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Quelle maledette pareti bianche.

Uguali e identiche in ogni stanza, talvolta screpolate ma sempre bianchissime.

Louis non ricordava di aver mai visto pareti di un altro colore.

Era in quel manicomio da quando aveva compiuto cinque anni, quando cominciò a dare segni di pazzia.

Sentiva le voci.

Essendo così solo, loro erano l'unica compagnia che possedeva.

Ognuna con un accento diverso, con un carattere tutto suo e un modo di fare particolare. Peccato che fossero solo nella sua testa. Peccato davvero.

Rimasto in quell'edificio troppo a lungo, senza mai vedere la luce del sole e senza mai occasioni dalle quali imparare, si ritrovò bambino nel corpo di quindicenne.

E alle voci si aggiunse l'infantilismo, cioè il comportamento infantile più profondo e spregiudicato.

Se vogliamo fare un resoconto, allora era presente anche la schizofrenia.

Ma Louis amava definirla "Un carattere fiammeggiante" e non una "malattia".

La mattina si svegliava nel suo solito letto, racchiuso nella solita cameretta angusta e attrezzata come fosse la stanza di un neonato. Le finestre?
Inesistenti.

La luce fioca delle lampade a luci led, anche quelle rigorosamente bianche, dava un'atmosfera macabra per chi non era abituato.

Ma per Louis... oh! Era così normale sentirsi la polvere addosso ogni notte.

Così normale immaginarsi suoni anche nel silenzio, provare a mangiare la zuppa con una forchetta, e non sussultare nemmeno più ogni qualvolta partivano le luci e il vicino accanto gridava terrorizzato.

In quegli anni i manicomi erano strutture terrificanti e poco igieniche, piene di orrori e di false speranze.

Se eri incurabile, facevano esperimenti su di te fino a farti morire nell'agonia.

Se invece avevi qualche possibilità, ti lasciavano solo a marcire per giorni, settimane, anni, e poi qualche volta ti facevano passare l'elettricità in corpo con l'intenzione di guarirti.

Ma queste cose Louis non le sapeva.

O al massimo le ignorava.

In qualsiasi brutta azione dei dipendenti, ci vedeva un gioco.

Un gioco malato, malsano. Ma comunque un gioco.

Per essere un pazzo, era ben organizzato:

Le voci si presentavano sempre alla stessa ora, diciamo verso l'una del pomeriggio, quando tutto taceva perché i tranquillanti nel pranzo dei più rumorosi facevano effetto in ritardo.

Allora, in tutta quella quiete, i rumori da Louis immaginati rimbalzavano nella stanza.

C'erano delle giornate nelle quali non si facevano sentire, e si trattava per lo più di giornate vuote e malinconiche, prive di ogni strambo pensiero.

Quelle giornate in cui Louis si risvegliava dal suo infantilismo e si accorgeva che non c'era nulla di divertente, nessun gioco.

Dopo qualche ora, però, ritornava lo stesso ragazzino svitato dall'aspetto di un angelo.

Tracciava con le magre dita le crepe dei muri, canticchiando le stesse  canzoni felici che, dopo un certo lasso di tempo, diventavano sinistre.

Saltellava avanti e indietro per la stanza, poi si fermava e scoppiava a piangere, quindi sorrideva e tornava a saltellare come se nulla fosse successo.

Tutti nel manicomio lo conoscevano con il nome di sweetie little psyco, proprio a causa della sua instabilità emotiva aggiunta alla sua dolce bellezza.

Sono sicura che adesso siete tutti curiosi di conoscerlo meglio, ma fidatevi quando vi dico:

Nessuno vorrebbe mai averlo accanto. E non perché non piaccia o perché sia cattivo o altro. Semplicemente perché nessuno è abbastanza integro da rimanere sano passando più di due settimane con lui.

Louis era un essere confuso e sfocato, prezioso in un certo senso, ma molto poco salutare per tutti.

Era una linea mai completamente dritta, piena di alti e bassi, che zigzagavano qua e là come piccole schegge di uno specchio rotto.




NIGHTMARE (H.S. & L.T.)Where stories live. Discover now