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Una sottile scia di fumo grigio si levava davanti ai suoi occhi stanchi, posati sul cielo notturno illuminato dalle numerosissime luci artificiali che animavano la città. A volte quella città, vista dall'alto del suo appartamento, le sembrava una piccola riproduzione su scala 3D, di quei modellini che si trovavano nei musei per riprodurre ad esempio templi o strutture antiche e cercare di ricostruirne la loro struttura com'era in passato. Luci arancioni, rosse, gialle e qualcuna blu o verde, tutto si confondeva, ma era spettacolare. Una visione che aveva ogni sera, ripetitiva, ma che mai l'aveva stancata.

«Tutto bene? Non vai a dormire? Domani hai il colloquio.»

Premette la cicca della sigaretta su una superficie tonda di vetro, sporca di altra cenere e con altri mozziconi a riempirla; si voltò verso quella voce che, da ventisette anni a quella parte, non era poi così tanto cambiata.

«È un incontro formativo, niente di nuovo per me...dovrò soltanto mostrare alcuni lavori, ma li ho già pronti da un pezzo.»

«Cos'hai preparato? Ho visto che ci hai lavorato a lungo, ma non mi hai mai fatto avvicinare, nemmeno per una sbirciatina veloce.»

«E va bene...»

Passandogli accanto e scattando verso la scrivania, aprì un cassetto nel quale era riposta una busta gialla piuttosto grande, da cui tirò fuori diversi fogli tutti della stessa misura. Su quei fogli c'erano stampati disegni ritraenti diverse forme e figure, tutte colorate e ben assemblate. Doveva aver faticato tanto prima di arrivare ad un risultato del genere. L'altro annuiva, compiaciuto di quanto poté vedere. Se fosse stato il capo di quella donna l'avrebbe approvato senza battere ciglio, ma un esperto in materia, al posto suo, avrebbe prima fatto prima diverse speculazioni circa tutto il lavoro, sottoponendola a diverse domande, osservazioni, così da far diventare quel colloquio un vero e proprio esame.

«Complimenti! Complimenti, Alice. Sei stata bravissima.» asserì Henry, cambiando diverse volte espressione, oscillando tra lo stupore e la contentezza.

Alice si limitò ad un sorriso, ma i suoi occhi stanchi raccontavano ben altro: non si sentiva così brava come lui pensava, quel lavoro era sempre un esame, ogni giorno la verifica delle sue capacità, che nulla di tutto quello che ebbe acquisito andasse perduto, finisse in fumo come niente. E quindi passava le ore, tante ore a scervellarsi su come disegnare una cosa piuttosto che un'altra, le sostituzioni, ad assicurarsi che le sfumature di colore non fossero troppo diverse tra di loro nonostante usasse gli stessi colori, la stessa marca e qualità di colore da diversi anni. Ma anche cose del genere potevano subire cambiamenti nel tempo, come i gelati che d'estate comprava. Trovava che il ripieno di vaniglia non fosse più cremoso come lo era un paio di anni prima, così come era cambiata la qualità del cioccolato che lo rivestiva. E far abituare anche il loro piccoletto, Ronnie, non era stato semplicissimo, ma il vantaggio è che si trattava di un bambino di sei anni, quindi potevano raggirarlo facilmente su certe cose. Da quando gli aveva comprato altro tipo di gelati, Ronnie aveva sviluppato un particolare amore per i gelati-biscotto con crema al cacao e se avesse potuto avrebbe mangiato spesso e volentieri solo quelli.

«Ronnie dorme?»

«Da un pezzo, l'ho messo a letto un'ora e mezza fa. Si è addormentato subito, era stanco, oggi gli allenamenti al campo di basket lo hanno sfinito.» disse Henry, ridacchiando.

«Sono quasi due anni da quando ha cominciato, nonostante cresca il pallone rimane sempre più grande di lui.»

«Già! Fa ridere vederlo correre in mezzo ai ragazzini più alti di lui, ma ti posso garantire che scatta come un predatore quando si tratta di prendere quel pallone e di buttarlo nel canestro.»

«Nel canestro? A dieci metri di altezza da lui? Andiamo!»

Entrambi scoppiarono a ridere, ma dovettero soffocare subito quelle risate fragorose, evitando di svegliare il bimbo. Questi era in piedi dietro al tavolo della cucina, con le manine poggiate sul bordo. Guardava i suoi genitori piuttosto sfiduciato, mostrando un'espressione imbronciata.

«Sono le undici e mezza Ronnie, perché sei in piedi?» chiese Alice.

«Non mi va di dormire. Vi ho sentito. Dite che il pallone è più grande di me.»

«Per ora, ma non sarà sempre così.»

«A scuola e a basket mi prendono in giro perché sono il più piccolo.»

Henry e Alice si scambiarono un'occhiata, avrebbero ridacchiato, ma non di gusto. Trovavano che Ronnie fosse ancora più tenero quando si presentava scocciato, solitamente non sbottava mai, era un bimbo abituato ad incassare i colpi e a mandare giù rospi. Un tratto forte del suo carattere che aveva preso un po' da sua madre, Alice, e un po' da suo zio Vincent. Di Henry, per fortuna, non aveva ereditato la scarsissima pazienza facilmente minabile. Anche se erano passati ventisette anni, certe cose non erano cambiate e Alice si era rassegnata al fatto che fosse proprio così di indole, quel teppista che aveva avuto il coraggio di sposare. A Ronnie però non era mai stato raccontato niente sul passato turbolento dei suoi genitori, gli avevano detto che i suoi nonni erano già tutti volati in cielo, ma mai come e a quanti anni fossero spirati via. Ronnie era abituato a sapere che la sua nonna paterna era sconosciuta al suo papà, perché 'certe mamme vanno via prima di casa', che il suo nonno paterno aveva bevuto troppo alcol e per questo gli si erano danneggiati i reni, e che i suoi nonni materni avevano vissuto abbastanza serenamente e quindi il Signore li aveva chiamati perché per loro andava bene così. Un sacco di frottole, insomma. 

Ronnie non aveva ancora compiuto sette anni, mancavano quattro mesi e già si era prenotato per una torta al cioccolato. Al suo compleanno ci sarebbero stati anche Vincent e Caleb, gli zii per cui stravedeva. Vincent gli raccontava dei diversi viaggi fatti, dei posti visitati e come da rito, gli portava sempre qualcosa dai luoghi che aveva potuto visitare. Caleb, invece, era ormai uno chef famoso in tutti gli Stati Uniti e prevedeva di qualificarsi per le prossime gare a livello internazionale, le avrebbero disputate in Grecia, un posto insolito, ma il tema era la cucina mediterranea.

Henry si allontanò da sua moglie, non prima di averle dato di un bacio sulla guancia, stessa cosa per Ronnie. La madre fece cenno al piccolo di raggiungerla con un gesto della mano, andarono a sedersi sul divano. Ronnie si era accomodato sulle sue gambe, poggiando la testa sul suo petto. Alice gli accarezzava i capelli, biondo cenere come i suoi. Aveva gli stessi occhi azzurri di Henry, ma i tratti somatici del viso erano simili ai suoi. 'Per fortuna' commentava Henry, che di viso non si era mai, realmente, reputato un granché in fondo.

«Come mai non riesci a dormire?»

«Ho sognato una cosa brutta.»

«Cosa?»

«Tu non ci credi ai mostri...»

Alice sembrò titubante, perplessa, ma voleva capire a cosa il bambino si riferisse.

«Hai sognato un mostro?»

«Sì...ed era un mostro che rideva, mi voleva dare un palloncino rosso...»

Alice si sentì pervasa da una orribile sensazione di disagio, di quelle che non provava da alcuni anni, da quando era nato Ronnie. Con l'arrivo di suo figlio la sua vita era cambiata, in meglio, decisamente in meglio. Era felicissima di aver avuto quel bambino, Ronnie era la gioia sua e di Henry ma anche dei suoi fratelli, gli unici che ancora non lo avevano conosciuto di persona erano i vecchi amici di Henry, Victor e Reginald. Quest'ultimo era rimasto a Derry, lavorava come postino, Victor invece era sempre in giro per l'America e per il mondo, facendo diverse tappe tra gli Stati Uniti e il Taiwan, la Corea e qualche volta il Giappone. Era diventato un affermato coreografo, aveva scoperto la passione per il ballo subito dopo i tragici eventi di Derry. Anche lui era scappato da quella città maledetta, si era rifatto una vita e ora era super felice. Si tenne sempre in contatto con Henry e Alice, Ronnie lo aveva visto diverse volte il fotografia o qualche volta in videochiamata.

Quell'estate avevano previsto di fare una riunione tutti insieme, a Derry, andando a trovare Reginald che non aveva potuto cambiare i turni di lavoro ed anticiparsi qualche giorno di ferie.

Temo che non andremo più solo in vacanza, a Derry.

Avrebbe detto a suo marito quella stessa sera. 

"Like lambs to a slaughter..." | IT - 2 0 1 7Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora