Una nuova posizione nella gerarchia sociale.

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Capitolo 7.

Una nuova posizione nella gerarchia sociale.

Tom aprì la porta di casa sua con le chiavi e guardò il buio in cui era immersa: probabilmente i suoi genitori stavano già dormendo. Diede un'occhiata al suo orologio da polso e scoprì che era mezzanotte e mezza, eppure non era così tardi.

"Seguimi" sussurrò Tom e prese la mano di Bill, quest'ultimo entrò in casa. Il rasta non voleva accendere la luce per non rischiare di svegliare i suoi, ma scoprì che questa era un'ottima scusa per prendere la mano del moro. Delle volte tratteneva il fiato mentre, con la mano di Bill ancora stretta nella sua, lo guidava verso camera sua. Era così bizzarro il fatto che al minimo contatto non riuscisse più a pensare: nonostante non avesse bevuto nulla fuorché acqua, si sentiva ubriaco e su di giri. La sua testa girava, al punto che dovette usare tutta la sua concentrazione per non cadere e far dunque scivolare anche Bill. Quest'ultimo aveva accettato la mano di Tom e non aveva pensato nemmeno per un secondo che fosse una scusa, ma d'altronde il suo cuore non batteva forte come quello di Tom, non si sentiva nervoso come Tom in quel momento.

Sembrò un'eternità, ma i due raggiunsero finalmente la camera di Tom. Quest'ultimo aprì la porta e accese finalmente la luce; gli occhi di Bill, abituati all'oscurità, quasi bruciarono alla vista di quella fioca luce. Tom decise che non poteva continuare a tenere la sua mano senza che sembrasse strano, quindi a malincuore la lasciò. Nonostante questo il suo cuore non riprese a battere a una velocità normale, anzi, la sua mente divenne un posto ancora più confuso quando si rese conto che lui e Bill erano nella sua stanza, nella quale c'era un letto, ed erano soli. Scosse il capo come per scacciare qualsiasi pensiero di quel tipo, perché non voleva saltare addosso a Bill al primo appuntamento. Non che non ne avesse voglia, ma voleva andarci piano ed evitare che lui scappasse via da lui spaventato. Inoltre non era del tutto sicuro che il ragazzo avesse ben compreso che fosse un vero appuntamento e non uno scherzo.

"Questa è la mia magione" disse Tom con tono scherzoso facendosi da parte per far vedere a Bill la sua camera. Il ragazzo entrò e si ritrovò in una stanza grande – era più grande della sua, ma qualsiasi altra stanza del mondo sarebbe stata più grande – e finemente arredata. Al centro della stanza, contro il muro, troneggiava un letto da una piazza e mezzo e Bill ci si andò a sedere. Guardò la libreria del ragazzo, piena di libri la maggior parte dei quali con la copertina gialla, e riuscì a leggere il nome di Agatha Christie, inarcò le sopracciglia perché anche lui adorava la famosissima scrittrice di gialli. Se la libreria era molto ordinata nonostante fosse ricolma, non si poteva dire lo stesso della scrivania, occupata da libri, da quaderni e da un computer.

"Questa camera è enorme!" esclamò Bill dalla sua posizione sul letto, fece penzolare le gambe mentre Tom si chiudeva la porta alle spalle e si avvicinava alla sua scrivania.

"Già, era la camera da letto dei miei genitori, ma li ho convinti a fare cambio" disse mentre cercava qualcosa su alcune mensole posizionate sopra la scrivania, occupata da vari oggetti e delle foto.

"Davvero?" chiese il moro inarcando le sopracciglia e guardando il ragazzo.

Tom riuscì a trovare la macchinina di cui gli aveva parlato il moro e la prese, si girò e si avvicinò a lui, gliela porse. "No, ma mi piace prenderti in giro" disse e gli sorrise, Bill gli mandò un'occhiataccia prima di accettare il giocattolo che gli veniva porto.

"Grazie per questa" disse e alzò la macchinina, Tom si andò a sedere accanto a lui. Non sapeva come riuscisse a mantenere un'apparenza tranquilla, dato che il suo cervello era ufficialmente andato in fumo a causa del fatto che erano entrambi effettivamente seduti sul letto – dove avrebbe voluto che fossero, ma per fare altre cose per cui le parole a poco servivano. Il rasta lo guardò e sembrò che anche Bill, ufficiosamente, fosse normale, semplicemente perché lui non riusciva a provare lo stesso nervosismo del rasta. "Suppongo che il nostro odio secolare termini qui"

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