-uno- 🌼

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Come ogni sera mi sedetti sulla poltrona della terrazza. Accesi una sigaretta e abbassai lo sguardo sulle strade sotto di me.
Cercavo sempre di guardare le macchine passare, o qualche animale fra gli alberi, ma ormai da mesi la mia attenzione era sempre catturata da un ragazzo.

I primi giorni non ci avevo fatto caso, ma col passare del tempo mi accorsi che ogni sera era seduto su quella panchina. Avevo pensato che non fossero affari miei, ed era davvero così, ma non resistivo alla tentazione di guardarlo.
Avevo pensato che lavorasse lì vicino e aspettasse che il suo turno iniziasse o qualcosa del genere, ma poi esclusi questa ipotesi, non aveva di certo l'aspetto di qualcuno che andasse a lavorare, probabilmente era anche troppo giovane per farlo.
Poi arrivò la prima stagione delle piogge. Mi aspettavo che con tutta la pioggia che cadeva quasi ogni sera, non lo avrei più visto, invece era sempre lì, seduto su quella panchina e rannicchiato su se stesso per proteggersi, per quel che poteva.
Una notte decisi di rimane lì finché non se ne sarebbe andato, per vedere dove andasse, ma alle tre del mattino di addormentai. Il mattino successivo mi sentì profondamente stupido. Passavo in quella strada quasi ogni mattina da mesi, ma non avevo mai guardato quella panchina, e probabilmente anche se avessi voluto con tutta la gente che passava a quell'ora non sarei riuscito a vederlo.

Col passare del tempo quel "non sono affari miei" si era trasformato in un "chissà chi è e perché è lì". Provai anche a darmi delle risposte, quasi ogni giorno mi fermavo su quella panchina con l'intenzione di parlargli, ma appena arrivavo lui alzava lo sguardo verso di me e mi guardava qualche secondo con la speranza dipinta negli occhi, poi li abbassava deluso e io mi bloccavo. Mi sedevo accanto a lui e tiravo fuori un libro. Ogni tanto con la coda dell'occhio lo guardavo mentre si avvicinava lentamente e cominciava a leggere insieme a me, a volte sembrava più preso di me, talmente tanto che quando si faceva buio ed ero costretto a tornare a casa lui si spaventava e si girava immediatamente dal lato opposto al mio, fingendo di guardare la strada.

A svegliarmi dai miei pensieri furono tre uomini: si avvicinarono velocemente a lui e lo buttarono giù dalla panchina. Gli tirarono vari calci, poi uno dei tre lo tirò su dal collo e cominciò a picchiarlo in volto. Dai loro movimenti capivo che gli stessero dicendo qualcosa, e nonostante fossi al sesto piano e non riuscissi a sentirli, potevo immaginare. Dopo minuti, nei quali avevo pensato a cosa fare, i tre se ne andarono ridendo, lanciandolo a terra davanti alla panchina.
Senza nemmeno riflettere su quello che stessi facendo buttai la sigaretta sul posacenere e entrai in camera. Presi al volo i primi vestiti abbastanza pesanti che avevo trovato, poi presi le scarpe e il giubbotto e corsi verso l'ascensione, nel quale mi preoccupai di indossarli.
Appena le porte dell'ascensore si aprirono feci una piccola corsa verso la porta d'ingresso e uscì andando verso la sua direzione, senza nemmeno ricordarmi di guardare la strada prima di attraversare.
Arrivai da lui con il battito del cuore a mille e il respiro corto. Lui non sembrò nemmeno notarmi, stava rannicchiato su sé stesso mentre l'intero corpo tremava. Gli picchiettai delicatamente un dito sulla spalla, avendo paura di spaventarlo o fargli male. Lui alzò lentamente la testa, ricoperta in parte da sangue e per la prima volta invece di abbassare lo sguardo, rimase a fissarmi.

-tieni, vestiti- furono le uniche parole che riuscì a dire. Mi sentivo una fottuta ragazzina che si stava dichiarando alla sua prima cotta. Lui scosse debolmente la testa.
-vestiti, i tuoi abiti sono tutti strappati, congelerai- glieli porsi ancora.
-non ho soldi hyung- sentì la sua voce flebile, scossa da brividi e singhiozzi.
-non te li voglio vendere, voglio solo che gli indossi- glieli avvicinai di più.
-non posso, sono tuoi- mi trattenni dal dargli due sberle e sospirai.
-sì che puoi, te li sto regalando, quindi ora sono tuoi-
Lui abbassò la testa tornando rannicchiato su se stesso.
-se non ti vesti ti ammalerai, siamo ancora a febbraio sai, non fa molto caldo, e tu stai per entrare in ipotermia, dopo ti dovrò portare in ospedale e non ho voglia di guidare a quest'ora, quindi metti da parte le buone maniere e l'orgoglio e prendi questi vestiti, se no te li metterò io- mi sedetti accanto a lui, che m'ignorò restando con la testa nascosta fra le ginocchia, ma dopo qualche secondo alzò lo sguardo e allungò lentamente una braccio, prendendo i vestiti con le mani che tremavano.
Sorrisi compiaciuto e lo guardai infilarsi la maglietta, poi la felpa, poi i pantaloni e il giubbotto, tutto senza alzarsi dalla panchina.

-grazie- sussurrò dopo qualche minuto. La sua voce tremava ancora, ma le sue mani , coperte dai vestiti troppo grandi, avevano smesso.
-ma ora dovresti tornare a casa tua- sorrisi guardandolo.
-si, tornerò a casa, ma... prima voglio sapere come ti chiami- lui alzò lo sguardo e mi guardò.
-io... Jisung-
-bene, Jisung. Io sono Minho- gli sorrisi, poi tornai al mio appartamento.

cringe

𝙃𝙤𝙢𝙚𝙡𝙚𝙨𝙨 // 𝙈𝙞𝙣𝙨𝙪𝙣𝙜Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora