavorava come dattilografa per poi trasferirsi nella Repubblica Ceca e diventare cameriera di un ristorante dove Jakub si guadagnava altri soldi (sempre esibendosi). No, non era un ristorante austriaco, l'unica austriaca che lavorava in quel ristorante era lei.

Divennero amici e iniziarono a frequentarsi, nonostante Christina potesse benissimo essere una madre per Jakub. Lo trattava bene e lo ascoltava volentieri, spesso imparava cose nuove da lui.

Ma il giorno dopo che Robert si tenne il criceto, Jakub non venne a quel ristorante come aveva pianificato, e il motivo non dipendeva da lui.

Quel giorno il ristorante era in stato di lutto, e per dire, né Robert né i suoi parenti, vicini o lontani che fossero, avevano a che fare con ciò. Era l'anniversario di morte di Samuel Mazal, fratello maggiore di Antonín e Teodor. Quando non aveva ancora vent'anni, affogò nel Botič.

Teodor non venne a causa di una riunione importante; spiegare la situazione al capo fu inutile. Antonín, per contro, venne. Addolorati, lui e i suoi compagni piangevano Samuel, non facevano che parlare di lui e di com'era meraviglioso.

Tra di loro c'era anche Magdaléna Zatloukalová, la fidanzata di Samuel. Lei lavorava in una clinica praghese. Non riusciva a rassegnarsi alla perdita, anche perché era lo stesso ristorante dove era avvenuto il loro primo incontro. E la ragazza non riusciva ancora a trovare un nuovo amore, oppure aveva paura che ciò potesse ripetersi. Antonín tentava di consolarla come poteva.

"Non piangere", disse, "lo so che per te è difficile da accettare, e credimi, per me lo è ancor di più. Ma sono cose che succedono, e nessuno ne ha colpa".

"Lo vorrei credere", rispose lei, piangendo, "ma purtroppo di gente come lui ce n'è pochissima... anzi, non ce n'è per niente".

"Non preoccuparti. Sono sicuro che in questo momento lui sta pensando a te e vorrebbe essere con te".

"Lo credo", rispose Magdaléna.

Dopo due ore e qualcosa, tutti si separarono per andare a casa. Anzi, Magdaléna e gli altri andarono a casa, mentre Antonín decise di fare un'altra visita a Robert, perché lo conosceva da tempo, lutto o non lutto.

Però, dopo esser entrato, ad Antonín venne un dubbio se stesse facendo bene. Domandò a Robert:

"Forse non dovrei portare la mia disgrazia nella vostra preziosa casa..."


"Per favore, sii più semplice", gli chiese Robert, "non mi parlare in quel modo".

"Va bene, mi scusi".

"Dunque cos'è successo?"

"Oggi è passato un certo numero di anni da quando mio fratello ci ha lasciati".

Robert si ricordò subito.

"Ah, sì, me l'hai detto allora".

"Bene, sono appena tornato dal ristorante".

"Il cibo era buono?"

"Sì, ma cosa c'entra?"

"Così, tanto per domandare".

"Abbiamo pianto Samuel".

"Sì, l'ho già capito".

A quel punto, Robert andò da qualche parte e tra un paio di minuti tornò un cartello, che diede ad Antonín dicendo:

"Senti, quando uscirai, per favore, affiggi questo cartello all'entrata".

Antonín lesse il cartello: c'era scritto "temporaneamente via".

"Posso chiederLe dove sta andando?" domandò Antonín.

"Non molto lontano, in Austria". E probabilmente non perché fosse la patria dei suoi antenati.

"Per quanto tempo?"

"Per sei settimane, forse, o un mese e mezzo".

"Ma se..."

"Qual è il problema? La lingua la conosco, del visto non ne ho bisogno, le cose che mi serviranno le ho già preparate".

"Sì, ma non intendevo questo. Perché va lì?"

"Per imparare cose nuove, ché mi sono stancato di vivere di sole scommesse. Tu, intanto, penserai al castello".

"Sa", Antonín esitò, "non sono sicuro di essere buono per un simile compito, il Suo castello è grande, ma ho un amico che forse mi potrà aiutare. Lui non ha mai visto questo castello finora".

"Benissimo", approvò Robert. "E non rompetemi niente, va bene?"

"Staremo attenti", promise Antonín.

Il settimo invernoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora