Capitolo 22

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Emeli Sandé - Next To Me

«Sei pronta?» urlò Justin dal piano di sotto. Chiusi il giacchetto ed uscii dalla stanza mettendo il cellulare nella tasca.
«Dove andiamo?» chiesi quando aprì il portone.
«A fare un giro» rispose.
«Io non guido, levatelo dalla testa» annunciai e puntai un piede a terra, mi prese per mano.
«Cammina, bambina» fece ridacchiando ed alzai gli occhi al cielo. Tirò fuori due caschi dal cofanetto, ne infilò uno e mi passò l'altro. Ci provai due o tre volte senza ottenere alcun risultato e poi mi arresi.
«Come diavolo si infila?» brontolai e rise togliendomelo dalle mani. Armeggiò con il casco e poi me lo sistemò per bene in testa, sorrisi come un ebete mentre mi abbassava gli occhialetti sul naso.
«Metti un piede qui» disse quando si sedette. Feci come mi aveva detto e scavalcai il sellino. Due minuti dopo eravamo per strada ed i miei capelli volavano col vento. Chiusi gli occhi e mi strinsi di più a Justin, era rilassante.
«Stai bene?» domandò.
«Si!» esclamai. Mi sentivo libera, libera da tutto, dal pensiero di mio padre morto a causa mia, dal pensiero di Justin papà, dalla morte di mia nonna sempre più vicina, dai problemi che aveva mia madre. Ero libera ed imbattibile. Aprii le braccia, il vento mi sfrecciava sulla pelle.
«Sto volando!» urlai. Justin mi guardò dallo specchietto e sfoderò un enorme sorriso. Diavolo, quanto era bello.
Aumentò di poco la velocità e dopo una decina di minuti arrivammo in un paesino sulla cima di una piccola montagna.
«Cosa facciamo, ora?» domandai mentre mi slacciava il casco.
«Ti porto a fare un giro» soffiò.
«Andiamo a fare un po' di spesa» feci e sbuffò, sfilò il casco e lo sistemò nel cofanetto.
«Se non vuoi morire di fame dobbiamo, il frigo è vuoto» sbuffai.
«Andiamo» dissi. Un'ora e mezzo dopo, avevamo le braccia piene di buste della spesa. Ero del tutto sicura che almeno una cinquantina di persone ci avessero riconosciuti insieme per strada, senza contare le persone che non staccavano lo sguardo da noi nel supermercato. Non erano arrivati paparazzi, come succedeva di solito, solo gruppetti di ragazze e ragazzi, o genitori che chiedevano autografi per i figli.
«Sali?» la voce di Bieber mi riportò alla realtà e annuii, mettendomi comoda dietro di lui. Quando arrivammo, la prima cosa che feci fu svuotare le buste, sistemai per bene ogni singola cosa nel frigo e poi salii al piano di sopra per sistemare un po' in camera. Mi feci una coda e poi aprii le finestre per far prendere un po' d'aria fresca alla stanza. Misi i panni sporchi a lavare e mi persi nei pensieri mentre rifacevo il letto. Sembrava così strano essere spensierati che quasi mi sentivo in colpa per non piangere di continuo per mio padre. Questa mattina avevo mandato dei soldi a mio nonno, la nonna doveva curarsi ed io dovevo aiutarla in qualche modo. Sospirai e rabbrividii quando una folata di vento mi colpì dritta sulla schiena, la porta della camera sbatté e sentii qualcosa cadere. Mi sbrigai a chiuderla e scorsi per terra un quadernino ad anelli, la copertina era bianca e aveva qualche scarabocchio sopra. Lo raccolsi e portai gli occhi a due fessure quando vidi la scrittura di Justin, me lo passai tra le mani incerta e poi feci spallucce ed uscii dalla stanza.
«Tieni» dissi e lo porsi a Justin che mi rivolse un'occhiata curiosa, poi mi fece un cenno col capo.
«Dove lo hai trovato? L'ho cercato questa mattina ma niente. Puoi aprirlo comunque, se vuoi» borbottò e rimasi ferma chissà per quale motivo. Me lo tolse dalle mani quando non risposi e lo sfogliò davanti a me.
«Ti piacciono?» chiese. Annuii lentamente e mi persi ad osservare i disegni realizzati con tanta cura sulla carta. I tratti erano delicati e molto precisi, le sfumature erano fatte alla perfezione ed ogni pagina aveva uno stile diverso. Un occhio, il volto di un orso, numerose frasi, un' aquila, la parola "TRUST", una piuma. Mi soffermai di più a guardare l'ultimo, era molto semplice ma sembrava voler racchiudere più degli altri.
«Alcuni sono i tuoi tatuaggi» risposi e annuì porgendomi il quaderno.
«Se continui a sfogliare trovi altri schizzi» soffiò e ticchettò le mani sul divano accanto a lui per farmi segno di sedere. Mi poggiai con la testa sulla sua spalla e lui circondò la mia. Rimasi seriamente esterrefatta dal suo talento, ogni progetto sembrava più stupefacente dell'altro.
«Da quanto disegni?» domandai, Justin storse il naso.
«Da quando ero piccolo, ma non in maniera continuativa. Di solito disegno quando sono stressato, mi scarico così.» borbottò.
«E in questo periodo?» volli sapere.
«Non particolarmente, ma ho iniziato questo ieri sera» pronunciò con voce calda che mi mise i brividi. Girò pagina fino a quella che voleva mostrarmi e poi mi rivolse un sorriso strano. Trattenni il fiato quando mi riconobbi nel disegno, avevo i capelli scompigliati e gli occhi chiusi, la bocca era semiaperta e sembravo rilassata. Arrossii al pensiero di Justin concentrato a disegnarmi mentre dormivo, lo immaginavo un po' come Jack di Titanic.
«Ti prego, se questa sera avrò la bavetta non ritrarla» feci giocosamente e ridacchiò stringendomi a lui.
«Ci proverò» esaudì «ma non contarci troppo» continuò e scossi la testa dandogli un leggero buffetto sulla coscia.
«Sei bravissimo, comunque» farfugliai «sul serio» sussurrai e mi lasciò un bacio tra i capelli.
«Questo è uno dei miei preferiti» dissi e girai pagina puntando gli occhi sulla piuma.
«Sei seria?» chiese e annuii.
«Non è banale?» replicò.
«Per me è tutt'altro» feci.
«Che significato gli hai dato?» domandai.
«È difficile da spiegare» mugugnò «diciamo che ha un senso metaforico e che in alcuni aspetti mi rappresenta» soffiò e sorrisi perché capii perfettamente il significato che voleva dargli anche senza spiegarmelo.
«Potresti tatuare questa» suggerii, Justin rimase in silenzio per qualche istante e poi scosse la testa lentamente.
«Devo pensarci bene» pronunciò con voce bassa.
«Tu hai ancora voglia di farne uno?» chiese con le sopracciglia alzate. Stavo per scuotere la testa ma qualcosa mi bloccò.
«Si, ma non ne sono sicura» balbettai e mi alzai dalle sue gambe.
«Do--» iniziai ma venni bloccata dalla suoneria del suo telefono. Sbuffò pesantemente e lo tirò fuori dalla tasca, poi mi fece cenno di aspettare, si alzò e salì al piano di sopra. Rimasi ferma in silenzio per alcuni istanti, con la testa altrove ad immaginarmi con una parte del corpo piena di inchiostro, feci spallucce e mi alzai. Decisi di ammazzare il tempo, potevo iniziare a preparare il pranzo. Mi lavai le mani e misi l'acqua a bollire, condii l'insalata e apparecchiai mentre canticchiavo di tanto in tanto.
«Yas» mi chiamò Justin che entrò in cucina con i pugni serrati.
«Mi ha chiamato Scooter, è incazzato nero» grugnì e corrucciai le sopracciglia.
«Perchè?» chiesi mettendo una bottiglia d'acqua sul tavolo.
«Non gli ho detto che partivo, non mi avrebbe lasciato andare e mi sono rotto le palle di chiedere il permesso per tutto.» spiegò. Annuii gelata e cercai di ragionare in modo sensato.
«Ci hanno fotografato, la notizia è già su internet e lui non ne sapeva niente di noi due di nuovo insieme. Ariana lo ha chiamato in preda ad una crisi di nervi e la mia reputazione da buon padre è a rischio» grugnì di nuovo e passò una mano tra i capelli tirandoli. Mi morsi il labbro inferiore e improvvisamente sembrai risvegliarmi. A pensarci bene ora eravamo stati degli idioti, come potevamo pensare di non fare scandalo?
«Dovremmo tornare» Sospirai poggiandomi all'isola, eccoci tornati alla stressante realtà.
«Mi sono rotto le palle, domani torniamo e facciamo quello che dobbiamo fare per poter stare per i cazzi nostri, in pace» sbottò con tono fermo.
«Spaccherò il culo a chiunque dirà il contrario» annunciò e chiusi gli occhi per fare chiarezza. Già si sentiva aria di casa.

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•Playlist Spotify: "Who We Are 2 - Chasing The Clouds📗", di sweet_MrsStyles

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