Capitolo 15: E va bene!

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Non mi aspetto nulla da questa cena.
Né di piacere né di non piacere.
Egoisticamente parlando, ne approfitto anche per mangiare.
L'unica cosa che voglio adesso, è questa serata finisca il prima possibile.
La madre di Dave e Nate è in ritardo, doveva essere qui già ventidue minuti fa. Penelope mi ha detto che è una ritardatrice cronica, e che persino al loro matrimonio era arrivata dopo mezz'ora. Penelope la odia, lo sento dalla sua voce. In effetti, questa donna non sembra raffigurare il ritratto della madre perfetta. Penelope mi ha detto che cerca un qualsiasi pretesto per stare al centro dei riflettori.
Il mio opposto, dunque.
Siamo seduti al tavolo della cucina io, lei e Dave. Penelope sorseggia un po' di vino bianco, ha detto di non voler aspettare la signora Johnson per aprire la bottiglia. E così si è già scolata tre calici da sola. Dave è nervoso, e picchietta rumorosamente i polpastrelli sulla superficie del tavolo. Accende il telefono per un istante e guardo anche io l'ora.
Ventitré minuti di ritardo.
Nate è sparito nel suo ufficio, mentre rispondeva ad una telefonata.
Mi domando con chi stia parlando.

La domestica, il cui nome ho compreso essere Brenda, sta annaffiando un paio di piantine presenti sul davanzale della cucina.
E canticchia una canzone di Elvis Presley.
Il suono del campanello ci immobilizza tutti quanti. Brenda si stira con le mani il vestito e posa l'annaffiatoio sul bancone della cucina, dirigendosi verso l'entrata.

«Brenda! Cara mia!» esclama una voce che non conosco.

Dave si alza di scatto dal tavolo, Penelope butta giù l'ultimo sorso di vino a collo e poi si pulisce gli angoli della bocca con il dorso della mano. Vedo anche Nate ricomparire e mettersi di fianco al fratello.
In gruppo ci spostiamo in salotto, e vedo finalmente la signora Johnson.

«I miei ragazzi...» dice con un tono di voce smielato, mentre va ad abbracciare i figli.

Indossa un completo color panna composto da una giacca e dei pantaloni dritti. Un tacco nero lucido di almeno dieci centimetri che la agevola per lasciare un bacio sulla guancia dei figli fin troppo alti per lei. Ha gli occhi scuri come quelli di Nate e dei capelli neri che le ondeggiano sopra le spalle. Un sorriso bianco e dritto come quello dei figli, contornato da un paio di rughe coperte da un fondotinta aranciato che sicuramente costerà più delle mie scarpe. Dietro di lei vedo un uomo abbastanza giovane, forse sui trent'anni.

«Penelope! Che piacere vederti.»
«Salve, Sylvia. Come stai?»
«Benissimo! Oh, lasciatemi presentare Xavier, il mio nuovo compagno. Non parla ancora bene la nostra lingua.» sorride e poi si rivolge all'uomo dagli occhi azzurrissimi, dicendogli qualcosa in spagnolo.

Io mi sento, naturalmente, a disagio.
Devo presentarmi da sola? Lo farà qualcun altro?

«Mamma, uhm, lei è Amanda.» esordisce Nate.
«Amanda...» assapora il mio nome. «Hai un nome incantevole. Sai, se solo avessi avuto una figlia femmina l'avrei chiamata come te.»
«Piacere di conoscerla.» sorrido.
«Dammi del tu. Dimmi, come conosci i miei figli?»
«È un'amica.» dicono Nate, Dave e Penelope insieme.

Lancio una strana occhiata ai tre e poi torno a guardare la donna di fronte a me, regalandole il sorriso meno finto che sono in grado di disegnare sul mio viso in questo momento. Lei sembra crederci e poi prende Xavier per mano.

«Ti fermi a cena con noi?» mi chiede.
«Spero non sia un problema.»
«Tutt'altro!» sorride.

Ci facciamo guidare da Brenda per la sala da pranzo e ci accomodiamo attorno al tavolo.
Io sono capitata alla sinistra di Nate e alla destra di Dave, che è a capo tavola.
Sylvia - la signora Johnson -, inizia a raccontare di come lei e Xavier si sono conosciuti. A Cuba, due mesi fa, durante l'inaugurazione di un bar.
Xavier spiccica qualche parola ma non sa parlare molto bene.
Sta ancora imparando.

B-234 (in pausa)Where stories live. Discover now