capitolo 2

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La situazione in auto era imbarazzante e non solo per Harry, ma anche per me dato che non sembravamo avere molto di cui parlare fra di noi. Non appena parcheggiai l'auto sentii come un enorme sollievo. Mi concentrai sul fatto che avrei dovuto evitare assolutamente di rattristirmi, perdermi in lacrime o fissare il vuoto con il volto depresso, perché altrimenti avrebbe capito ogni cosa e si sarebbe deciso a domandarmi il perché di tutto il mio disperare.


Purtroppo Harry aveva ragione; non appena mise piede nel locale ricevette certe occhiate da schifarsi dell'intera clientela. Teneva la testa bassa mentre mi seguiva e non osava alzare lo sguardo, per evitare di incontrare quello di qualche uomo o donna di un certo ceto sociale, diciamo. Io non sono di certo ricca sfondata, lavoro come animatrice d'asilo ed ho un part-time, quindi non guadagno valange di soldi. Mamma e papà, al contrario, erano due avvocati e portavano a casa molti soldi per non parlare dell'eredità a loro volta dei nonni, che erano tutti e quattro di un ceto elevato. Alla mia famiglia i soldi non sono mai mancati, avevamo tutto, tranne la parte della 'famiglia'.
Seduti al tavolo non potei fare a meno di notare lo sguardo preoccupato di Harry che sbirciava da tutte le parti ed esplorava ogni singolo angolo della sala meravigliato ed impaurito. 
-Ci vieni spesso qui?-mi aveva domandato giocherellando con delle buste di zucchero per il caffè trovate al centro del tavolino. Io annuii e lo imitai aprendo una delle bustine. Versai il contenuto sul tavolo e iniziai a giocherellarci distrattamente.
-Non hai vergogna a farti vedere con..me?-aveva accenato un sorriso amaro. Era tutto tranne che solare quella specie di ghigno debole e deprimente che mi rivolse. Scossi decisamente il capo sporgendomi in avanti, per assumere una posizione di decisione.
-Non ho affatto vergogna a farmi vedere con te, perché dovrei?-sollevai le spalle buttando a terra tutto il mio lavoro con lo zucchero sperando di non essere vista da qualche cameriere o cliente.
-Non sono esattamente un duca-questa volta il suo sorriso era un po' più divertito e spensierato, ma si poteva ancora intravedere benissimo quella piccola briciola di malinconia nel suo tono di voce. Sbuffai rumorosamente sgranando di proposito gli occhi. 
-Smettila. Posso farmi vedere con te, con un ratto delle fogne, con un principe e con chi voglio..-sorrisi soddisfatta della risata che feci nascere da un piccolo sorrisino sul suo viso.

Mi disse che erano anni che non entrava in un posto del genere, disse anche che non gli era mai piaciuto starci più di tanto dato che la gente non gli rivolgeva sempre uno sguardo gentile, nonostante fosse solo un bambino l'ultima volta che ci mise piede. Riuscì a sbottonarsi un po' e dalla sua lunga chiacchierata ricavai delle informazioni del tipo che lui non aveva famiglia. Aveva la madre che si prendeva cura di lui, ma per quanto si ricorda, un giorno la perse di vista e non la trovò più. Non penso sia la vera versione della storia, ma non credo nemmeno che sia il caso di dirglielo e fargli credere che io voglia sapere tutta la sua vita e farmi i fatti suoi. Lui con me era stato gentile, e mai invadente. E' davvero un pregio saper essere disposti per gli altri senza mai superare il limite. Sì, ma quel ragazzo era tutto un pregio, era un pregio unico. 
Non appena i minuti iniziarono a scorrere molto più velocemente gli occhi della gente puntati su di noi non valevano nemmeno più perché eravamo entrambi troppo presi l'uno dai discorsi dell'altro. Io gli avevo parlato dei miei e di come mia sorella mi abbia cresciuta per tutti questi anni senza mai lamentarsi. Lui mi disse di non avere una casa precisa, spesso dormiva da John, un amico con un monolocale, oppure quando gli andava bene trovava qualche ospizio e centri di quel tipo che lo ospitavano ed il giorno dopo lui scappava. Mi ha confessato di non poter stare rinchiuso dentro un luogo così pieno di disperazione per troppo tempo, per questo scappava, per avere l'unica cosa che gli rimaneva: la libertà. 
Si manteneva chiedendo spiccioli alle belle ragazze e del cibo a ristoranti o bar. 
-Nessuno mi aveva mai preso in considerazione, fino ad ora-affermò improvvisamente senza alcun accenno di sorriso. Era serio e profondo mentre mi stava ringraziando indirettamente con quella frase così dolorosa e dolce allo stesso tempo.
-Non riesco a capirne il perché-
-Non prendermi in giro ora-rise.
-Sono seria!-lo rimproverai mettendo fine alla sua risata. Per un secondo me ne pentii, era così bello sentirlo ridere.
-Forse perché nessuno è andato oltre al mio aspetto esteriore-tirò su con il naso. Ci ragionai su; Harry era davvero bello, sì. Però portava abiti da chissà quanto tempo che non emanavano uno degli odori migliori. La gente lo aveva sempre visto come il ragazzo sfigato che cerca solo due sterline al giorno per potersi comprate un pacchetto di patatine e farselo durare tre giorni come colazione, pranzo e cena. Oltre a questo aspetto piuttosto triste, io dentro lui ho visto altro; ho visto la voglia di vivere, la gioia e la contentezza di condurre una vita così banale e semplice, ho visto un cuore giovane felice di essere tale.
Poi pensai a me, a come in un giorno la mia vita potesse essere cambiata così tanto. Sapere di avere una scadenza così vicina e precisa, come se fossi un alimento, è atroce. Non mi godo più nessun minuto della giornata, perché so che quando finirà saranno soltanto altri sessanta secondi sprecati a fare nulla.
-L'ho capito che sei triste, ma non mi hai ancora detto il motivo per cui eri all'ospedale in lacrime ieri- track. Non so se fosse stato il mio cuore, i miei polmoni, un osso, il cervello o chissà che altro, ma sentii qualcosa dentro di me rompersi di fronte a quella richiesta.
-Solo..uhm..ho soltanto scoperto a cosa ha portato l'incidente con i miei quattro anni fa-mi scusai inventando velocemente, anche se non era poi proprio una bugia. Annuì serio e scrutandomi il volto pazientemente, forse in cerca della risposta vera.
-Che istruzione hai avuto?-fu una domanda della quale non seppi mai da dove mi saltò fuori. Mi sentivo uno schifo ad avergli chiesto una cosa del genere, forse ero solo paranoica, ma credevo di avergli messi di fronte un bel confronto fra le sue conoscienze e istruzioni  e le mie e me ne pentii.
-Mia mamma mi insegnava sempre qualcosa di nuovo quando ero bambino. Mi raccontava qualche storia sulla vita di certi personaggi e poi ovviamente mi ha insegnato a leggere e scrivere, e le sono sempre stato debitore per questo-abbassò lo sguardo sorridendo di nuovo in quel modo triste. Ogni volta che lo faceva mi sentivo una fitta al cuore, come se vedessi un mio parente soffrire, o qualcuno che amo. Ma quel qualcuno era Harry e non lo conoscevo nemmeno, perché allora ero così interessata a lui? Dannazione, Camille.
-Per averti dato una cultura?-mi interessai di più alla conversazione, e notai che lo apprezzò dato che mi imitò sporgendosi più avanti anche lui.
-Per avermi insegnato la scrittura e la lettura-inclinai la testa meravigliata e confusa. Gli piace leggere? E cosa legge? Dove scrive? Cosa scrive? Qualcuno legge? 
-Oh, tu..leggi e scrivi spesso?-sghignazzò ridendo per poi annuire impacciato. Sospirai credendo di avere di fronte la perfezione fatta a persona.
Mi raccontò che ha dovuto risparmiare per circa tre mesi per comprarsi una penna ed un diario dove appuntava tutta la sua vita. Spesso scriveva lettere alla madre anche se non era più con lui, ma non gli importava perché lo aiutava sfogare tutto con qualche frase su un pezzo di carta. Mi confessò anche che spesso il suo amico John andava in biblioteca a prendergli qualche libro che lui leggeva entusiasta e con passione. Gli chiesi perché non entrava lui stesso nella biblioteca, ma non rispose, limitandosi a sbuffare. Evidentemente stare in luoghi pubblici al chiuso dove la gente poteva indicarlo e parlare alle sue spalle lo metteva francamente a disagio. 
Dopo aver lasciato dei soldi sul tavolo uscimmo e mi propose di camminare insieme, accettai volentieri perché tanto non poteva importarmi più nulla del tempo. Alla fin fine, il tempo passato con Harry non era mai perso e di questo ne ero e ne sono convinta. Era un ragazzo intelligente, con una mente aperta, con un gran cuore e la forza di spostare l'intero mondo se solo l'avesse voluto. Era interessante ascoltarlo e quando mi poneva una domanda non mi sentivo per niente infastidita e rispondevo prontamente sentendomi al sicuro, perché mi fidavo e tanto anche. C'era un legame appena nato che però sembrava ben consolidato, era un sollievo ed aveva anche il potere di farmi dimenticare per un bel po' tutti i problemi di quei giorni. Era speciale.
