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Lì non c'era freddo.
Anzi, un dolce tepore avvolgeva il corpo esile di Louis mentre scivolava sempre più giù, curioso di vedere cosa riservava il mondo degli incubi.

Non era neanche buio. C'erano ovunque delle luci colorate simili a quelle natalizie, che rendevano la caduta tremendamente fantasiosa e psichedelica.

Louis le adorava. Si era abituato fin troppo alle monotone luci bianche.

Adorava sentirsi leggero mentre precipitava.

E adorava la mano del fantasma ferma sulla sua spalla come se non stessero cadendo a folle velocità.

Più scendevano e più Louis non voleva risalire.

Ma poi, all'improvviso, la meravigliosa caduta terminò. Finirono su un pavimento a scacchi, che Louis credeva di aver già visto da qualche parte.

Fece un urletto quando lo riconobbe, ed esclamò, eccitato:

«Lo sogno la notte! È il paese delle meraviglie!!»

Il fantasma roteò gli occhi con un sorriso morbido e gli accarezzò i capelli color caramello.

«Non proprio, tesoro. O almeno, l'aspetto è quello, ma fa molta, molta paura.»

Saranno stati i minuti interminabili della caduta, o le luci accese nel buio, oppure la strana stanza che sembrava stagliarsi fino alle stelle per quanto era alta e stretta, ma a Louis quell'essere sembrava perfetto.

Per come era vestito, in modo stravagante ma non ridicolo, con dei colori confusi dalla nebbiolina che lo circondava.

Per i suoi occhi accattivanti e magnetici.

Per quelle labbra. Quelle rosse, carnose bellissime labbra che avevano scaturito in lui i pensieri più strani. Non li capiva, quei pensieri. Erano ancora più pazzi delle sue voci.

«Io non ho paura.»

L'altro lo prese per il polso ridendo, e intanto che camminava per il corridoio più stretto che esista, disse:

«Tutti ne hanno, invece. Dovresti essere terrorizzato di questo posto.»

Quindi si voltò verso il ragazzino e fece, serio:

«Perché non sei terrorizzato, Louis?»

Quest'ultimo si aggrappò al braccio forte del "mostro" e ne respirò l'odore, prima di mugolare qualcosa che suonò come:

«Perché tu non mi terrorizzi.»

Il quindicenne non vide il sorriso dell'intrigante creatura al suo fianco, perché troppo occupato a fantasticare sulla struttura in cui si trovavano.

Non faceva altro che indicare le cose che più gli piacevano, come un quadro storto raffigurante un pagliaccio solitario, una buccia di banana attaccata al soffitto, i ricami del tappeto rosso sotto di loro.

E l'altro annuiva, senza perdersi nessun gesto di Louis come se volesse imprimerlo nella mente.

Alla fine di quella lunga passeggiata per il corridoio c'era una porta in legno. Quando Louis la aprì, si ritrovò davanti un'altra porta ancora, e poi un'altra, e un'altra ancora.

Inizialmente la cosa lo aveva fatto ridere, ma cominciava ad essere come un orrendo limbo da cui non riusciva ad uscire. Stava per mettersi a piangere.

«M-ma... ci sono solo porte!»

Piagnucolò, disperato. Lo spirito lo prese da dietro per abbracciarlo, ma quel gesto suscitò solo rabbia in Louis, che ormai stava avendo una delle sue crisi isteriche.

«Stai calmo, Louis. Non va avanti per molto. Tra poco finiscono.»

«No! Voglio che finiscano adesso!»

Gridò, in preda all'oblio più totale, dimenticandosi per un attimo di essere in un mondo che era fatto apposta per causare caos e paura.

Il riccio lo strinse più forte, baciandogli la fronte con dolcezza e sussurrandogli parole di conforto.

Louis scoppiò a piangere, le guance arrossate e gli occhi azzurrissimi e persi. Erano abbracciati da un po' ma sicuramente non era un peso.

«Ehi... posso... posso sapere come ti chiami?»

Sussurrò Louis, alzando lo sguardo e tirando su col naso.

«Harry. Mi chiamo Harry.»

Louis sorrise con gioia:

«Mi piaci tanto, Harry.»

Il riccio in questione dapprima parve felice, ma subito dopo ricordò più che altro una persona triste e rassegnata.

«Tu non sai nulla di me, sono un essere orribile e ti illuderò.»

Non si dissero nulla. Semplicemente Louis aprì l'ultima porta e scivolarono dietro ad essa.

Dall'altra parte non c'era la stanza della chiave, dello sciroppo e del tavolino di vetro che noi tutti conosciamo, bensì c'era uno studio di registrazione a luci rosse.

E dentro vi erano dei ragazzi con le cuffie che ascoltavano chissà quale musica.

Non appena Louis e Harry si chiusero la porta alle spalle, questi alzarono in contemporanea le loro teste e gridarono, mollando a terra gli auricolari:

«Harry! Finalmente sei tornato!»

Quindi si batterono tutti il cinque, e il più oscuro di loro si girò verso Louis con un volto simile a quello di Harry quando lo aveva visto per la prima volta: malizioso, tanto malizioso.

«E questo è il piccolo Louis, giusto?»

Lui fece qualche passo indietro fino a scontrarsi con il petto marmoreo di Harry, che gli afferrò i fianchi in modo possessivo.

Louis poté sentire come la voce tranquilla del ricco divenne tutto a un tratto aggressiva, quando pronunciò queste semplici, spaventose parole:

«Sì, è Louis. Ed è mio.»

NIGHTMARE (H.S. & L.T.)Where stories live. Discover now