Capitolo 20

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Chi sarebbe stato in grado di uccidere qualcuno a sangue freddo era Ashton. Era sempre stato un contenitore di odio e pensieri negativi, che accumulatisi negli anni erano traboccati fuori come un fiume in piena.

I capelli biondi e gli occhi chiari, il viso dolce e la pelle liscia, la corporatura fina e slanciata: la sua esteriorità tradiva il putridume che avviluppava ogni suo organo vitale.

Quando gli venne in mente di raggiungere Andrew al bar, non si sarebbe aspettato che gli amici di quest'ultimo gli avrebbero dato la notizia che era andato via con Dyana e Isabel. Quelle due rappresentavano il legame più prossimo con Phoenix e, se Andrew stava con loro, questo lo riconduceva senz'altro all'ex amico.

Gli mandò un messaggio qualche ora dopo, in cui lo invitava a casa sua per trascorrere un pomeriggio in piscina.

Lo stava evitando da quando si erano baciati. Quel contatto non aveva scosso minimamente Andrew, che abituato ad un grado di intimità così profondo con il ragazzo, considerava quel gesto al pari di un abbraccio. Ashton, al contrario, lo aveva aggiunto ai motivi della sua rabbia. La sicurezza che per l'altro non fosse niente di più aveva ingrigito le sue giornate.

Lo sfogo che aveva avuto con Phoenix, la lama che aveva affondato nella sua carne... tutto quello era stato in parte mosso dal senso di rifiuto che già si vedeva cadere addosso.

Ashton si era sempre sentito diverso. Quando i bambini della sua età si riversavano in strada a giocare, lui rimaneva in casa, a guardare la vita dietro una finestra. C'era una bestia affamata dentro di lui. Sapeva che qualcosa che non andava, si sentiva orribile e nutriva la sua anima angosciata di pensieri violenti. Con lui cresceva l'attrazione per la morte. Si chiedeva costantemente cosa sarebbe successo se avesse affondato quella lama, se avesse premuto il grilletto, se si fosse sbilanciato un po' più in là. Non era solo il suicidio a stuzzicare la sua fantasia. Rannicchiato nel buio della sua camera pensava all'omicidio come un modo per diventare dio. Avere il potere di decidere sulla vita, commettere una strage, ammazzare e concedere pietà. Il bambino era cresciuto e con la fronte appoggiata al vetro continuava a guardare il mondo, voleva farne parte per distruggerlo.

Andrew percepiva cosa passava nella mente di Ashton e gli rimaneva vicino, come una morbosa voluttà per la morte.

Aveva dieci anni quando, nel cimitero dietro la sua villa, quella ora ridotta a un mucchio di macerie, lo aiutò a sollevare un masso per fracassare il cranio a un randagio.

I bambini stavano giocando durante un caldo pomeriggio d'estate, si rincorrevano attorno alla cappella mortuaria della famiglia. Un cane alto fino alle loro ginocchia, con lunghe orecchie a penzoloni, si aggiunse a scodinzolando. Lo sfortunato avventore si stese supino e allargò le zampe, mostrò il suo petto bianco e agitò il busto per andare incontro alle loro manine e farsi accarezzare.

Ashton raccolse da terra un masso grande quanto la sua testa, lo alzò con due mani e lo portò sospeso sul muso della bestia. Andrew lo guardò come ipnotizzato, tenne fermo l'animale per la gola, aspettando che il macigno precipitasse in basso. Se quel cane continuava ancora a scorrazzare diffidente per le campagne che abbracciavano Steeland, fu solo merito di Phoenix.

Il bambino, che stava bevendo della limonata con le spalle poggiate a un albero difronte all'entrata della villa, sentendo dei guaiti disperati, si alzò e corse verso la fonte di quel rumore. Si lanciò in avanti, addosso ad Andrew, che si lasciò sfuggire la bestia.

Ashton fece cadere il masso sulla sua caviglia. Phoenix portò il gesso per tutta l'estate.

Chi avrebbe detto, a distanza di anni, che le persone avrebbero guardato quei bambini con i ruoli ribaltati.

Andrew bussò alla porta di Ashton.

-Con chi sei stato?- chiese accusatorio il biondo.

-Ora mi controlli?-

-Non si risponde a una domanda con un'altra domanda. Sei stato con lui, l'hai visto- gli tremò la voce e alzò un pugno in aria –Dimmelo!- urlò e fece cadere la mano verso il suo viso. Andrew gli afferrò il polso e frenò quel cazzotto. Cosa c'era nella repulsione di Ashton? Gelosia? Morbosità?

-Sei tu che mi costringi a tenerti le cose nascoste. Ti sei fissato e non vuoi vedere altro che la tua verità, ma io non posso abbandonarlo. Ci siamo promessi che saremmo rimasti insieme a qualunque costo, tu forse non lo ricordi, ma io sì.-

-E quindi vuoi abbandonare me?- le parole si incrinarono al passaggio di una lacrima svelta sulla sua bocca.

-Non ti abbandonerei mai. Lo giuro. Qualunque cosa accada- posò il pollice sul suo labbro inferiore e asciugò quella goccia –. Non ti abbandonerei neppure se sapessi che hai ucciso qualcuno.-

Fecero aderire le loro fronti, ad Ashton tremava ancora il braccio che aveva sollevato –Non ti abbandonerò perché so già cosa sei capace di fare e sono ancora qui. L'ho sempre saputo- fece scivolare le dita sotto la manica della sua maglia, gli strinse il polso e sentì sul palmo della mano la pelle ruvida per le croste e le cicatrici –Sono io a non sapere se rimarrai quando mi conoscerai davvero. Perché ci sono cose di me che ancora non conosci.-

I due bambini si strinsero in un abbraccio. Andrew aveva un taglio sulla tempia e un rivolo di sangue fresco gli bagnava il faccino sconvolto dalle lacrime. I suoi vestiti erano sporchi e pieni di polvere, non si reggeva sulle gambette e i singhiozzi gli fracassavano il petto livido –Giura che non lo dici a nessuno. Qualunque cosa accada- quasi urlò Andrew, mentre l'altro cercava dei vestiti puliti nel suo armadio –Lo giuro. Qualunque cosa accada-

-Io rimarrò, Andrew. Lo giuro. Qualunque cosa accada.-

Erano appena scivolati in un nuovo livello di intimità, i loro corpi si incastrarono annullando lo spazio che si frapponeva tra essi. La gamba di Andrew si intrufolò tra quelle di Ashton, che separò le cosce di qualche centimetro.

-Non voglio più trattenermi. Siamo sempre stati bravissimi a mantenere i segreti, ma non possiamo mentire a noi stessi- sussurrò Andrew, alzò la maglia dell'altro fino al collo, gli accarezzò il petto asciutto e tonico, premette i pollici sul filo di pelle verticale che segnava la sua pancia, proseguì al di sotto dell'ombelico e incastrò le dita tra lo spazio del pube nudo e il pantalone della tuta. Infilò la mano tra le sue gambe e gli strinse il labbro tra i denti.

Ashton rimase fermo i primi minuti, disorientato da ciò che stava accadendo, ma non appena si rese conto della situazione afferrò la nuca dell'altro con un gesto brusco, gli spinse la faccia contro la sua e affondò la lingua nella sua bocca. Lo baciò con foga e si staccò solo per sfilarsi la maglia, tutte le sue fantasticherie si realizzarono. Si sedette sulla punta del tavolo e fece scivolare per terra il pantalone, assieme ai boxer.

Ashton si stese sul tavolo e strattonò Andrew sul suo corpo, si espose come la corolla bagnata di un fiore al sole.

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