Capitolo 21: Agli antipodi

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Nate è un uomo posato.
Camicia arrotolata sugli avambracci, capelli setosi alla sola vista e due mani grandi che stringono una tazzina apparentemente minuscola.
Vorrei non sembrare una pazza standolo a fissare, ma è inevitabile.
Tengo stretto il mio cappuccino caldo e inizio a guardar fuori dalla vetrata di questo bar di lusso. A Nate piacciono le cose sofisticate, mi è abbastanza chiaro.

Io e lui siamo agli antipodi.
Non riesco davvero a trovare un punto in comune tra me e l'uomo sedutomi di fronte.
I tratti del suo viso sembrano così duri, così severi e cattivi.
Niente a che fare col mio viso da bambina, leggermente paffuto e con le guance perennemente arrossate.
I modi di fare, di parlare... Sembrano così lontani da me. Dai miei modi.

«Vuoi mangiare qualcosa?» chiede, poggiando i gomiti sul tavolo.
«No, grazie.»
«Va bene.»

Si allarga il colletto della camicia bianca, ma non perché in imbarazzo o a disagio. Semplicemente sembra voglia mettersi una felpa addosso, invece di continuare a indossare questo indumento che in realtà gli calza a pennello. Come se questa camicia fosse stata cucita su misura per lui.

«Devo chiederti una cosa.»
«Dimmela.»
Si schiarisce la voce. «Domani sera c'è l'inaugurazione di uno studio legale... Un amico di mio padre, diciamo. Devo andarci, ma ci sarà anche mia madre, perciò ho bisogno che tu venga con me.»
«Devo accompagnarti? Io?»
«Sì, tu.»
«Non credo proprio. Non ho nemmeno il vestito.»
«Te lo procuro io.»
«Non so nemmeno come comportarmi in queste situazioni da... Ricchi.»
«Cammini, sorridi, ti agganci al mio braccio e sorridi ancora. Facile, no?»
«Ho come l'impressione che la pratica sia leggermente più complessa rispetto alla teoria...»
Lui sbuffa come un bambino capriccioso. «Andiamo!»
«No.»
«Non ti ho dato la possibilità di scegliere.»
«Di certo non puoi portarmici a forza.»
«Scommettiamo?»
«No.»
«Sei tu che hai iniziato questa farsa. Hai detto a mia madre di essere la mia ragazza? Adesso lo devi essere.»

Lo guardo male.

«Intendo... Lo devi essere, per finta, ma sul serio. Cioè-»
«Ho capito.»
«Anche se ancora non capisco come ci sono finito in questa situazione.»
«Non ne parliamo.» roteo gli occhi al cielo.
«Qual è il tuo colore preferito?»
«Perché?»
«Rispondi.»
«Dimmi prima perché.» insisto.
Sbuffa. «Rispondimi!»

A Nate non piace dialogare a lungo con le persone. Da appuntare da qualche parte.

«Il nero.»
«Okay.»
«Perché?!»
«Lo vuoi o no un vestito per domani?» sbotta. «O vuoi venire in felpa e jeans?»
«Sei sul serio antipatico.»
«Non rientra tra i miei interessi quello di esserti amico.»
«Ma un po' di gentilezza non ti farebbe male.»

Roteo gli occhi al cielo mi porto alle labbra la tazza di caffè. Torno a guardare fuori dalla finestra e sento il telefono di Nate iniziare a squillare.
Mi volto verso di lui e lui mette il silenzioso. Non risponde.

«Perché non rispondi?» chiedo curiosa.
«É l'avvocato. Mi chiama ogni giorno per il caso di mio padre.»
«Lo richiederò: perché non rispondi?»
«Perché non giunge mai a una conclusione. Parla a vanvera e mi ruba sempre almeno venti minuti al giorno. Svolgesse bene il suo lavoro, capirei, ma non sa fare nemmeno l'avvocato.»

Mi si forma un nodo alla gola.
Mando giù gli ultimi sorsi di caffè ancora bollente, e chiudo gli occhi per un istante.

«Siete in alto mare, con il caso?»
«Considerando che lo stronzo che ha ammazzato mio padre è ancora a piede libero, allora sì.»

Sono autorizzata a piangere?

«Ho capito» poggio la tazza sul tavolo.
«Ti ringrazio per il caffè, ma ora devo andare. Ci vediamo domani sera, a che ora devo presentarmi e dove?»
«Quindi accetti? Non cambiare idea all'ultimo.»
«Ho alternative?» domando stufa.
«No. Ti passo a prendere io e ti farò portare il vestito in tempo.»
«No!» mi affretto a dire. «Sarò in ospedale da mia zia. Vengo io da te... Se non è un problema.»
Mi guarda di sbieco. «Riesci a essere a casa mia alle cinque?»
«Okay.»

Mi alzo dal tavolo e lui fa lo stesso.
Si rimette la giacca e io tiro fuori il portafoglio.
Lui mi vede e me lo toglie dalle mani.
Riprendo il portafoglio e arriccio il naso, facendo una piccola smorfia.
Mi volto e mi avvio verso la cassa.
Sono sicura di averlo visto sorridere.
Nate mi sorpassa e con le sue gambe lunghe un chilometro raggiunge in poco tempo il cassiere. Lo sento mentre gli dice di mettere tutto sul suo conto.

«Sono o non sono stato gentile, ora?»

Dal suo tono di voce capisco che mi stia prendendo in giro.

Detto questo, esce dal bar.
Io rimango pietrificata.
E senza il suo saluto.
Esco anche io velocemente dal bar, e di Nate non c'è nemmeno l'ombra.
Si è volatilizzato.

~~~
Buonasera a tutti
perdonate la mia lunga assenza, ma non sto troppo bene in questo periodo, ed è anche cominciata la scuola con il suo rompimento di coglioni quotidiano. Non me ne vogliate.
Come state? Che dite?
Spero che il capitolo vi abbia soddisfatto un po'... Non è niente di che, lo so, e mi dispiace. Vedrò di creare più casini nei prossimi capitoli, promesso. Intanto vi pubblico questo, giusto per mandare avanti la storia.
Spero che vi sia piaciuto un minimo. Grazie per aver letto, buonanotte ❤️

-Alessia

B-234 (in pausa)Where stories live. Discover now