Capitolo 18

3 0 0
                                    

Da piccoli, pochi pensano alla propria vita da grandi, mentre una volta cresciuti, molti spesso ricordano l'infanzia.

Antonín non era un'eccezione a questa regola, o meglio dire, a questa ricorrenza. Ed ecco che gli venne la voglia di leggere un quaderno che teneva quando da piccolo imparava a scrivere. Questo quaderno, a meno che nessuno l'avesse buttato (perché Antonín, per così dire non l'aveva visto da un secolo), era nella casa dove lui viveva da piccolo, così lui decise di andare lì con la macchina.

Innanzitutto, per evitare che accadesse qualcosa d'inaspettato, scrisse a Robert il seguente messaggio: "Sono andato a casa per un attimo. Se bisogna fare qualcosa nel frattempo, chiami il mio amico". Poi chiese all'amico di non allontanarsi e gli diede il numero di Robert.

Antonín aveva un'automobile, e benché la guidasse da meno di due anni, la sapeva condurre piuttosto bene. Se doveva lasciar passare qualcuno, fosse un pedone o l'autista di un'altra macchina o di un altro mezzo, lo faceva sempre.

La casa dove lui viveva da piccolo non era per nulla vicina al Bordio, cosicché lui dovette lasciar passare molta gente. La strada per la quale andava includeva l'ospedale in cui lavorava Filip Stehlík, figlio di Vladimír Stehlík.

Proprio in quel momento Filip stava andando al lavoro, ossia stava entrando nell'ospedale. Antonín si distrasse per un attimo, ma subito si ricordò di lasciarlo passare. Gli altri medici, man meno che Filip li incontrava, gli dicevano:

"Salve!"

"Salve!"

Anche lui li salutava. Il medico che curava il singhiozzo (c'è gente che ne viene attaccata per molto tempo e non riesce a liberarsene per conto proprio) era addirittura il suo migliore amico.

All'improvviso ad Antonín squillò il telefono. Non era Robert: Antonín non sapeva affatto chi fosse, e allora si ricordò di essersi dimenticato di disattivare il telefono (lo faceva sempre prima di mettersi a guidare). Dopo un altro paio di chilometri, si fermò, prese il telefono e lo fece, poi riprese a guidare.

Per fortuna, dopo solo pochi minuti la casa di Antonín era già di vicino, così lui decise subito di mettere la macchina e poi andare a piedi. E naturalmente, mise il telefono di nuovo nella modalità in cui poteva accettare le chiamate.

Appena aprì la porta ed entrò nel territorio della propria casa, qualcuno lo chiamò nuovamente, ma il numero era sconosciuto, così Antonín rifiutò la chiamata, ma colui che l'aveva chiamato non lo lasciò stare. Dopo cinque o sei volte, Antonín perse la pazienza. Allora rispose e disse (impedendo all'altro di cominciare a parlare):

"Senti, non è da me utilizzare queste parole, ma tu sei..." e una lunga lista d'insulti. "Innanzitutto, come hai fatto a trovare il mio numero, e poi, chi sei?"

Poi Antonín terminò la chiamata e bloccò il numero. A proposito, a casa non c'era nessuno, perché il fratello minore si era comprato un appartamento e i genitori avevano traslocati. Antonín si diresse verso la propria stanza e iniziò a cercare il quaderno.

Appena lo trovò, si mise a baciarlo in segno che era passato tanto tempo. Com'era bello! C'erano disegni di Antonín, e anche vari racconti. Ma vi racconterò tutto un'altra volta.

Il settimo invernoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora