𝕺𝖕𝖆𝖑 ꧁៙Nono capitolo៙꧂

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Chiusi lo sportello della mia mini cooper e sollevai gli occhiali da sole direttamente sulla testa

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Chiusi lo sportello della mia mini cooper e sollevai gli occhiali da sole direttamente sulla testa. Ero di fronte al Diamond, l'entrata faraonica dell'hotel.

In sei anni di onorato lavoro al servizio del bondage avevo visto quasi qualsiasi cosa. Perfino i miei due ultimi mesi di lavoro, quando la droga e la depressione mi stavano consumando, avevo avuto modo di assistere a cose che mai avrei pensato.
Chiunque, io compresa, era in grado di celare la propria vera natura. Però, prima o poi, ognuno deve fare i conti con la vita che vuole portare avanti.
Mi chiedevo, appunto, quanto tempo sarebbe passato prima che di tutti quei politici immacolati se ne scoprissero i veri retroscena.

Varcai la soglia dell'hotel come una divinità in pensione, avevo appeso il frustino al chiodo, ma la mia leggenda mi avrebbe preceduta sempre.
Vidi alcuni clienti, una coppietta che ultimamente spopolava sui social, prenotare una stanza. Chissà cosa non dovevano mostrare al mondo per ricorrere alla privacy del Diamond.
Non lo avrei mai saputo.

«Ciao Carlo!» salutai l'uomo alla reception. «Passavo per un saluto...» mi poggiai sul bancone, giocherellando con la campanella.
L'uomo ricambió il mio saluto con un sorriso, uscendo dalla sua postazione per afferrarmi le mani e stringermele con affetto. «Come stai? Non ti vedo da tantissimo... Ho saputo che ti sei licenziata...»
«Sono ufficialmente in pensione! E confesso che è meglio di quanto pensassi».
«Ci mancherai Sara, davvero».

Forse Carlo era sincero, ma molti nel Diamond stavano festeggiando. Essersi levati me da torno voleva dire avere molto più guadagno. Soprattutto le mistress che erano in continua competizione con me.
Un po' mi dava fastidio, ma avere con me Elia ripagava qualsiasi rinuncia.
Lo amavo e la sua assenza era per me deleteria.

Siria era nel suo ufficio, tra le sue scartoffie e il telefono che squillava quasi di continuo. Come riuscisse a gestire il Diamond era per me un mistero.
«Ciao tesoro!» mi salutò, finendo di scrivere qualcosa al computer. «Mi trovi in un brutto momento, perdonami».

«Lo so, me lo ha detto Francesca. Mi ha impedito perfino di venire qui da te».

«Vuoi attendermi al bar? Termino in fretta gli accordi con i fornitori e ti raggiungo».

Un tempo ero io quella sempre impegnata per poterle parlare. Le sorrisi prima di uscire, osservandola concentrata dietro quel pc a schermo piatto, con capelli rossi raccolti in una coda e gli occhiali sul naso.
Era una trans, nata come Nathan, ma incapace di sentirsi uomo quasi fin da subito. Era colei che vedevo come mia madre.
Forse anche per questo, quando decisi di colorarmi i capelli per abbandonare il biondo, optai per un rosso simile al suo. Più scuro, ma pur sempre rosso.

I parenti erano coloro che ti amavano, non quelli con cui condividevi dei cromosomi. E Siria mi era stata accanto come nessuna madre avrebbe mai fatto.

Il Diamond era una struttura enorme, uno dei grattacieli più alti di Milano con i suoi 40 piani. Comprendeva un ristorante di lusso al primo piano con annessa sala con piscina, un hotel a cinque stelle poco sopra e tante tantissime sale ai piani alti che ospitavano le perversioni più inconfessabili, la dove il sesso era libero di esprimersi in ogni sua forma.

DiamondTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon