2. Ritorno al passato

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Ho trascorso a Denver i primi 17 anni della mia vita.
Era una città molto bella, ricca di musei d'arte, con opere meravigliose di artisti che ho sempre ammirato, e molti posti da visitare.
Era una città immersa nel verde, dati i numerosi parchi presenti in giro.
Il mio preferito era il "Washington park" soprannominato "wash park" da noi che abitavamo lì.
Era un parco enorme, immerso nel verde. Erano presenti due grandi laghi alle estremità, aiuole piene di fiori di ogni tipo e tantissime aree ricreative. C'era anche una zona riservata allo sport e al fitness, dove ragazzi ed adulti si recavano, per allenarsi in mezzo alla natura.
Passavo molto tempo lì , a dipingere oppure a studiare.
La mia casa distava pochi minuti dal centro.
Era a due piani, con un piccolo giardino che immetteva sulla strada. La mia camera si trovava al secondo piano. Non era molto grande. Le pareti erano tappezzate di dipinti, sempre piena di nuove tele bianche che aspettavano solo di essere riempite, pennelli e colori qua e là e una serie di grembiuli sporchi di pittura. Ad un lato della stanza c'era il mio letto, sempre in disordine, mentre dalla parte opposta una piccola scrivania ed uno sgabello. Infine, in un angolo c'era una scala a chiocciola che immitteva sul tetto, dove trascorrevo molto tempo, a pensare e fare qualche schizzo del bellissimo panorama di Denver. Di fronte alla mia casa c'era un altro parco, molto più piccolo del "Washington park" ma molto accogliente. C'erano varie panchine e tavoli di legno e alcuni giochi per bambini.
Non mi servivano le feste, i ragazzi, l'alcool, le droghe per essere felice, ma semplicemente un pennello ed una tela.

La mia migliore ed unica amica si chiamava Megan: eravamo molto simili, e per questo ci capivamo al volo. I nostri genitori erano molto amici, e questo ci diede la possibilità, fin da piccole, di passare molto tempo insieme.
Trascorrevamo il nostro tempo libero nel bar della mamma di Megan, dove dipingevamo e ci raccontavamo pettegolezzi.
Il nostro rapporto però cambiò a causa del trasloco. Adesso ci sentiamo per messaggio e qualche volta facciamo videochiamate su Skype, ma sfortunatamente sapevamo tutte e due che le cose sarebbero cambiate e che non sarebbero tornate più come prima.

In fin dei conti a Denver mi sono trovata sempre bene, prima di quel giorno...
Un giorno che cambiò la mia vita per sempre, che mi traumatizzò a tal punto da risentirne le conseguenze per anni.
Tutto accadde un semplice martedì di scuola.
Nel pomeriggio mi diressi in un negozio per comprare alcuni colori che avevo terminato. Era un negozio abbastanza grande, che vendeva una vasta quantità di prodotti. Amavo quel negozio: sono sempre riuscita a trovare i giusti colori per i miei dipinti, tonalità particolari e innovative.
Mentre ero intenta a guardare i vari colori di tonalità turchese e azzurra sentii una voce profonda proveniente dall'entrata del negozio.

«Mani in alto! questa è una rapina!»

La cassiera, che aveva circa una sessantina d'anni, alzò immediatamente le mani, in preda al panico, lasciando cadere i fogli che aveva in mano e iniziando a tremare come una foglia.
Non sapendo cosa fare, rimasi immobile, senza perciò eseguire l'ordine dato dal malvivente. Il suo sguardo si girò così verso di me notando che avevo ancora le mani lungo il corpo.

«Ehi tu ragazzina! Lo ripeterò soltanto un'altra volta: alza le mani!»
disse fissandomi e analizzando ogni centimetro del mio corpo.
Non riuscii a muovere un solo muscolo. Il mio cervello era andato in tilt. Non ero mai finita in una situazione del genere.
Dopo pochi secondi sentii uno sparo, che colpì la piastrella del pavimento che si trovava affianco a me. Sobbalzai dalla paura e mi misi le mani sulle orecchie a causa del forte rumore.
Riaprendo gli occhi notai che il rapinatore si diresse verso la cassa e la svuotò senza lasciare un centesimo. Era molto alto e robusto ma non riuscivo a vedere il suo volto poiché era coperto da un passamontagna nero.
Quando prese i soldi e se li infilò in tasca, invece di abbandonare il negozio, il suo sguardo si posò su di me e con passi lenti e pesanti mi si avvicinò lentamente...
Dalla paura mi ero accucciata in angolo in fondo al negozio, perciò lui si abbassò cosicché potesse essere alla mia altezza. La sua mano coperta da un guanto nero toccò il mio viso e miei capelli.

«Ho sempre avuto un debole per le rosse...»mormorò vicino al mio orecchio.
La sua voce così cupa mi diede un brivido di paura ed appena mi guardai in torno mi accorsi che tutti i clienti, compresa la commessa, erano scappati terrorizzati e impauriti .
Ero completamente da sola con quel mostro dal volto nero e gli occhi impenetrabili.

«Hai per caso paura?»mi chiese con un ghigno sulla faccia.
Mi accarezzò il viso e disse:
«Tranquilla ora ci divertiremo un po'...»
Non riuscivo a respirare, mi mancava l'aria ed ogni mio respiro diventava sempre più affannoso.
Tirò fuori dalla tasca una corda e violentemente mi legò i polsi quasi a farmi male,mi mise una benda sulla bocca affinché non potessi urlare e farlo scoprire.
Mi caricò in spalla e mi portò nel retro del negozio, in uno stanzino poco spazioso.
Cercai di dimenarmi e ferirlo in qualche modo, ma era impossibile: era troppo forte per una ragazza minuta come me.
Chiuse a chiave lo stanzino del negozio e se la infilò in tasca.
Si avvicinò e mi tolse la benda dalla bocca, ma subito dopo posò la sua mano pesante sulle mie labbra, in modo da evitare che potessi urlare.
Mi bloccò completamente con il suo corpo massiccio e possente, ed avvertii che la sua mano viscida si stava avvinando alla mia coscia, iniziando a toccare ogni centimetro del mio corpo senza alcun pudore. Non potendo muovermi iniziai a lacrimare ed ad urlare, per quel che potevo, ma nessuno mi sentì. Cercai ti tirargli un calcio secco tra le gambe, ma senza alcun risultato.
Lui, capendo le mie intenzioni, tirò fuori un coltello dalla giacca nera e grigia.

«Questo è per aver cercato di farmi male stronzetta» disse con uno sguardo di malignità.
Smisi di pensare all'istante quando sentii la lama affilata che trapassò la mia pelle lasciandomi un grande taglio che andava dal polso a metà del avambraccio.
Tirai un grido di dolore mentre guardavo il sangue che gocciolava sul pavimento freddo.
Mi spinse con violenza contro uno scaffale di ferro, battei la testa e caddi a terra inerte. Sentii un dolore atroce alla nuca tanto da farmi quasi svenire.
La cosa peggiore è che non ricordo assolutamente nulla di ciò che successe dopo, ciò che ricordo è che quel mostro, nonostante fossi ferita e sdraiata a terra, non aveva alcuna intenzione di fermarsi, finché non chiusi gli occhi arrendendomi a qualsiasi tentativo di fuga. Sapevo perfettamente che non sarei riuscita a scappare,era molto più forte di me e probabilmente mi avrebbe uccisa con la pistola che teneva ancora stretta a sé...
Così proprio in quel momento la mia mente ed il mio cervello si spensero completamente causando un'amnesia totale.
Mi risvegliai la sera stessa su un lettino d'ospedale con accanto i miei genitori e mia sorella Jane,preoccupati e con le lacrime agli occhi.
Non ricordavo nulla di ciò che accadde dopo e non avevo la più pallida idea di quello che mi aveva fatto quel criminale. Subito avvertii una fitta di dolore alla nuca, allungai la mano verso la testa e sentii un grande cerotto coperto a sua volta da un benda. Abbassai lo sguardo verso il mio corpo e vidi le braccia e le mani doloranti piene di lividi e graffi con ancora il segno della corda stretta intorno ai miei polsi.
In particolare notai il mio braccio sinistro fasciato con una benda abbastanza spessa che mi procurava un dolore indescrivibile.
Mi rimase la cicatrice e ancora adesso quando la guardo mi ritorna in mente ogni singolo dettaglio di quel giorno...
Inizialmente non parlai per vari giorni, il solo pensiero che quel verme mi avesse potuto violentare mi faceva serrare la bocca all'instante. Iniziai ad avere continui attacchi di panico che aumentavano giorno per giorno e vedendomi in quella condizione i miei genitori decisero di portarmi da uno psicologo, affinché mi potesse aiutare a diminuire l'ansia. Fortunatamente dopo mesi e mesi di lavoro, la mia ansia non sparì, ma diminuí drasticamente.

***

Mesi dopo i miei genitori mi diedero la notizia del trasloco. Mio padre era a capo di una prestigiosa azienda che necessitava di ampliare i suoi interessi, e New York risultava un ottima metà in questo campo. All'inizio ero molto arrabbiata e triste. Ciò mi avrebbe portato a dividermi da Megan e da tutto ciò che aveva fatto parte della mia vita fin dalla nascita.
Con il tempo accettai la cosa, e da una parte ne ero anche felice, perché avrei avuto la possibilità di rifarmi una nuova vita, lontano da ciò che mi aveva fatto stare male nell'ultimo anno e mezzo.

***
Ciao ragazzi!

Come vi sembra la storia di Rebeka?🙄

Scriveteci cosa ne pensate nei commenti! Baci🌸

Painted SoulsWhere stories live. Discover now