𝓓𝓸𝓿𝓮 𝓽𝓾𝓽𝓽𝓸 𝓱𝓪 𝓲𝓷𝓲𝔃𝓲𝓸

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🌙 haewon's pov

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🌙 haewon's pov

La mattina successiva venni svegliata dalla luce del Sole che faceva capolino dalle persiane lasciate da me distrattamente spalancate la sera prima.
Con l'aiuto delle mani, mi diedi una leggera spinta per potermi sedere sul materasso incredibilmente morbido, stropicciarmi poi gli occhi impastati tra gli sbadigli: dovevo aver dormito senza essermi ricordata di togliere gli occhiali e come risultato mi ritrovai il viso, all'altezza del naso, dolorante.
Dopo essermi decisa ad alzarmi e aver recuperato il mio spazzolino dalla valigia, mi diressi verso la porta. Dovevo assolutamente cercare un bagno visto che mi accorsi mio malgrado che la camera dell'ostello ne era sprovvista: immaginai che, per forza di cose, dovesse essercene uno in comune con coloro che soggiornavano come me in quello stesso edificio, quindi iniziai a camminare a vuoto lungo il corridoio che mi si presentò davanti gli occhi non appena sbloccai la serratura.
Dopo svariati minuti passati a fare avanti e indietro e ad osservare con attenzione ogni singola porta di legno nella speranza di vedere un qualsiasi cartello infissovi sopra che indicasse la presenza di una toilette, iniziai ad innervosirmi. Scesi allora le scale in tutta fretta con l'intenzione di perlustrare anche il piano terra, ma prima che potessi farlo, mi trovai faccia a faccia con la proprietaria dell'ostello che stava tenendo tra le braccia un'enorme massa di lenzuola aggrovigliate tra loro: 'Oh' spostai subito lo sguardo sulle sue labbra per leggerne il labiale, ma invece di parlare, si affrettò a lasciar cadere a terra ciò che le occupava le mani, per poi prendere dalla tasca del grembiule un block notes e una penna. Scrisse qualcosa velocemente sotto il mio sguardo intontito e poi porgendomelo con un sorriso: 'Ero quasi intenzionata a venire a svegliarti per la colazione, ma a giudicare dal tuo faccino ancora assonnato direi che ci ha già pensato la luce del Sole di Busan'.
Sollevai lo sguardo non appena finii di leggere e con mia grande sorpresa mi trovai davanti a dei risolini divertiti di cui non riuscii a percepirne il suono squillante. Arrossii all'istante, toccandomi freneticamente i capelli nel tentativo di sistemare il nido che senza dubbio si era formato durante la notte. Un paio di tocchi leggeri sulla spalla mi fecero capire che le donna stava cercando di attirare la nuovamente la mia attenzione su di lei: 'Cercavi la sala comune per mangiare qualcosa? Sbrigati, tra mezz'ora chiuderanno la cucina' scrisse poco più in basso rispetto alla prima frase.
Al che scossi la testa. Allungai dunque la mano verso la tasca dei miei pantaloni, brandendo penna e taccuino tra le dita e abbozzando sulla pagina contrassegnata con la data del primo Novembre una frase quanto più breve e concisa possibile: 'Dov'è il bagno?'.
Mi strinsi nelle spalle quando voltai il piccolo block notes verso di lei. Lei si batté un palmo sulla fronte, come se si fosse all'improvviso ricordata qualcosa che aveva dimenticato: mi fece cenno di seguirla con una mano e, solo dopo aver recuperato le lenzuola da terra, mi fece strada attraverso la sala principale.

La seguii cercando di starle al passo, stringendo il mio taccuino al petto. Non appena scostò una tenda dalla trama geometrica, mi indicò le due porte nascoste alla vista che ad una prima veloce occhiata non si differenziavano in nulla. La donna si voltò nuovamente verso di me e mi rivolse un sorriso d'incoraggiamento. Probabilmente la mia espressione intimidita doveva esserle sembrata di terrore, tanto che si sentì in dovere di tranquillizzarmi.
La verità era che ero ancora troppo assonnata per sembrare lucida.
La ringraziai con un breve inchino mentre le restituivo l'unico mezzo di comunicazione che potesse esistere tra noi e mi affrettai ad afferrare la prima maniglia che mi avrebbe permesso di darmi una sciacquata veloce: per l'ennesima volta, una mano mi sfiorò la spalla e indicò verso l'alto. Diedi una veloce occhiata a ciò che stava indicando per accorgermi che, effettivamente, una distinzione c'era ed io stavo intelligentemente pensando di entrare nel bagno degli uomini. Togliermi gli occhiali per lasciare alla mia pelle il tempo di riprendersi non era stata una mossa particolarmente intelligente.
Sentii le guance ribollire per l'imbarazzo e mi grattai il retro del capo con un dito: un'ennesima risata divertita fece sorridere la donna ben piazzata che, tuttavia, decise di lasciarmi ben presto i miei spazi.
Scivolai all'interno della stanza prima che potessi fare altre figuracce che mi avrebbero fatta passare per un'idiota bella e buona. Cavarmela da sola si stava rivelando più difficile di quanto avessi erroneamente pensato prima di partire.
Feci un respiro profondo per poi dirigermi verso l'unico dei tre lavandini dotato di uno specchio. Mi avvicinai ad esso per guardarmi più da vicino e constatai mio malgrado che oltre ai capelli che risultavano essere spettinati all'inverosimile, le mie guance erano ancora segnate dalle linee profonde del piumone su cui mi ero addormentata. A completare un visione tanto idilliaca, i segnacci degli occhiali sul ponte del naso non aiutavano certamente a darmi un'aria seria.
Dovevo esserle sembrata ridicola.
Legai i capelli in una coda e mi sciacquai il viso con getti d'acqua ghiacciata a ripetizione, sperando di combattere i segni della sonnolenza che proprio non si decidevano a lasciare i miei occhi scuri. Quando mi decisi ad uscire, trovai nuovamente la donna che mi stava aspettando: con un movimento rapido cercò di prendere il suo block notes per comunicare con me, ma la fermai prima che potesse posare la penna su una pagina intonsa; mi affrettai invece a scrivere sulla mia: 'Non deve per forza scrivere se le viene scomodo, posso in realtà capirla se parla, ma dovrebbe farlo lentamente e con il suo viso rivolto completamente verso di me'.
Sgranò gli occhi, come se avesse ricevuto chissà quale lieta notizia, e poi, con estrema lentezza, mi domandò con l'aiuto del labiale per quale motivo non glielo avessi fatto presente la sera prima.
'Quando sono stanca, la mia attenzione cala come per qualsiasi altra persona e ieri non ero sicura di riuscire a sostenere una conversazione così faticosa: può non sembrare, ma porta via un sacco di energia per chi, come me, deve focalizzare tutta l'attenzione sui movimenti delle labbra di qualcuno' spiegai attraverso la mia calligrafia.
La donna annuì come per comunicarmi che avesse compreso, per poi parlare nuovamente: 'Seguimi,' disse 'sarai senza dubbio affamata'.
Solo in quel momento prestai attenzione al brontolio del mio stomaco e ricordai di non aver toccato cibo dal pomeriggio precedente, più precisamente da quando avevo pranzato, a causa della stanchezza che il viaggio mi aveva lasciato addosso.
La seguii superando la hall, ritrovandomi davanti ad una porta di vetro a scorrimento, dietro la quale si poteva vedere la sala adibita a buffet: su un lungo tavolo posto al centro della stanza, coperto da un'adorabile tovaglia dai ricami floreali, vi erano più di una decina di prodotti da forno, posti l'uno accanto all'altro con estremo ordine e precisione, tanto da sembrare irreali; poco distante, su un altro tavolo tuttavia posto in verticale, erano state installate due macchinette per le bevande calde e una per le spremute. Infine, sparsi per la saletta dalle piccole dimensioni, più tavoli ravvicinati tra loro con ognuno il proprio numero di riconoscimento che, immaginai, dipendesse dalla stanza assegnatagli.
Venni scortata laddove il numero dodici spiccava su un segnaposto palesemente verniciato d'oro per poi notare la donna farsi spazio nel mio campo visivo per attirare la mia attenzione fino ad allora rivolta totalmente ai dolciumi e al loro profumo che mi riempiva le narici: 'Serviti pure, io nel frattempo ti aspetto qui' disse, prendendo posto.
Nonostante un primo momento di sgomento, la ringraziai con un breve inchino e mi fiondai a riempire il mio piatto di ceramica sbeccato di torte varie, tra cui una al cioccolato e una con della crema dal profumo intenso di vaniglia.
Decisi di prendere anche una cioccolata calda al latte con l'intenzione di scaldarmi un po' visto il freddo che Novembre si era portato con sé. Mentre aspettavo che la mia bevanda fosse pronta, mi voltai furtivamente per osservare i movimenti della donna che mi aveva trattato con tanta gentilezza: la sera prima, non appena aveva appreso la mia condizione, sembrava quasi essere restia dal comunicare con me, eppure, per qualche strano motivo, si era come addolcita nei miei confronti.
Probabilmente le facevo pena.
La vidi ancora seduta al tavolo, intenta a scrivere un messaggio sul cellulare, e mi chiesi mentalmente cosa avesse in mente.
Non appena posai anche la tazzina rovente sul vassoio, camminai lenta verso di lei per evitare di fare cadere la montagna di cibo che avevo ben pensato di mangiare, fino a prendere posto esattamente di fronte a lei.
'Come ti chiami?' domandò senza che neppure avessi il tempo di inzuppare la fetta di torta al cioccolato all'interno della bevanda fumante. Estrassi il taccuino dalla tasca del giubbotto che ancora avevo addosso dal giorno prima e, dopo averlo posato sul tavolo, scrissi quanto più comprensibilmente possibile ogni carattere di ciò che era la mia identità: 'Mi chiamo Kim Haewon'.
'Haewon?' spostai repentinamente il mio sguardo sulle sue labbra pronuncianti il mio nome 'È davvero un nome bellissimo: sai che significa grazia?'.
Annuii, rivolgendole un sorriso nonostante stessi ormai masticando con gusto la mia torta.
'Devi essere un ragazza speciale e dalle grandi capacità per portare un nome dal significato tanto importante: i tuoi genitori devono essere molto orgogliosi di te!' la vidi parlare nuovamente, sempre più entusiasta, eppure con un cenno di malinconia nella sua espressione 'E dimmi, Haewon, cosa ci fai qui a Busan, tutta sola?'.
Non seppi dire il motivo, ma ero sicura di essere arrossita. La sua domanda mi aveva colto alla sprovvista e, nonostante sapessi bene il perché mi trovassi lì, non mi ero resa conto per davvero che in poche ore avrei dovuto sostenere una delle audizioni più importanti della mia vita, senza considerare il fatto che era persino la prima in assoluto.
Con la penna ancora stretta nel palmo della mano tremante, mi decisi a scrivere, una riga più in basso rispetto alla prima, la motivazione di quel mio viaggio: 'Sono stata selezionata per delle audizioni che si terranno qui in città in più giorni, e oggi è il mio turno' spiegai in modo vago, masticando un altro boccone della deliziosa torta al cacao.
'Che tipo di audizione?' chiese poggiando il mento sulle mani posizionate a coppetta. Mi mordicchiai nervosamente il labbro, timorosa della sua reazione se le avessi detto la verità: già la vedevo, stesa a terra dalle risate, per una cosa tanto assurda quanto una sessione di ballo tenuta da una ragazza sorda che, di musica, doveva per forza di cose capirci poco o niente.
Mi sistemai un ciuffo ribelle della frangetta dietro all'orecchio: 'Le potrà sembrare assurdo, ma oggi danzerò per la prima volta davanti ad un giuria per cercare di realizzare il mio sogno nel cassetto, signora..?' mi decisi a scrivere, tentando di distogliere l'attenzione su di me nel domandarle velatamente come si chiamasse.
Lei mi rubò il taccuino della mani, così come la penna, per poter scrivere ogni singolo carattere del suo nome di battesimo: Sin Kippeum. Aggiunse in velocità una faccina sorridente accanto ad esso, rigirando poi il taccuino verso di me.
'Gioia?' mi affrettai a scrivere mentre sorseggiavo la mia cioccolata, forse fin troppo calda.
Annuì non appena lesse ciò che desiderassi sapere: 'Proprio così!' disse 'Sei brava a ricordare i significati dei nomi: solitamente quasi nessuno ne è a conoscenza visto che il nostro alfabeto deriva dagli ideogrammi dell'Hanja cinese'.
'Per me è un modo come un altro di conoscere la personalità di una persona non avendo la possibilità di parlarci come un persona normale potrebbe fare' scrissi, dando una veloce occhiata al mio cellulare per tenere sotto controllo l'ora; mi accorsi di essere già terribilmente in ritardo e, dopo essermi quasi rovesciata addosso la bevanda bollente per la sorpresa, mi alzai in piedi facendo strisciare le gambe della sedia sul pavimento in legno e percependone le vibrazioni fastidiose attraverso i jeans lunghi che mi avvolgevano le gambe.
Ingurgitai l'ultimo pezzo di pasta frolla della torta e, senza neppure degnare di un ulteriore sguardo la donna, mi diressi in velocità verso la hall: salii le scale, inciampando nei miei stessi piedi un paio di volte, e mi rintanai in camera con l'intenzione di preparare tutto ciò di cui avrei avuto bisogno per l'audizione.
La tensione iniziò a farsi sentire con più insistenza non appena presi il borsone e lo posai con foga sul materasso. Controllai più e più volte che la mia tenuta sportiva, composta da una maglietta extrlarge di color indaco e un paio di pantaloncini neri, fosse nello stesso posto in cui l'avevo lasciata ben piegata, che i miei calzini fossero dello stesso colore, che le scarpe fossero ben pulite e che il CD con la canzone che avevo scelto non si fosse danneggiato durante il viaggio.
Indossai gli orecchini a cerchio che mia madre mi aveva regalato sostenendo che fossero una sorta di portafortuna e decisi di truccarmi per risultare almeno un minimo presentabile: la prima impressione era, da quello che tutti erano soliti dirmi, quella più importante e tutto volevo meno che essere esclusa dalla competizione per il mio aspetto all'apparenza poco curato.
Posai all'interno del borsone anche le mie lenti a contatto che mi sarebbero servite per evitare di ballare con l'impedimento degli occhiali da vista e, dopo essermi cambiata con le prime cose che riuscii a trovare nel disordine che aleggiava nei miei bagagli, misi in spalla tutto l'occorrente e mi diressi verso l'uscita dell'ostello. Appena fatto l'ultimo scalino, notai che la donna che avevo lasciato con un palmo di naso poco prima si trovasse nuovamente dietro alla reception, intenta a parlare al telefono con qualcuno. Le feci un inchino veloce per salutarla e, allo stesso tempo, per scusarmi per la mia maleducazione, ma lei mi fermò muovendo una mano nella sua direzione: feci una breve corsa verso di lei, armandomi del mio libriccino per comunicarle che fossi già in ritardo, eppure lei sembrò avermi già letto nel pensiero.
Le sue labbra si mossero velocemente dopo aver coperto con una mano l'altoparlante, ma riuscii a carpirne il significato. 'Ti ho chiamato un taxi: immagino tu sia in ritardo per la tua audizione colpa mia e della mia lingua lunga, quindi ti prego di accettare il mio modo per sdebitarmi!' mi rivolse un'occhiolino 'E, in ogni caso, se il tuo sogno è quello di danzare, nessuno può permettersi di giudicare, udente o meno che tu sia, quindi ti auguro buona fortuna'.
Rimasi pietrificata per qualche secondo, sinceramente sorpresa dalla sua gentilezza, ma non me lo feci ripetere due volte. Non appena feci il mio ingresso nell'abitacolo, scrissi senza pensarci il nome della via presso cui mi sarei dovuta trovare in meno di un'ora.
Avevo letto e riletto la lettera di ammissione almeno un centinaio di volte e ormai ne conoscevo ogni dettaglio a memoria. Compreso l'indirizzo del luogo in cui si sarebbe tenuta la tanto attesa audizione.
Per fortuna, la mia destinazione risultò non essere eccessivamente distante, tanto che in una mezz'oretta scarsa venni lasciata davanti ad un enorme edificio che all'apparenza sembrava essere grande quanto due stadi olimpici messi assieme. Se non fosse stato per l'assurda quantità di gente che curiosava attorno ai manifestanti affissi lungo il perimetro, mi sarei certamente domandata se fosse effettivamente il posto giusto. Gli stendardi pubblicizzanti il nome della NKTC mi diedero la conferma che cercavo e mi attivai subito per localizzare il luogo da cui avrei potuto fare il mio ingresso: il silenzio che percepivo faceva netto contrasto con il vociare confuso che ero sicura aleggiava in una folla tanto grande. Seguii le indicazioni affisse con grande precisione sui muri della struttura, percorrendo le arcate a corsa e sospirando per la fatica nel farmi strada tra la gente, fino a scorgere una fila ordinata composta da ragazze ad una prima veloce occhiata agitate tanto quanto me. Ognuna di loro aveva in mano la stessa lettera che era stata recapitata anche a me settimane prima: alcune di loro erano sole, altre in compagnia di amiche o quelli che immaginai fossero i loro genitori, ma tutte, dalla prima all'ultima, rigiravano nervosamente il foglio color crema tra le dita tremanti dall'emozione.
