12.

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Quella mattina neppure il miglior correttore al mondo sarebbe bastato a camuffarla: Millie si trascinava verso gli armadietti in occhiali da sole, e sentiva come se ogni minima azione richiedesse uno sforzo notevole;
Adesso, trattenendo un'imprecazione o due, smanettava sulla serratura che non sembrava aver intenzione di collaborare.

«Tre-cinque-tre.» voce familiare la fece voltare; accanto a lei, dietro l'anta appena serrata in un tonfo, incontrò conosciuti occhioni verdognoli: Iris presentava un'espressione turbata, più distratta del solito, e un paio di occhiaie violacee contornavano le sue iridi stanche.

«Cosa?»

«Il codice è tre-cinque-tre.» ripetette annoiata, esaminando le unghie smaltate di nero. Solo allora la mora inserì i numeri che neppure lei riusciva a ricordare; con sua grande sorpresa, l'anta cigolò e si spalancò senza problemi.

«E tu come-»

«Avevo bisogno degli appunti, secchiona.»

«Potevi anche chiedermeli.»

«Che gusto c'è?» ribatté, e così facendo girò i tacchi come per andarsene.
L'anta alle sue spalle si chiuse in un tonfo, e Millie la seguì a passo svelto:

«Aspetta, Iris!» la richiamò a voce alta: la biondina si voltò, annoiata persino più del solito. Le sue iridi stanche, vacue –era un luccichio di terrore, quello?– incontrarono i magnetici, cauti occhi della brunetta.

«Va- va tutto bene? So che ieri sera...»

«Non sono affari tuoi, Brown.» freddò;
«E quegli occhiali fanno schifo.»

Sembrava proprio non volerne parlare, pensò Millie mentre la guardava allontanarsi. Ma era fatta così; Iris era scaltra, agile. E scappava dai suoi problemi, quelli che teneva solamente per sé, fino a quando le gambe non le facevano male.

Ma perché Iris Apatow, il cuore di ghiaccio, quella notte piangeva?

E quella domanda le tornò alla mente, la immobilizzò per un attimo, riaccese la sua curiosità.
Tuttavia, era troppo stanca per ulteriori sforzi; avrebbe aspettato il giorno seguente, o quello dopo, o chissà quando la notizia si sarebbe sparsa, pensò ancora mentre si addentrava nella classe;
Era il primo giorno dopo il litigio. Sarebbe stata capace di fronteggiare quegli occhi familiari, adesso nemici?

Fece un passo. Due. Si ritrovò alla porta, ma le sue dita furono incapaci di muoversi.

«Che fai, non entri?» fu la voce cristallina che la fece voltare di scatto; i suoi occhi incontrarono una biondina dalla statura media, le ciocche ondulate che ricadevano sulle spalle minute.

Forse notò la sua confusione, l'aveva letta sul suo volto incurvato nell'espressione dei bambini colti con le mani nel sacco, perché le sorrise e continuò;
«Oh, scusami, non mi sono presentata. Sono Lilia, e tu devi essere Millie, giusto?»

«Io...si, sono Millie.» rispose. E a quella vista un pensiero le attraversò la mente, le fece brillare gli occhi; forse, quello sarebbe stato il suo nuovo inizio. Sarebbe cambiata davvero. Non sarebbe più stata sola.

«Hai un bel nome!» esclamò, e lei in risposta:

«In realtà a me non piace molto, ma-»

Era stata distratta: le aveva concesso di avvicinarsi alla porta, di abbassare quella maniglia. Adesso, era costretta a seguirla nella classe. A fronteggiare i suoi problemi.

Fece di tutto per non cercarla con lo sguardo; ma quegli occhioni blu al primo banco non potettero che agganciarsi alle sue iridi, e la tormentarono, in quella perenne frazione di secondo.
Millie abbassò la testa, e con la coda dell'occhio, mentre si dirigeva al secondo banco, scorse la figura di Kenzie accanto alla sua Sadie.

Scosse la testa; non era quel tipo di persona. E non lo sarebbe diventata ora, che il volto della rossa non le sarebbe mai più stato amichevole.

«Ci sediamo vicine?» propose Lilia: Millie forzò un sorriso e annuì, seguendola lungo l'aula.

Secondo banco a destra. Il primo? Loro. E l'ultimo? Vuoto.

Ecco le nuove disposizioni, pensò: la fila sinistra era sempre la stessa, ad eccezione di Kenzie che amava accomodarsi accanto a Gaten, suo migliore amico nonché buffone della classe, quella mattina assente. Non era l'unico, pensò Millie: anche lui mancava.

