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«Forza schizzato, non posso aspettare tutto il giorno che tu prenda il tuo lurido cibo!»

Gridò una delle guardie del manicomio, attraversando la fessura sulla porta blindata, con un piatto di strana poltiglia in mano.

Era veramente isterico e cattivo, fino al midollo.

A Louis però non cambiava molto se a chiamarlo era uno scaricatore di porto o una principessa magnanima, infondo non ci prestava attenzione.

Come un bimbo si distraeva con molta facilità, e c'erano delle volte in cui dovevano ricordargli di avere davanti qualcuno.

Il ragazzino, che si era già perso nei suoi pensieri, fortunatamente si risvegliò poco prima che l'uomo mollasse la cena per terra.

Sbirciò dalla fessura con i suoi occhi azzurrissimi e vivaci, ed esclamò:

«Grazie!» con un urlo entusiasta che risuonò per l'intero edificio.

La guardia lo snobbò senza alcun ritegno e si allontanò con il carrello dei pasti.

Louis ridacchiò e prese la rincorsa fino al letto, per poi saltarci sopra creando una nuvola di polvere.

Era un po' come l'unica fonte di gioia presente lì dentro.

Certi pazienti non si erano ancora suicidati solo perché lo sentivano ridere di tanto in tanto.

D'altra parte, quando piangeva, il numero di abitanti nel manicomio diminuiva.

E dato che Louis viveva come su un'altalena, prima felice e poi triste, il futuro di molti malati era appeso ad un filo. Ma certo, a lui non cambiava nulla.

Iniziò a magiare con riluttanza, mugugnando dei versi di disapprovazione molto spesso.

"Chissà chi è il cuoco che prepara questo schifo."

Disse una delle tante voci che popolavano la sua testa, quella che veniva a trovarlo qualche volta di sera. Erano così in tante che Louis non sempre sapeva se il pensiero proveniva da lui o da loro.

«Mi piacerebbe saperlo, Zee, ma io non so niente!»

E cominciò a ridere senza motivo, con uno sguardo triste che faceva un netto contrasto con le sue risate genuine.

"Non dire così, Lou. Tu sei fantastico!"

«Si, lo so.»

Fece lui, con un'espressione lusingata per quello che aveva detto... lui stesso.

La luce saltò come accadeva di solito, e il ragazzone della cella accanto iniziò a urlare di dolore.

Si diceva che odiasse il buio perché gli ricordava la notte in cui aveva ucciso sua moglie, nel letto, senza alcuna illuminazione.

Louis roteò gli occhi, spazientito, e bussò due o tre volte alla parete gridando:

«Certo che sei proprio un fifone!»

L'altro rimase semplicemente in silenzio, perché non si aspettava un simile trattamento da parte del ragazzino. Era sempre stato pronto a confortarlo cantandogli una canzone, o almeno fino a quel giorno.

Ecco cosa intendo quando dico che Louis era come un'altalena.

Passarono due o tre minuti e poi il giovane si accorse di quello che aveva detto e cominciò a scusarsi ripetutamente, con quella vocetta stridula che passava attraverso le pareti con facilità.

«Non lo faccio apposta, ma delle volte è come se le voci prendano il mio corpo e rubino il mio vero carattere.»

disse, sconsolato, e quella fu una delle poche occasioni nelle quali parlò delle sue voci come se fossero una malattia.

Perché di solito si riferiva a loro come persone vere.

Il suo vicino accettò le scuse, e pian piano, tutti si prepararono alla lunga e fredda notte.

Ahh, la notte. Così poetica e dolce, piena di mistero e di sogni.

Ma non per coloro che vivevano in manicomio. Per loro era smarrimento totale, era ansia, era incubi, era infinita.

Certe notti si dormiva bene, altre invece ci si svegliava più matti del giorno prima.

Beh, quella notte fu una di queste.

Louis si rigirava nel lettino cercando una posizione comoda.

Il rumore delle molle mezze rotte strideva in quel silenzio spettrale, reso ancora più tale dalla luce del corridoio che andava ad intermittenza da due giorni.

Non voleva addormentarsi: sapeva che per gli incubi le condizioni erano favorevoli, quella notte.

Sapeva che immagini spaventose avrebbero popolato le ore di sonno.

Aspetta un attimo.

Cos'era quel rumore?

Louis sperava si trattasse del vento, ma se da una parte voleva crederci, dall'altra sapeva che non era stato di certo il vento a produrre quello strano suono simile ad un sussurro.

Era troppo vicino, troppo... vero.

E no, le sue voci erano tutte addormentate. Non si trattava nemmeno di loro.

Il freddo gli penetrava nelle ossa, stava tremando.

Forse allora non si era del tutto abituato al manicomio come pensava.

La luce nel corridoio prese a lampeggiare più intensamente, l'ansia lo attanagliava, il freddo era tale da ricordare mille spilli che gli trafiggevano la pelle.

In un lampo, tutte le luci di emergenza si spensero per la seconda volta in quella giornata, e una strana, terrificante voce si fece strada nel silenzio:

«Perché non dormi?»










NIGHTMARE (H.S. & L.T.)Where stories live. Discover now