Con le gambe improvvisamente diventate pesanti, mi avvicinai alla coda e attesi con pazienza il mio turno. Approfittai del momento di tranquillità per scrivere a mia madre e tenerla così aggiornata sulla situazione, ricevendo un messaggio chilometrico in cui mi ripeteva quanto fosse orgogliosa di me e di quanto soprattutto mi stesse pensando nonostante fosse estremamente impegnata al negozio di ramen. Le sue parole mi diedero la tranquillità che cercavo, ma quel senso di pace non durò quanto avevo sperato.
La fila si stava pian piano accorciando e così la mia distanza dal tavolo adibito all'accoglienza: senza accorgermene, iniziai a mordicchiare l'unghia del mio indice per l'ansia che si era ormai nuovamente impossessata del mio corpo, pensando a come avrei potuto spiegare la mia situazione delicata ai due uomini che si occupavano di controllare che i documenti delle partecipanti fossero validi. L'unico modo che avevo di instaurare una comunicazione con loro era il mio vecchio taccuino malandato e mi chiesi mentalmente se sarebbe bastato per non fare figuracce.
Ero così immersa nelle mie paranoie che non mi accorsi fosse arrivato il mio turno finché la mano di una ragazza alle mie spalle mi picchiettò in modo impaziente una spalla: mi voltai e focalizzai l'attenzione sulle sue labbra colorate da in lucidalabbra rosso acceso, le quali mi stavano invitando ad avanzare perché, a detta sua, stavo rallentando lo scorrimento della fila già abbastanza lunga di suo.
Sentii le guance andare a fuoco e, dopo essermi scusata attraverso un inchino veloce, mi avvicinai al tavolo dove, senza neppure essere salutata, mi venne chiesta la lettera di partecipazione e il documento d'identità. Osservai col cuore in gola i due uomini confrontare il nome riportato sulla lettera con quello della carta, fino a che mi porsero un foglio e una penna sul quale avrei dovuto firmare per l'accettazione delle clausole di privacy. Fortunatamente non vi era tempo per fare conversazione, quindi, quando tutti i passaggi vennero completati, mi venne consegnato un pass plastificato di riconoscimento da mettere al collo e da tenere sempre con me fino a che non fossi stata chiamata per sostenere la vera e propria audizione.
Feci il mio ingresso nella struttura che, dall'interno, pareva essere ancora più grande di quanto avessi immaginato solo vedendone l'esterno: la sala principale era già gremita di ragazze che, a turno, si dirigevano negli spogliatoi per cambiare il loro outfit o per sistemarsi il trucco sbavato, altre stavano ripassando i passi della coreografia da sottoporre ai giudici e altre ancora avevano deciso di risparmiare le energie sedendosi per terra e ascoltando quella che pensai fosse della musica con l'ausilio delle cuffiette. Scorsi anche qualche ragazzo di cui prima non avevo trovato traccia, intenti anch'essi nei preparativi.
Decisi infine di seguire l'esempio del primo gruppo. Un'ennesima lunga fila si parò davanti ai miei occhi e, dopo quasi un quarto d'ora d'attesa, riuscii finalmente ad accaparrarmi un camerino: mi svestii alla velocità della luce e, altrettanto sbrigativamente, indossai ciò che mi ero portata da casa.
Non appena infilai dalla testa il maglioncino leggero, l'odore dell'ammorbidente che utilizzava mi madre quando faceva la lavatrice mi diede quel tipico senso di casa.
Infilai le All Star ai piedi, annodando saldamente le due estremità delle stringhe l'una all'altra per evitare di inciamparvi, tolsi gli occhiali sostituendoli con le lenti a contatto e, infine, legai i capelli in una coda alta dopo aver assicurato la frangetta ai lati della testa con due forcine.
Inspirai a fondo prima di uscire e cercare un posto tranquillo dove potermi rilassare, possibilmente lontana dalla folla che mi stava dando non pochi problemi. Odiavo la confusione, i corpi ammassati l'uno all'altro, troppo ravvicinati per poter anche solo respirare, gli spintoni anche involontari che mi facevano barcollare e l'odore di chiuso che si respirava.
Controllai l'ora e mi resi conto di avere ancora qualche decina di minuti prima che il tutto iniziasse: nel percorrere un sottopasso, trovai il giardino della struttura dove decisi di fermarmi per riprendere fiato.
Nonostante avessi ben compreso ciò che i cartelli di divieto di passaggio dicessero, decisi di tentare la fortuna e addentrarmi in quell'area privata. Pensai che per un giardino curato come quello fosse uno spreco non sfruttarlo, anche fosse stato solo per pochi minuti.
Presi posto sulla prima panchina in granito che trovai, estraendo il mio taccuino per provare a disegnare qualcosa: non ero bravissima, anzi, in realtà facevo piuttosto pena, ma mi aiutava a rilassare i nervi quando sentivo che ero troppo agitata. In alternativa ballavo, ma immaginai che quello non fosse il momento adatto. Dovevo conservare quante più forze possibili per ciò a cui stavo andando in contro.
Iniziai a far correre la punta della penna blu sul foglio bianco, cercando di rimanere quanto più fedele possibile ai petali dei fiori che avevano attirato la mia attenzione crescendo proprio sotto ai miei piedi: il loro odore pungente s'insinuava nelle mie narici fino a confluire all'interno dei polmoni, suscitandomi un senso di pace che poche volte riuscivo ad ottenere. Ne seguii mentalmente i contorni, mi focalizzai su ogni più piccola smussatura, ogni venatura che si intraveda dalle trasparenze di quel bianco latteo baciato dolcemente dai raggi del Sole.
Staccai gli occhi dalla bozza solo quando il timer che avevo impostato per ricordarmi di tornare nella sala principale mi avvisò che era arrivato il momento di andare: prima di alzarmi tuttavia, non seppi bene dire il perché, mi guardai attorno e mi stiracchiai. Scorsi allora in lontananza un gruppo di ragazzi ben vestiti che attraversavano a passo svelto le immense arcate costeggianti il quadrato perfetto che era il giardino: uno di loro si fermò, chinando il capo sulla cravatta che stava disperatamente cercando di allentare. I luminosi capelli castani gli ricaddero sugli occhi, mostrando così un orecchio adornato da piercing disposti in ordine sulla cartilagine, mentre con le dita si impegnò a snodare quello che, invece di una cravatta, sembrava essere per lui un cappio.
Il ragazzo con cui stava precedentemente camminando fianco a fianco, alto e dal fisico apparentemente scolpito, gli si parò davanti per aiutarlo a sistemare il pezzo di stoffa che ormai giaceva in modo disordinato sulle piastrelle a mosaico. Vidi il castano sbuffare mentre posava le mani sui fianchi in una smorfia scocciata, sobbalzando sul posto quando l'altro gli strinse nuovamente al collo la cravatta nera.
Dopo aver ricevuto una vigorosa pacca sulla spalla dal compagno, che si preoccupò anche di rivolgergli un sorriso d'incoraggiamento adornato da due adorabili fossette, venne invitato a sbrigarsi con un gesto impaziente della mano: a quel punto, il viso del ragazzo, che ormai avevo associato ad una persona non simpatizzante per le cravatte, si voltò nell'esatto punto in cui ero rimasta ad osservare la divertente scenetta.
I suoi occhi trovarono i miei, permettendomi di rivedere in lui dei lineamenti familiari. Spostai all'istante l'attenzione sul mio borsone che giaceva a terra, arrossendo di colpo per quel contatto visivo inaspettato: mi alzai e in tutta fretta mi divincolai dal suo sguardo avviandomi nella sala principale, laddove la folla si era ormai raddoppiata.
Non ebbi neppure il tempo di ragionare su dove potessi avere già visto i suoi occhi vispi e scuri che i volti delle persone si girarono all'unisono verso un punto dell'enorme stanza: seguii il loro esempio e, con le guance che ancora bruciavano, scorsi la figura elegante di una donna in piedi in cima ad una rampa di scale, intenta a parlare attraverso un megafono, probabilmente per farsi sentire nel brusio che senza dubbio aleggiava fino a qualche istante prima.
A giudicare dalle espressioni di coloro che mi circondavano, non doveva volare una mosca in quel preciso momento. Tutti pendevano dalle labbra della donna, ammutoliti, intenti ad ascoltare attentamente ciò che stava comunicando. Sfortuna volle che, con il megafono posto proprio davanti alle sue labbra, io non riuscii ad essere partecipe del suo discorso. Quando si ritirò, cercai con lo sguardo qualcuno che a prima vista potesse essere tanto gentile da riferirmi cosa la donna aveva detto.
Mi morsi un labbro per la frustrazione, maledicendomi mentalmente per non aver pensato prima ad una possibilità del genere. In quel momento desiderai di avere mia madre al mio fianco, pronta ad aiutarmi e comprendermi solo come lei sapeva fare, ma la realtà era che si trovava a più di due ore di distanza da me. Per puro caso, tra le innumerevoli teste, scorsi la ragazza che in fila per il riconoscimento mi aveva rivolto la parola per suggerirmi di avanzare.
Nonostante un primo momento di timidezza, mi decisi a raggiungerla. Non potevo permettere al mio carattere chiuso e, soprattutto, al mio handicap di farmi rimanere indietro. Non potevo permettermi di perdere nemmeno una singola parola che usciva dalle bocche degli organizzatori.
Quando le fui alle spalle, le picchiettai con timore l'indice sull spalla, nello stesso modo che aveva fatto lei con me qualche minuto prima: i suoi lunghi capelli rossicci, palesemente tinti, mi colpirono sulle guance non appena si voltò e i suoi occhi si fissarono nei miei. Le lenti azzurre mascheravano il reale colore dei suoi occhi dal taglio orientale, i dieci centimetri buoni che ci separavano in altezza mi fecero sentire improvvisamente più piccola di quanto già non fossi e l'espressione scocciata sul suo viso mi fece venire i brividi.
Sembrava essere pronta a sbranarmi.
Non appena tuttavia si accorse chi fossi, la sua espressione cambiò repentinamente, addolcendosi: 'Oh!' esclamò 'Sei mica la ragazzina che si è imbambolata proprio davanti a me?'.
Una risatina nervosa lasciò le mie labbra mentre continuavo ad osservare le sue che si muovevano ad una velocità impressionante: 'Probabilmente prima sono stata un po' scortese ma, insomma, la colpa è tua!' disse alzando gli occhi al cielo 'Chi è che svariona proprio in un momento del genere, con in più due tizi grandi e grossi che ti urlano a squarciagola di raggiungerli? Se non ti avessi richiamato all'attenzione, probabilmente a quest'ora saremmo ancora là fuori al freddo!'.
Mi chiesi tra me e me se fosse quello un modo velato per chiedermi scusa.
Non ebbi il tempo materiale per spiegarle la situazione attraverso il mio taccuino che la porta da cui era uscita la donna vestita di tutto punto si aprì nuovamente, zittendo la ragazza al mio fianco e precludendomi ancora un volta di sapere cosa diavolo stesse succedendo.
Osservai la ragazza accanto a me stendere le labbra in un sorriso sempre più eccitato man mano che i minuti passavano, finché non mi afferrò per una spalla e iniziò a saltellare sul posto. Non riuscii a fare a meno di ridacchiare sotto i baffi, coprendomi la bocca con una mano con l'intento di soffocare i risolini: era una tipa strana, su quello non vi era alcun dubbio, eppure sembrava essere allo stesso tempo genuina e divertente.
'Ci siamo quasi!' disse non appena si voltò verso di me 'Stanno per chiamare il primo candidato che terrà l'audizione: spero di essere io, non vedo l'ora di fare vedere a questa giuria super segreta di che pasta sono fatta!'.
Sgranai gli occhi per quell'inaspettata informazione e il panico prese il sopravvento: se avessero chiamato il mio nome attraverso quel maledetto megafono che mi impediva di leggere il labiale, potevo dirmi fregata.