E poi passi pesanti della professoressa stracciarono il chiasso dell'aula, che adesso, in seguito alla solita ramanzina, taceva.

«Dicevo.» la donna grassoccia, un po' rossastra in viso, si schiarì la voce;
«Oggi abbiamo una nuova alunna, giusto? Leila- Laila-»

«Lilia.» si eresse in piedi con una disinvoltura invidiabile, sorriso stampato in viso e dolcezza nelle parole;
«Sono Lilia Buckingham e mi sono trasferita qui dalla California. Spero di-» la biondina avrebbe continuato il suo estroverso monologo, se solo il cigolio coperto da un saluto soffocato non l'avesse improvvisamente interrotta.

«Buongiorno.» voce familiare, risolini si sollevarono dai banchi. E Millie alzò la testa, incontrando inevitabilmente il suo sguardo; avrebbe potuto giurare che per un attimo solo, le sue iridi avevano incontrato quelle del corvino in un lieve sorriso complice. Ma aveva abbassato in fretta il capo, quasi a nascondere l'espressione rilassata che aveva padroneggiato sul suo volto per quella frazione di secondo.

«Ma che buongiorno, Wolfhard! Sei arrivato con quindici minuti di ritardo!» la voce rimproveratoria della professoressa risultò distante, tanto che la mora non vi diede peso quando lo percepì avvicinarsi.
Millie, che si era schiaffata una mano in viso, adesso si sentì raggelare: il ragazzo sedeva proprio dietro lei, in un paio di occhiali da sole non troppo differenti dalla sua montatura. Sapeva di star dando troppo peso a quella situazione ormai passata, ma l'unica cosa che riusciva a pensare era ciò che la gente avrebbe creduto dopo l'ennesima coincidenza.

Ma a quel punto, si sarebbero sbagliati?
Perché per quanto la moretta avrebbe potuto negarlo, lei e Finn si stavano vedendo molto più spesso; si stavano conoscendo per la prima volta.

«E togli quegli occhiali, sei ridicolo!» il rimprovero che la svegliò dal suo stato di trance, per poco non facendola saltare dalla sedia;
«Lo stesso vale per te, Brown. Il regolamento lo avete usato per accendere il camino?.»

Millie deglutì, perché le occhiaie nascoste sotto quelle lenti scure sarebbero state ancora più ingannevoli, molto più evidenti di quella coincidenza. E fu in quel momento in cui il cuore iniziò a martellarle nel petto, e le parole a strozzare in gola, che il corvino aprì bocca:

«Prof, ma noi... Noi abbiamo una giustificazione.» Finn si schiarì la voce e la anticipò, parlando a grossa tono sotto gli occhi sgranati della mora. Un breve silenzio padroneggiò nell'aula.

«Se ne sei tanto sicuro, Wolfhard, perché non me ne parli?»

«Millie...» sussurrò il corvino, prima di riafferrare il suo tono sicuro;
«Ieri ha avuto una visita oculistica.» Così facendo cercò il suo sguardo sotto le lenti scure: la mora non si voltò. Ma si sentì avvampare, pietrificata sulla sedia, le mani agganciate allo schienale legnoso;
«Siamo... noi siamo vicini di casa, sua madre mel'ha detto.» la sorprendente naturalezza nelle sue parole lasciò la ragazza trasalire. L'insegnante scrutò la diretta interessata, prima di riportare lo sguardo, non ancora soddisfatto, al corvino.

«E tu, Wolfhard? Per caso avevi una visita anche tu?» ammiccò in risposta la donna, rimproveratoria, quasi sarcastica in un arricciare di labbra. Millie deglutì e avvertì la mano del ragazzo scivolare lungo la propria montatura, e adesso il suo braccio abbassarsi in un movimento fluido;

«No!» esclamò prontamente, lasciando giacere gli occhiali al banco.
«Io ho solo passato una brutta nottata, vede?»

Lei accennò ad una nota di disapprovazione;
«La nota te la becchi lo stesso, Wolfhard. Brown, tu puoi tenerli, ma la prossima volta portami il certificato medico.»

E quella volta il suo sguardo oscurato incontrò gli occhi corvini, sinceri di Finn, incorniciati da occhiaie scavate: quando la notò, si incurvò in- era un sorriso? Non il solito, avrebbe potuto giurarlo.
Millie lo realizzò; l'aveva coperta, e in qualche strano modo quell'azione le aveva fatto provare un'inaspettato sfarfallio allo stomaco. All'improvviso era calda e il sangue affluiva lungo il suo volto; per un attimo pensò fosse l'imbarazzo di quel momento, così, dovette voltarsi di scatto per non dare a vedere le gote arrossate.

come as you are [fillie]Where stories live. Discover now