Capitolo 37

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-I fatti non sono andati come immaginate. Quale sarebbe la soluzione più facile? Darmi la colpa, perché è evidente che sia stata io ad uccidere mio marito. Eppure non è così.

Per quanto lo abbia desiderato con ogni fibra del mio essere, per quanto non avessi voluto altro che vederlo morto, non ho avuto il piacere di finirlo con le mie mani. Quei ragazzi non sono i soli ad odiare un morto. Solo perché si trova in una bara, non ho mai smesso di provare disprezzo per quell'essere.

È vero, ho goduto al suo funerale, l'ho visto come un'opportunità.

Quella notte tornai a casa e Bred era furioso. Era ferito e avevo intuito che qualcosa era andato storto con qualche sua ragazzina. Iniziò a riempirmi di domande, voleva sapere con chi fossi stata.-

-E con chi era stata?- domandò il giudice. Frank aveva gli occhi persi e scuoteva la testa.

-Con Frank Grayson, lo sceriffo. Avevamo già una relazione prima che mio marito morisse. Il tradimento è stato una conseguenza di ciò che ho dovuto sopportare. Le violenze, le cattive parole, il logoramento quotidiano, la colpa di essere ciò che sono, il non sentirmi mai donna. Avevo bisogno di un uomo che meritasse di essere chiamato così.

Bred mi aveva già fatto scenate di gelosia, ma quella sera impazzì; iniziò a picchiarmi. Ero terrorizzata, pensai che sarebbe arrivato ad uccidermi. Mi prendeva per i capelli e mi sbatteva la faccia contro il muro, mi spaccava la schiena con pugni e calci.

Non sapevo a chi chiedere aiuto, riuscii a rifugiarmi in bagno e chiamai Frank. Era l'unico di cui mi fidavo, sapevo quanto mi amasse. Sarebbe stato disposto a fare qualunque cosa.

Gli lasciai un messaggio in segreteria, poi Bred sfondò la porta e mi trascinò in corridoio. A questo punto è superfluo dirlo, ma mi violentò. Mi prese contro il mio volere, al buio, come faceva ormai da quando ci eravamo sposati.

Frank arrivò prima che Bred potesse soffocarmi.

Mi aveva portato in camera da letto e mi premeva un cuscino sulla faccia. Si era spogliato e aveva addosso solo boxer e pantaloni, alle ginocchia. La camicia sporca di sangue se l'era levata poco prima di asfissiarmi.

Frank aveva fatto irruzione spaccando un vetro del salone, attirato dalle mie urla.

Entrò in camera e vide ciò che stava succedendo. Prese la camicia dal letto, avvolse la gola di Bred e lo tirò via da me. Strinse la camicia fino a levargli ogni forza. Bred stava collassando sotto i miei occhi, mentre Frank lo stava uccidendo. Non ebbi il coraggio di fermarlo. Vederlo mentre annaspava, senza aria, alla ricerca disperata di un po' di ossigeno, mi riempì di gioia.

Rimanemmo soli io e Frank, con un cadavere sul pavimento. Sono stata io ad aiutarlo a sbarazzarsi del corpo.

Incendiata la casa per non lasciare alcuna prova, abbiamo avvolto la gola di Bred con una corda legata a un masso e lo abbiamo buttato nel lago.

Lo avremmo fatto sembrare un omicidio totalmente diverso da ciò che era stato.

Io e Frank ci saremmo coperti a vicenda, avremmo detto che quella notte eravamo insieme.

Lui mi promise che avrebbe scaricato la colpa su Phoenix: il ragazzo era sparito poco dopo l'ora dell'incendio, sarebbe stato facile additarlo come l'assassino. E se ho conservato la camicia, è stato solo perché avrei voluto una prova se si fosse verificata una circostanza come questa.

Dopo che Frank ha soffocato Bred, ho preso l'arma del delitto senza toccarla direttamente, con un guanto. Una volta sola, l'ho inserita in una busta e l'ho lasciata sotto chiave nella mia camera. Se analizzate le impronte digitali della camicia, troverete quelle di Frank ovunque, le mie da nessuna parte, perché non l'ho mai toccata.

