Lunga notte a Baker Street.

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La pioggia non faceva che aumentare. Faceva quasi male passarci sotto. Come Sherlock avesse scordato l'ombrello a casa rimarrà per sempre un mistero. Quando i due arrivarono a Baker Street, erano fradici fino all'osso.

"Mrs. Hudson..!" chiamò Sherlock, "Potresti portarci degli asciugamani?"

Mrs. Hudson arrivò in fondo al corridoio e sobbalzò quando vide che Sherlock aveva portato qualcuno a casa. Si fiondò in bagno, prese due bianchi e soffici asciugamani, e li avvolse sulle loro teste.
"Non sapevo avresti portato un amico..." farfugliò. Le guance di Sherlock diventarono come fuoco, grazie al cielo l'asciugamano gli copriva il viso. Si strofinò fino a quando non fu completamente asciutto e poté sentire John trascinarsi accanto a lui, togliendosi le scarpe, calze e cappotto allungandoli a Mrs. Hudson per farli lavare. Sherlock poco dopo fece lo stesso.

"Sei più che benvenuto ad usare la doccia, John."

"Oh no, non potrei-"

"Non preoccuparti. Non è un problema. Solo, seguimi."

Sherlock arrancò su per le scale, John che lo seguiva poco lontano. "In fondo al corridoio l'ultima porta alla tua sinistra. Prenditi tutto il tempo che ti serve." Aspettò che John andasse e sbattesse la porta, per poi andarsene in camera sua. Si tolse con impazienza i suoi vestiti zuppi con una smorfia.

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"Casa tua è... singolare" commentò John.
Sherlock annuì e contrasse le labbra, i suoi occhi chiari che analizzavano il suo stesso appartamento. Alcune pareti erano rosse, altre verdi, una era nera e bianca, altre gialle... era disordinata e piena di comodi mobili dappertutto. A Sherlock piaceva, anche se anomala. John si schiarì la gola.
"E ai tuoi genitori non dispiace se sto qui?"

Sherlock sghignazzò. "Vivo da solo, da ormai qualche mese. Non pago l'affitto, non mi faccio condizionare dal mio fratello snob, non rispondo a nessuno e non sto ad alcuna regola. È il paradiso." Prese un lungo sorso dal suo tè. John annuì silenziosamente, sfiorando lievemente la sua tazza senza mai bere. Sherlock lo osservò attentamente con la coda dell'occhio. "Sei benvenuto a restare per la notte. A giudicare dalla temperatura, l'estimata densità delle nuvole, la grandezza delle gocce e la potenza dei tuoni, la pioggia non smetterà fino a domani. Ci saranno sicuramente delle piene."

John fissò in silenzio Sherlock per qualche secondo ancora una volta. E allora, finalmente, il suo meraviglioso sorriso prese forma sulla sua faccia e un solo "heh" gli rimbombò in gola. "Sei fantastico."

"Sembri essere così entusiasta di farmelo sapere ogni volta che apro bocca." Sherlock strizzò gl'occhi, ma poi sorrise con le sue spesse labbra. "Beh, sei troppo modesto, credo," John appoggiò la sua tazza sul lato del tavolo vicino a sé, leccandosi le labbra. Sherlock lo guardò.

"Sei ancora così nervoso. A disagio."

"Non sono minimamente nervoso o a disagio."

"Oh ma per favore, non hai neanche assaggiato la bevanda che la signora Hudson ti ha preparato, sei completamente rigido — ti agiti quando ti senti bene — il tuo sguardo continua a girare per la stanza, eccetera eccetera..." Sherlock roteò gl'occhi. "Va bene sentirsi a proprio agio qui. Tanto vale restare a dormire."

John stette zitto, pensando. Si leccò di nuovo le labbra. Sherlock lo vide fisicamente rilassarsi, sprofondando nella nella grande poltrona rossa espirando silenziosamente, per poi riprendere in mano la sua tazza e bere. Sherlock si sentì meglio, ma non disse nulla. Non voleva che John si agitasse di nuovo. Gli lanciò il telecomando dandogli il permesso di vedere la televisione, cosa che fu molto contento di fare, e Sherlock aprì il suo libro per cominciare a leggere.