Dovevo dire all ragazza al più presto del mio piccolo problema. Strinsi la sua maglietta nel palmo della mano e la tirai un paio di volte per richiamare la sua attenzione, ma sembrava essere troppo concentrata per accorgersi che qualcuno come me la stava praticamente scuotendo.
Riuscii a carpire il nome completo che la donna aveva pronunciato dall'alto della scalinata solo perché lei lo ripetè più e più volte tramite quelli che, stando ai movimenti delicati della sua gola, immaginai fossero solo bisbigli soffocati
Non ero io la prescelta. E nemmeno lei.
Arricciò le labbra in un'espressione delusa e, a quel punto, entrambe seguimmo con lo sguardo la figura della ragazza che saliva velocemente le scale per poi sparire insieme alla portavoce dietro la porta massiccia.
Tirai un sospiro di sollievo: al momento, ero ancora salva da figuracce.
'Si può sapere che ti è preso?' la ragazza dai capelli rossicci si interpose tra me e la scalinata, permettendomi così di seguire sillaba per sillaba i movimenti alternati della sua bocca e lingua 'Mi hai praticamente sgualcito la mia maglietta preferita! Stai cercando di sabotarmi?'.
Scossi la testa rapidamente, rendendomi conto solo allora di aver forse utilizzato troppa foga nel tirarla per la manica.
'Certo che sei una tipa davvero silenziosa!' alzò gli occhi al cielo, posando le mani sui fianchi e osservandomi di sbieco, come se così facendo potesse decifrarmi 'Sei forse muta?'.
Agitai le mani come per dirle che non fosse così e, proprio quando mi accinsi a prendere il mio taccuino, mi resi conto di non averlo con me. Tastai nervosamente ogni parte del mio corpo alla sua ricerca disperata finché non percepii due mani afferrarmi per le spalle e bloccare ogni mio movimento: cercai il viso della ragazza e, con gli occhi spalancati e il cuore che batteva all'impazzata, puntai l'indice verso il mio petto per poi picchiettare un paio di volte lo stesso polpastrello sul mio orecchio destro.
Lei aggrottò le sopracciglia in risposta, cercando di capire ciò che stavo cercando di comunicarle ma senza successo.
"Non po**o *en*ire, *ono *orda!" mi appellai all'ultima carta che mi rimaneva da giocare. La mia voce, di cui non conoscevo l'intonazione, dovette sembrarle particolarmente buffa perché ad un primo istante si mise a ridere, pensando erroneamente mi stessi divertendo a prendermi gioco di lei; dovetti ripetermi più volte affinché capisse il reale significato delle mie parole dalla pronuncia imprecisa.
'Frena, ragazzina, frena!' disse con lentezza, sbigottita 'Sei davvero sorda? Ho capito bene?'.
Annuii, tastandomi le gote che avevano ripreso a pizzicarmi insistentemente.
'E-' esitò un momento 'E tu riesci a capirmi? Come fai a sentire ciò che dico se sei sorda?'.
Ipotizzai stesse urlando nel vedere attraverso la visione periferica le vene poste sul suo collo latteo gonfiarsi e percependo lo sguardo di tutti i presenti posarsi su di noi. Avvicinai un dito alle mie labbra, intimandole di fare silenzio, per poi mimare con le mani il movimento che solitamente facevo per scrivere.
'Hai bisogno di qualcosa per scrivere? È giusto?' le sue urla si trasformarono in quello che immaginai fosse un bisbiglio. Annuii nuovamente, sollevata.
Mi fece cenno di rimanere esattamente dove mi trovavo mentre lei sparì tra la folla. Mi massaggiai le tempie nel pensare dove avessi potuto avere lasciato un pezzo tanto importante di me stessa, finché non ricordai di essere praticamente scappata a gambe levate dal giardino presso cui mi ero appartata per disegnare: gli occhi di quel ragazzo dovevano avermi messa così tanto in soggezione che ero riuscita persino a dimenticare sulla panchina quella che da sempre era stata l mia voce.
Proprio quando avevo deciso di andare a cercarlo, la ragazza fece ritorno con un foglio di carta, una penna e il fiatone che le faceva gonfiare e sgonfiare il petto ad un ritmo ravvicinato.
Me li porse con impazienza e finalmente mi sentii più sicura: 'Ho dimenticato il mio taccuino nel giardino della struttura, è l'unico modo che ho per comunicare in modo decente con le persone,' iniziai a scrivere velocemente 'devo andare a cercarlo!'.
'Ma sei pazza?! Non hai visto tutti i segnali di divieto che proibiscono ai visitatori di entrarci?!' la sua espressione si fece più severa 'E permettimi di ricordarti che non puoi: se dovessero chiamare il tuo nome e tu non ti trovassi qui, saresti squalificata a prescindere per non esserti presentata: dannazione, l'hai letto il regolamento, razza di stupida?'.
Aveva ragione, avevo trasgredito alle regole, ma non potevo permettermi di presentarmi di fronte alla giuria senza qualcosa che mi aiutasse a comunicare con loro.
'Farò veloce, promesso' scrissi per poi divincolarmi dalla sua presa ferrea e correre per l'ennesima volta tra la folla verso il luogo in cui ero sicura di trovasse il mio fedele compagno di avventure; non si trattava solo dell'unico modo per parlare, aveva anche un valore affettivo non da poco.
Arrivai laddove mi ero seduta, ma con mia grande sorpresa il mio quaderno sembrava essere sparito nel nulla. Cercai in ogni angolo del giardino, pensando che forse una folta di vento lo avesse fatto volare da qualche parte lì vicino, ma di lui nessuna traccia.
Curiosai persino dietro le siepi e i cespugli ben curati, buttai un'occhio dentro l'unico cestino posto ad un angolo del quadrato d'erba verde, sotto le panchine in granito. Ispezionai tutto il perimetro con estrema attenzione, ma sembrava essere svanito nel nulla.
Gli occhi mi si riempirono di lacrime, la vista mi si appannò e non riuscì a trattenere un paio di singhiozzi.
Neppure per un istante in tutta la mia vita mi ero separata da quel libriccino e, nonostante fosse ormai malandato, per me rappresentava ogni istante che avevo vissuto fino ad allora. Al suo interno vi erano tutte le conversazioni che avevo instaurato per anni, le lezioni che avevo imparato tramite gli sbagli, gli obiettivi raggiunti con tanta fatica e sudore, le soddisfazioni di una vita intera.
Sconfitta, mi asciugai le lacrime con la manica del maglioncino extrlarge, decidendo di tornare dove avevo lasciato la ragazza con un palmo di naso e che probabilmente se n'era già andata, stanca di dover avere a che fare con un peso come me. Contro ogni mia aspettativa invece, la trovai nello stesso punto in cui l'avevo lasciata: mi corse in contro, chiedendomi con sguardo apprensivo se avessi trovato ciò che stavo cercando.
Scossi la testa, cercando disperatamente di non farle vedere che avevo pianto.
'Ora non puoi farci molto, forza, tieni questi, mi raccomando!' mi porse nuovamente il foglio e la penna 'Scrivimi qui sopra come ti chiami e quando sei nata così, non appena ti chiameranno, ti potrò avvisare che è il tuo turno'.
Le rivolsi uno sguardo di gratitudine, estremamente sollevata dal fatto che si fosse dimostrata così gentile seppure ancora sconvolta. Scrissi il mio nome e cognome, a cui affiancati la data di nascita, chiedendole poi di trascrivere anche io suo.
Lee Miyon.
Bellezza.
Un significato che le si addiceva alla perfezione.
Miyon mi prese per mano e ci spostammo in un angolo della stanza in cui sembrava esserci meno calca per, a detta sua, comunicare con più tranquillità. Senza che mai perdesse di vista la donna che al termine di ogni audizione usciva per chiamare i partecipanti successivi, mi chiese di raccontarle qualcosa in più su di me.
Attenta a non fare errori grammaticali, le spiegai la mia condizione, le raccontai del viaggio che avevo intrapreso a Busan completamente sola, della mia capacità di leggere il labiale a cui sembrò essere particolarmente interessata, del modo in cui avevo vissuto fino a quel momento.
Lei alternava momenti di sgomento ad altri di ammirazione, sostenendo che fossi una sorta di supereroina. Mi fece sinceramente ridere il fatto che fosse la prima persona oltre ai miei genitori a non vedermi come una sorta di peso per la società. Sembrava essere interessata alla mia vita, al modo in cui mi sbrogliavo dalle situazioni tramite la mia abilità di scrittura, al mio coraggio per aver deciso di intraprendere un'avventura come questa tutta sola, al mio modo unico di sentire la musica tramite le vibrazioni e di ballarci sopra senza sentire una canzone come normalmente avrebbe fatto lei
Di lei ebbi solo il tempo di scoprire che abitava nella capitale, a Seoul, e che i suoi genitori l'avevano accompagnata fino a Busan per sostenerla: 'Sono i miei fan numero uno!' la vidi ridere 'Ma, per quanto li ami, devo ammettere che è una fortuna che l'ingresso sia permesso solamente ai partecipanti: molto probabilmente mi avrebbero messa in imbarazzo nel fare il tifo per me come solo loro sanno fare'.
Prima di lei non avevo mai sostenuto una conversazione con qualcuno così a lungo. La maggior parte delle volte la mia calligrafia disordinata si limitava a riportare domande a botta e risposta, indicazioni stradali per chiunque mi chiedesse informazioni, i miei appunti sulle parole di cui non conoscevo ancora un'associazione alla lingua dei segni e che successivamente avrei studiato. Lei era diversa dalla maggior parte delle persone che avevo incontrato nella mia vita: neppure per un momento mi sentii fuori posto, mi riservò un trattamento tale da considerarmi una sua pari e non una ragazzina strana con cui non valesse la pena di instaurare una relazione d'amicizia.
Proprio quando stavo riuscendo a sciogliermi, la porta si aprì e, dopo essere stata avvisata da Miyon di avvicinarci, la stessa donna che continuava a fare avanti e indietro portò nuovamente il megafono alle sue labbra, pronunciando uno dei tanti nomi presenti sulla lunga lista che teneva tra le dita di una mano. Una pacca eccitata sulla mia spalla mi fece voltare verso la ragazza al mio fianco che mi stava guardando con un sorriso a trentadue denti: 'Tocca a te, Haewon!' parlò 'Metticela tutta, voglio assolutamente sfidarti quando entrambe saremo ammesse quindi vedi di superare l'audizione!'.
Per inerzia, o molto più probabilmente a causa della spintarella che Miyon mi diede per farmi muovere, riuscii a salire le scale con borsone ancora sulla spalla dolorante, raggiungendo l'elegante signora avvolta da un meraviglioso tubino nero che risaltava il suo fisico allenato e che le lasciava le spalle ossute scoperte. Mi girai verso la folla ormai ai miei piedi, scorgendo la ragazza dai capelli rossi alzare le mani al cielo e sollevando entrambi i pollici in segno di incoraggiamento. Le rivolsi un sorriso sghembo, intriso di tensione, fino a che la porta venne chiusa alle mie spalle e dovetti affidarmi solo a me stessa.
Con la donna non ci fu alcuna presentazione, solo un silenzio che non sembrò imbarazzare né lei e, per forza di cose, neppure me: mi invitò a seguirla lungo un corridoio che sembrava non finire mai, mentre percepivo le vibrazioni dei suoi tacchi rimbombare attraverso il pavimento in marmo.
Iniziarono a sudarmi le mani non appena la vidi fermarsi di colpo davanti a quella che immaginai fosse la stanza in cui avrei dovuto sostenere l'esame: 'Lascia qui il borsone' feci fatica a comprendere le sue parole mimate con le labbra essendo che muoveva repentinamente il capo da un lato all'altro, come per attendere un segnale di via libera 'e non dimenticarti di presentarti ai giudici: le audizioni sono filmate e registrate dal momento in cui fai il tuo ingresso nella sala, quindi cerca di apparire al meglio delle tue possibilità, ti aiuterà a fare una buona impressione, siamo intese?'.