Mi rammarica ammettere che non sono stata io ad uccidere mio marito.-

Nell'aula di tribunale si alzò un vociare scioccato, i presenti si rivolsero allo lo sceriffo, che sedeva inspiegabilmente calmo, come se non Ellen non avesse detto nulla.

Dyana scosse la testa incredula -Sta mentendo- bisbigliò, poi si alzò e alzò la voce in modo che potessero sentirla tutti -Sta mentendo, dillo.-

-Silenzio, signorina si segga- il giudice fulminò Dyana con lo sguardo. Ashton mise le mani sulle spalle della ragazza e l'abbracciò da dietro.

Fu un vero abbraccio, il biondo fece aderire la schiena della ragazza sul suo petto -Stai calma- sibilò, mentre si risiedeva con lei.

Frank si alzò tra le forze dell'ordine da cui era circondato e dichiarò ciò che lo avrebbe mandato in galera per il resto della sua vita -Non sta mentendo. E' vero.-


Ciò che seguì il processo è facile da immaginare.

Furono fatti i test del DNA e le impronte digitali di Frank combaciavano con quelle ritrovate sulla camicia di Bred. Confessò tutto, ciò che sorprendeva dei suoi modi era l'allegria con cui parlava e la spigliatezza con cui raccontava più e più volte l'efferatezza del suo omicidio. Descrisse ogni più piccolo particolare. Il modo in cui avevano incendiato la casa, la composizione della corda con cui aveva avvolto la gola di Bred, come aveva sospinto il suo corpo nel lago, la gioia che aveva provato nell'eliminare una macchia così grande dall'Universo, l'uomo che gli aveva sottratto la possibilità di sposare la donna che amava.

Ad Ellen furono sanciti quindici anni per occultamento di cadavere e incentivo ad attività illegali.

Il giorno stesso in cui fu condannata ufficialmente, una settimana dopo il processo, Ashton compiva diciotto anni. Aveva raggiunto la maggior età e festeggiava il suo compleanno nell'unica casa che gli era rimasta, non incenerita.

Una torta al cioccolato troneggiava sul tavolo vuoto della cucina, la fiamma su diciotto candeline bianche fendeva il buio della stanza. Dyana, Isabel, Andrew e Phoenix cantarono "tanti auguri a te" a bassa voce, con un sorriso stampato in faccia, che sfidava quell'aria di morte ancora attaccata sui loro corpi.

Ashton guardava la sua torta con un sorriso pallido e tremante, ormai non gli restava nessuno, se non i ragazzi davanti a lui. Appena soffiò sulle candeline, Phoenix si lanciò su di lui. Lo sollevò dal pavimento e lo fece girare tra le sue braccia, gli strinse la testa in una mano e gli baciò più volte i capelli. Strizzò gli occhi e lo serrò nella sua presa.

-Così lo ucciderai- commentò Dyana, mettendogli una mano sulla schiena.

Phoenix si staccò di pochi millimetri, quanto bastava a guardarlo negli occhi -Per sempre insieme. Non te lo dimenticare mai- sussurrò al suo orecchio, lasciandolo andare poco dopo.

-Stasera saremo adolescenti normali- Andrew alzò una bottiglia di vodka in alto e poi riempì un bicchiere fino all'orlo.

-Dacci da bere, allora- disse Isabel, rubandogli il bicchiere dalla mano.

Era un compleanno insolito, festeggiato con l'amaro in bocca e la solitudine nelle ossa, una serata in bilico nel futuro. Non era ancora finita, ma fingevano che lo fosse.

Fu Isabel ad uscire per prima da quella casa. Aveva il bicchiere d gli occhi pieni di tristezza.

Phoenix e Dyana, Andrew e Ashton e lei sola. Si sedette sulle scale del giardino e rimase a guardare per terra. Aveva intenzione di bere fino a dimenticare anche il suo nome.

-Lei è sola, signorina?- una voce che conosceva fin troppo bene le fece credere di essere impazzita. Alzò la testa e vide Ryan davanti a sé.

Dietro di lui c'era la sua macchina parcheggiata sulla strada -In una sera come queste non fa bene all'animo essere soli- le porse la mano -Non fa mai bene essere soli.-

Fine?

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