11. Ricordi atroci

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Dylan's Pov

Arrivato davanti al vialetto di casa parcheggio la mia amata macchina nel posto riservato e scendo.
Fa molto freddo ed adesso ho indosso solo una felpa nera della North face.
Estraggo dalla tasca dei pantaloni le chiavi e, il più velocemente possibile, apro la porta.
Come mi aspettavo trovo sulla sedia del salotto la babysitter di Avril, la mia sorellina. Ha solamente 7 anni, e siccome mio padre si trattiene spesso al lavoro la sera, ha contattato Pamela per prepararle la cena e metterla a letto.
«Pamela sono tornato, adesso puoi andare» le dico con indifferenza, porgendole i soldi sul tavolino che le spettano.
«Stasera Avril ha fatto un po' di capricci. Voleva assolutamente qui il suo fratellone a tenerle compagnia!» esclama lei ridendo. Dopo avermi salutato esce di casa, lasciandomi solo nell'ampio salotto.
È stata una serata abbastanza noiosa,persino la scopata con Nicole in quel misero bagno. Ho scopato con molte ragazze, ma lei è una di quelle che lo farebbe in qualunque posto.
Non dico che non scopi bene e che non sia gnocca, ma ormai mi sto stufando del suo modo di fare così appiccicoso e da puttana.
Salgo al piano di sopra e mi dirigo in camera di Avril. Dorme come un angioletto.
Sono molto legato a lei, è e sarà sempre la mia principessa. Credo che sia l'unica persona che sia in grado di strapparmi un sorriso in questo periodo.
Le poso un dolce bacio sulla fronte e le riavvio i lunghi capelli biondi dietro l'orecchio. Lei si scosta leggermente e sulla sua bocca si crea un piccolo sorriso. Di conseguenza sorrido anch'io.
Dopo averla ammirata ancora per qualche minuto, esco dalla stanza per tornare al piano di sotto.
Mi siedo sul grande divano color crema ed accendo l'enorme TV a muro, che si trova di fronte.
Faccio un po di zapping, ma non trovo nulla di interessante.
La mia attenzione viene catturata però da una fotografia posta sulla piccola libreria sotto la TV.
È una foto che ritrae me, all'età di 9 anni, affianco a...mia madre. Lei era così giovane e bella. I lunghi capelli quasi dorati le circondano il viso, mentre i suoi occhi azzurri esprimono uno sguardo pieno di gioia e speranza accompagnato dal suo sorriso perfetto.
Merda quanto mi manca. Avevo 11 anni quando la persi per sempre...
Lei sembrava così ansiosa quel giorno mentre ci incamminavamo tra l'indescrivibile caos di New York. E lei non era mai ansiosa...
L' avevo sentita la sera prima litigare con mio padre per non so quale motivo e il giorno dopo era decisamente di cattivo umore. E lei non lo era mai. Ma quella mattina non riuscì a nasconderlo. Mentre cercammo di attraversare la strada un camion fuori controllo ci venne addosso... e ancora ho impresso il momento in cui lei mi spinse sul ciglio della strada in modo che non possa essere investito. Ma mia madre non fece in tempo a spostarsi con me...
Caddi sul marciapiede e quando riaprii gli occhi lei non era più accanto a me. Era scomparsa. Tra il rumore assordante delle macchine che suonavano e la polvere del cemento innalzata dalla sgommata del camion, ero completamente stordito. Atterrando sulla strada mi sbucciai il ginocchio, ma non sentivo alcun dolore. Ciò che mi importava era ritrovare mia madre. Ma poi la vidi. Era lì. Sull'asfalto pallida, immobile, ferma, con i tagli e lividi su ogni centimetro di pelle. Non parlava, non respirava. Dopo che i dottori ci dissero che era morta sul colpo,per notti e notti continuavo a sognare la sua ultima espressione prima di perderla per sempre e il suo corpo senza vita disteso sul cemento freddo.
Ogni giorno mi pento di non aver potuto fare nulla. Cazzo, magari ci fossi finito io sotto quel fottuto camion. E non posso smettere di sentirmi in colpa, perché se non lo facessi non ci sarebbe più nessuno che starebbe male per la sua morte.
Scaccio dalla mia testa questi pensieri nel momento in cui sento la porta di casa aprirsi.
Subito dopo vedo entrare mio padre, vestito in giacca e cravatta con la sua valigetta ventiquattrore nera.
«Ciao figliolo, com'è andata la giornata?» mi chiede lui, mentre ripone il pesante giaccone, anch'esso nero, nell'armadio all'entrata.
«Bene» rispondo secco. Sono stanco e non ho assolutamente voglia di fare conversazione.
«Devo parlarti di una cosa..» afferma scandendo ogni singola parola.
«Se devi proprio dirla adesso dilla»
Viene verso la mia direzione e si siede sul puffo affianco al divano.
«In questo periodo la mia azienda sta avendo buoni risultati. Sta crescendo a dismisura e i risultati di vendita sono aumentati nettamente..» spiega lui.
Non capisco perché mi stia raccontando questa cosa, visto che non parliamo mai del suo lavoro, ma lo lascio continuare.
«Ho deciso di entrare in collaborazione con un altro proprietario di un'altra azienda, per darci la possibilità di crescere a vicenda grazie all'aiuto reciproco.» continua lui.
«E tutto ciò perché dovrebbe interessarmi?»replico sbuffando.
«Affinché riesca a fare questo, dobbiamo trasferisci. Sempre qui a New York, ma affianco alla casa di questo mio collaboratore. Ho già comprato la casa e firmato il contratto. Dobbiamo lasciare questa casa entro la prossima settimana, quindi in ogni tuo momento libero cerca di radunare la tua roba negli scatoloni che sono in cantina.» dice in tono fermo.
Faccio fatica a comprendere il significato delle parole appena uscite dalla bocca di quel coglione di mio padre, ma appena mi è chiaro percepisco il mio volto diventare rosso di rabbia. Non posso credere che abbia fatto una cosa del genere, senza neanche accennarmelo.
«Come scusa? Ma che cazzo di discorso è? Stai scherzando?!» dico infuriato.
Lui fa cenno di no con la testa.
« Ovvio... hai agito per i cazzi tuoi come fai sempre! Senza neanche accennarmelo prima di firmare quella merda di contratto. Sembra che te ne sbatti il cazzo della nostra famiglia, proprio come hai fatto dopo la morte di mia madre!» urlo infuriato a quel coglione che dovrebbe essere mio padre.
« Abbassa il tono con me mi hai capito?!» replica lui altrettanto arrabbiato.
«Sai cosa ti dico? Vaffanculo!» sbraito.
Salgo il più velocemente possibile in camera, ignorando mio padre che continua a chiamarmi dal piano di sotto.
Sbatto la porta della stanza, mi tolgo rapidamente i vestiti, e mi infilo sotto le coperte.
Non posso ancora credere che mio padre abbia potuto fare una cosa del genere. Tengo moltissimo a questa casa.
È la casa in cui ho vissuto con mia madre. Qui ho gli unici ricordi che mi restano di lei.
E mio padre ha deciso bene di sbattersene il cazzo di tutto ciò.
Continuo a rigirarmi nel letto con l'intento di addormentarmi, ma tutto in vano.

Painted SoulsWhere stories live. Discover now