Alla fine aveva ceduto e aveva comprato "La Pioggia" di Karen Brown. Era così sentimentale che Sherlock avrebbe potuto letteralmente impiccarsi. Era un libro rilegato con una copertina blu chiaro e grigia, con strane e surreali figure che dovevano essere delle gocce. Forse anche qualcos'altro? Sherlock si morse il labbro e girò la prima pagina.

Vi era scritta una citazione in una complessa scrittura argentata.

"Dalla pioggia, crescono fiori. Noi doniamo quei fiori ad altri, e da lì, nasce l'amore. -Sconosciuto."

Sherlock lanciò uno sguardo a John. Continuò a sfogliare le pagine.

Finì il libro in un'ora. Per riassumere, comincia con una donna seduta da sola sulla panchina di un parco durante un diluvio. Non specifica mai perché se ne stava lì, semplicemente lo era. Un uomo le si avvicina e si siede accanto a lei. La donna non lo nota per ore. Ma nonostante questo, lui continua ad aspettare con lei. Quando finalmente guarda alla sua sinistra, l'uomo le sorride. Lei ricambia. Allora si allontanano. La donna e l'uomo si rincontrano accidentalmente ovunque da quel giorno. Sentivano come se un'inspiegabile forza li spingesse in un unico luogo, ed entrambi ridono, vanno a prendersi caffè, si scambiano opinioni su libri e storielle strappalacrime. Finisce con l'uomo che le dà un bacio sulla guancia sulla stessa panchina, durante un diluvio uguale all'altro. La donna piange, baciandolo a sua volta.

Sherlock non era minimamente commosso. Lo lesse ancora. E ancora. E ancora. Era frustante non capire cosa tutta quella roba significasse. Passate quattro ore, Sherlock notò che John si stava per addormentare. Stava guardando uno show culinario; una donna con un grembiule sporco di farina stava decorando una torta al limone con zucchero e foglie di menta.

"John," sussurrò Sherlock, svegliando il biondo di soprassalto. "Coperta." Buttò su John una grande coperta rossa, per poi raggiungere la sua camera e prendere il suo piumino. Non aveva mai fatto un pigiama party prima d'ora, ed era solo un pochino emozionato.
Si sdraiò sul divano, rigirandosi, e si addormentò velocemente.

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Stava piovendo. Le gocce cadevano a testa in giù, a rallentatore. Sherlock riuscì ad allungarsi per toccarle, e quelle si separarono in milioni di goccioline di rugiada. Era in piedi, ma non lo era, stava cadendo, ma non lo era. C'era zero gravità. Era come sospeso in un infinito e grigio vuoto. I suoi respiri uscivano come bolle dalla sua gola e bocca. Era divertente, ma anche spaventoso. Aveva timore di dover fare tutto questo per sempre, mai camminare, di non poter più stare su un sudicio marciapiede di Londra. Chiuse gl'occhi, respirando attentamente.

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Un leggero piagnucolio.

Sherlock si sedette e guardò la poltrona dove John si era messo.

"Basta. F-fermati... no... non hai diritto di... toglile le mani... d-di dosso..."

Sherlock vide il viso di John contorcersi in dolore e agonia. Non aveva idea di cosa fare. Non aveva mai dovuto confortare qualcuno in tutta la sua vita. John brontolò e si voltò dall'altro lato. Se stava fancendo un incubo, non si sarebbe dovuto svegliare? Sherlock si sistemò meglio sul divano, torcendosi nervosamente le mani per qualche minuto. I lamenti di John aumentarono, ora più forti. Era il momento di fare qualcosa, qualsiasi.

Sherlock si alzò e si avvicinò in punta di piedi a John. Incredibile che stesse per farlo...

Si chinò su di lui, passando dolcemente una mano fra i suoi capelli, per poi posargli un soffice bacio sulla fronte. John si rilassò immediatamente, la sua espressione ora tenera e calma.

Sherlock si sdraiò di nuovo, addormentandosi pacificamente. John non gemette né si lamentò per il resto della notte.

Rainy Days (ITA) || ᴛᴇᴇɴ!ʟᴏᴄᴋDonde viven las historias. Descúbrelo ahora