꧁𖢻Quarto Capitolo𖢻꧂

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Avevo finito le prime tre sessioni

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Avevo finito le prime tre sessioni. Uscii dalla stanza dove il signor Picassi stava riprendendo fiato. Lo avevo frustrato parecchio, innervosita dal fatto che dopo di lui avrei dovuto concedermi a suo figlio. Non era mai successo in sei anni.

Siria mi aveva consigliato di fingere di avere dentro di me qualcuno di piacevole, tipo Pier. Fabio non era brutto, anzi. Sono certa che molte ragazze facessero a gara per averlo. Ma lui era uno schiavo, non si poteva sfuggire da quella condizione, e io ne provavo repulsione.Per quanto per me fosse delizioso far loro del male e annichilirne la dignità, li disprezzavo.

Tornai nella mia suite per lavarmi e riprendermi. Avevo mezz'ora soltanto per prepararmi psicologicamente. Indossai un corsetto in lattex che mi fasciava il busto senza impedirmi i movimenti, perizoma, collant neri e altissimi stivali in pelle.

Quando entrai nella stanza trovai Fabio ad attendermi a quattro zampe, nudo, ma con un collare a cui era agganciato un guinzaglio.

«Animale » irruppi. «Oggi hai osato guardarmi negli occhi al ristorante».

Con un calcio lo ribaltai, piantandogli il tacco dello stivale sul petto.«Perdonatemi padrona». Fabio evitava accuratamente di guardarmi, ma era conscio che avrei punito duramente l'affronto commesso. Io odiavo essere guardata negli occhi dagli schiavi.

Gli afferrai un capezzolo e iniziai a stringerglielo con forza. «Sai che in nessuna occasione i tuoi occhi devono incontrare i miei, verme».

Gemeva in silenzio per il dolore, ma so che a lui piaceva. A lui piaceva sentire dolore, piaceva essere insultato.

Fabio annuì debolmente, impaurito. Adoravo osservare il suo sguardo terrorizzato e il suo pene turgido.

Gli ordinai di alzarsi e salire sulla poltrona dandomi le spalle e lui obbedì. Presi il frustino e gli ordinai di esporre il suo bel culo da figlio di papà e ancora una volta non si oppose. Mi avvicinai a lui e gli tirai la testa indietro, afferrandolo per i capelli ricci.

«Hai pagato profumatamente una scopata con me, ma dovrai sudare davvero se la vuoi ottenere».

Ogni mio slave, ogni schiavo, sapeva perfettamente che il mio corpo era inviolabile. Potevano venerarmi, guardarmi dal collo in giù, ma mai toccarmi. Solo io potevo fare di loro ciò che volevo.

Iniziai a colpirlo con il frustino e lui gridava, ma ad ogni colpo il suo pene sembrava voler schizzare. «Non ti azzardare a venirmi sul divano» lo ammonii.

Continuai a colpirlo e a sfiorargli i testicoli con la punta della frusta, lui godeva e gridava, gridava e godeva. Il suo sedere liscio e chiaro si stava velocemente arrossando.

Nella mia mente continuai a riflettere sul fatto che se fosse venuto il sesso sarebbe durato troppo e io non volevo rischiare che accadesse.

Con un nastro gli legai la base del pene, almeno sarei stata certa che appena mi fossi stancata, lui sarebbe venuto e il sesso sarebbe finito. Non lasciavo mai decidere ai miei slave quando eiaculare.

Ero eccitata tanto quanto lui, ma gli schiavi erano schiavi e le padrone delle dee. Eravamo razze diverse.

Continuai a torturarlo come sempre finché non lo buttai giù dalla poltrona e mi ci misi io. Lo avrei costretto a darmi piacere, sperando che nella mia mente la sua bocca si sovrapponesse al viso di qualcun altro.

L'interno delle mie gambe era un luogo accessibile solo a Nyx e a Pier, o a qualche altro gigolò che mi aveva particolarmente colpito. Nessuno altro.

Ordinai al mio schiavo di sfilarmi la gonna e il tanga, così da rimanere solo con le calze, il reggicalze e gli stivali oltre al corpetto in pelle. Il suo pene stava davvero per esplodere.

«Dimostrami di saper usare bene quella lingua».

E naturalmente lui obbedì, inginocchiato tra le mie cosce. Non era bravo quanto chi avevo già provato, ma neanche tanto inesperto.

Riuscì anche a strapparmi un orgasmo.

L'ora da diecimila euro era quasi finita, altri venti minuti. Era ora di fare sesso.

Lo calciai a terra, gli accarezzai il pene gonfio sorridendo con perfidia. «Sei più eccitato di una puttana in calore».

Lui non rispose, si passò la lingua sulle labbra per assaporare ancora i miei umori. In fondo aveva sborsato un mucchio di soldi per assaggiarmi, glielo lasciai fare.

Gli infilai un preservativo e lo vidi sussultare. Lo avrei cavalcato io,non gli avrei mai permesso di essermi superiore guardandomi dall'alto.

Quando lo feci scivolare dentro di me lo sentii tremare, stringere gli occhi, lasciare libero un sospiro. Lo sotto mettevo da tre anni, da quando aveva iniziato a lavorare in proprio come avvocato,probabilmente era da allora che agognava questo momento. Mi impietosiva, lo avrei lasciato libero di toccarmi, non troppo però.

Liberai il suo pene dalla stretta del nastro e iniziai a cavalcarlo e timidamente cercó di afferrarmi dai fianchi, accompagnandomi nei movimenti. Averlo frustrato mi aveva stancata, perciò un suo aiuto non poté che tornarmi utile.

Gli graffiai il petto quando il piacere iniziò a crescere, tirandogli poi la catena del collare. Siria vietava a noi dominatori di lasciare segni evidenti sui nostri schiavi, i segni delle frustrate, abilmente date, dovevano sparire nel giro di qualche giorno. Ma in quel momento me ne infischiai di quella regola. Voleva del sesso con me? E allora lo avremmo fatto a modo mio.

Non ero una puttana, questo doveva restare chiaro a tutti.

Ebbi un altro orgasmo e poco dopo venne anche lui.

Mi piegai sul suo petto per riprendere fiato, eravamo entrambi sudati.

«Grazie,padrona» sussurrò. Era sincero e per questo non lo avrei punito per avermi parlato.

 Era sincero e per questo non lo avrei punito per avermi parlato

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