Annuii, sempre più agitata, mentre mi accingevo a recuperare dalla borsa il CD contenente la canzone su cui avevo creato una coreografia da zero per poi porgerglielo.
Le parole dell'addetta non mi rassicurarono affatto. Sentii il peso causato dalla tensione cadermi sulle spalle tutto in un istante, facendomi tremare le gambe e le dita. Giocherellai nervosamente con i bordi plastificati del pass numerico affidatomi, pregando Dio di darmi la forza per sostenere una prova di tale portata.
La donna parlò un momento attraverso un auricolare bluetooth inserito nell'orecchio e poi aprì la porta tirando la maniglia verso di noi: camminai nella penombra di un atrio, sbucando poi in una seconda stanza dalle luci accecanti. Mi ci volle qualche istante per abituarmi al chiarore dei fari puntati su quello che riconobbi come un palco rialzato costruito interamente in legno chiaro levigato, uno dei migliori materiali in circolazione per il ballo.
Strizzai gli occhi in cerca di una qualsiasi forma di vita che finalmente si palesò di fronte ai miei occhi: sette ragazzi erano seduti proprio davanti a me e, da dietro ad una lunga scrivania, li osservai sistemare i fogli bianchi a loro disposizione fino a che uno di loro si sporse in avanti per raggiungere il microfono collegato al piano da lavoro.
Le luci si affievolirono gradualmente, permettendomi almeno di studiarne i lineamenti: 'Ciao!' mi salutò il ragazzo rivolgendomi un sorriso da cui spuntarono due fossette familiari 'Come ti chiami? Ti andrebbe di presentarti?'.
Senza neppure pensarci, feci un profondo inchino di rispetto, congiungendo le mani sulle ginocchia e finendo quasi per toccarle con la fronte.
Mi rialzai alla velocità della luce e altrettanto velocemente estrassi dalla tasca dei pantaloncini il foglio e la penna che Miyon mi aveva affidato in assenza del mio taccuino: rivolsi all'unico ragazzo che mi aveva parlato uno sguardo veloce, notando nella sua espressione un misto tra confusione e curiosità, per poi scrivere a grandi caratteri ciò che volevo dire.
Nel momento in cui voltai il foglio nella loro direzione, mi accorsi di stare tremando: 'Buongiorno, Signori. Mi chiamo Kim Haewon, ho quasi vent'anni e vengo da SeongJeong-Dong, un piccolo distretto di Busan: è un estremo piacere conoscerVi!'.
Mentre loro si preoccupavano di leggere la mia calligrafia sbilenca, passai in rassegna i volti degli altri ragazzi seduti in fila accanto a quello che immaginai incarnasse la figura di portavoce. Mi sembrava di averli già visti da qualche parte ma pensai fosse normale: del resto, dovevano essere persone estremamente famose per poter avere la possibilità di ricoprire il ruolo di giudici in un contest tanto importante. Tutto mi parse normale fino a che non incontrai nuovamente lo sguardo dell'ultimo ragazzo, seduto in modo eccessivamente composto, come se si stesse sforzando di rimanere quanto più fermo e immobile possibile: i suoi occhi stavano puntando i miei ancora prima che lo facessi io e il suo viso era contratto in un'espressione di sgomento.
Mi resi conto che fosse lo stesso ragazzo che avevo visto slacciarsi la cravatta nel retro del giardino, ne ero più che sicura.
La sensazione di averlo già visto da qualche altra parte tornò tuttavia a punzecchiarmi, ma prima che potessi ricordare, lui si alzò in uno scatto dalla sedia, attirando l'attenzione dei restanti ragazzi su di lui: feci inconsapevolmente un passo indietro, spaventata dal fatto che potesse dire a qualcuno della sicurezza che mi ero intrufolata in un'area proibita al pubblico come il giardino in cui ci eravamo guardati per qualche secondo, ma non lo fece.
Si limitò a squadrarmi. Il tutto in religioso silenzio.
Mi affrettai a distogliere lo sguardo da quel suo comportamento sospetto, cercando il viso del ragazzo che aveva parlato per primo: 'Ti chiedo scusa per il suo comportamento, ma come puoi ben vedere, il nostro Jungkook è parecchio agitato oggi!' lo vidi ridere 'Noi siamo i Bangtan Sonyeondan e, nel caso non ci conoscessi, siamo stati selezionati come la giuria di quest'anno'.
Quel nome. Quel nome mi diceva qualcosa.
Mi tornò alla mente l'unica loro canzone di cui mi ero decisa a leggere il testo, Spring Day, di cui avevo ascoltato le vibrazioni, l'emozione che avevo provato anche solo nel guardare i loro volti, e finalmente tutto si fece chiaro: Jungkook, il membro dei BTS, il ragazzo che era incappato in una mia segreta sessione di ballo alla baia, lo stesso che una mezz'ora prima mi aveva beccata ad osservarlo divertita mentre sbuffava per una cravatta, si trovava lì, proprio davanti a me. Sentivo i suoi occhi bruciarmi la pelle e pensai che, per la seconda volta nella mia vita dopo avermi fatta nascere sorda, il destino mi stesse giocando un brutto scherzo.
Non riuscii a trattenermi dal rivolgere nuovamente lo sguardo sul ragazzo che mi aveva vista ballare e che probabilmente mi aveva già allora classificata come una pazza per essere scappata all'improvviso.
Deglutii, scrivendo un'ultima, breve frase prima di fare un respiro profondo e girare il foglio per l'ennesima volta verso coloro che sarebbero stati gli artefici del mio destino: 'Non posso sentire, sono nata sorda, ma vi prego di darmi una possibilità'.

ᴠɪʙʀᴀɴᴛ sᴏᴜʟ ♡ ᴊᴇᴏɴ ᴊᴜɴɢᴋᴏᴏᴋ + ʙᴛsDonde viven las historias. Descúbrelo ahora