Passeggiamo per molto, parlando, ridendo, scherzando e rivelandoci altri segreti d'infanzia. Non appena arrivammo di fronte ad un condominio si fermò dicendomi che quello era il luogo dove John abitava prima. Ora si è trovato un lavoro migliore e si è traferito in una casa vera e propria con una ragazza di nome Marilyn, ed aveva anche sentito che era forse incinta di una femminuccia. Sarebbe andato a trovarlo, e non solo perché aveva bisogno di lui, ma anche per il semplice motivo che era un suo buon amico, ma purtroppo questa sua costante paura di sbagliare o infastidire ed essere sbagliato o infastidito lo perseguita rendendogli la vita impossibile.
Tornammo all'auto e mi salutò raggiante ringraziandomi di tutto, anche se ero io quella che avrebbe dovuto ringraziarlo per avermi permesso di sapere così tante cose sul suo conto. Non sapevo dove sarebbe andato ora, ma mi sentivo talmente stalker da volerlo sapere.
-Dai idiota, metti in moto e basta-mi rimproverai per conto mio per l'ennesima volta e mi ascoltai girando le chiavi e partendo vero casa mia; ora mai le cose surgelate nel bagagliaio saranno sciolte, sbuffai. Quando arrivai a casa ebbi la conferma; i gelati erano sciolti e i cibi precotti da mettere nel frigorifero, nonostante fossero rimasti un po' al fresco per via della stagione, erano caldi. Ci misi una buona mezz'ora se non di più per sistemare tutto e buttare nell'immondizia il mio prezioso dolce all'amarena, salvando però il recuperabile.
Tenevo la mente impegnata guardando la televisione, telefonando a mia sorella, sistemando i panni in camera mia o cercando di mettermi ai fornelli e ricavarne qualcosa di decente per una volta. Questa mia strategia funzionò, ma quando ebbi finito le idee mi arresi buttandomi a peso morto sul mio letto, lasciando che i miei pensieri mi mangiassero viva. Di solito a casa mia quel silenzio così tombale mi rilassa e me lo godo sempre, ma quel pomeriggio era soltanto una scusa in più per deprimersi e scoraggarsi.
364, solo 364 giorni di vita mi aspettavano.
E' deprimente, davvero deprimente. Un anno dopo, esattamente all'anniversario del giorno in cui incontrai Harry, sarei morta. Morta.
Il mio cervello non riusciva ancora a realizzare, per questo spesso mi perdevo in momenti di totale sconforto cercando di ragionare sulla faccenda. La verità è che nonostante mi sentissi arresa, dentro di me credevo che un giorno i medici mi avrebbero chiamato e mi avrebbero sottoposto ad un intervento che mi avrebbe dato il permesso di vivere più a lungo.
Allungai la mano verso il cassetto del mio comò ed afferrai un pacchetto di sigarette. 
Il fumo uccide. 
Il fumo fa male. 
Il fumo danneggia i polmoni. 
Tanto sarei morta lo stesso, mi importavano ancora meno ora quelle stupide scritte futili. Inspirai ed espirai la prima volta per dimenticare le immagini dell'incidente che ancora mi tormentavano; inspirai ed espirai la seconda per dimenticare quei quattro anni dolorosi; inspirai ed espirai la terza per dimenticare la scritta 'mancano 365 giorni'; inspirai ed espirai la quarta per dimenticare tutto e liberare la mente da ogni preoccupazione ed infine inspirai ed espirai la quinta per concentrarmi sugli occhi della speranza. Già, Harry. Il ragazzo con la fortuna di avere sempre con sè, ben stampata in volto, l'ottava meraviglia del mondo.
Non sapevo il perché, ma pensare a lui mi faceva stare bene, mi faceva rilassare e sentire al sicuro, in un certo senso. Mi dava vita e protezione inconsciamente, mentre se ne stava lì, a sorridermi impacciato e a continuare a parlare di tutta la sua vita tormentata, ma ai suoi occhi felice.
Forse è questo quello che mi piaceva di lui; mentre io non facevo altro che vedere le cose negative, lui si concentrava su tutti gli aspetti positivi della vita e sorrideva entusiasta di qualsiasi cosa. Rivolsi lo sguardo al crocifisso appeso nella mia stanza. Un tempo quella era la camera dei miei genitori, che ai tempi cercarono di trasmettermi la passione e la fede per la religione. Io non ci ho mai creduto più di tanto, e questo non faceva loro piacere. La questione Dio è leggermente delicata perché non so se crederci o meno, sono veramente combattuta riguardo questo argomento, ed anche se ho passato l'infanzia passando da casa a chiesa costretta dai miei genitori, più imparavo cose riguardo Dio, meno ci credevo.
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Ho pubblicato il secondo capitolo e spero che vi piaccia.

365 giorni per dirti ti amo.Where stories live. Discover now