Capitolo IX - Il festival scolastico

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«Papà, che cos'è quello?», chiese il bambino, indicando con le dita paffutelle ciò che Grisha teneva tra le braccia.
«È un violino, Eren», gli rispose, accarezzandogli i capelli, «quando ero giovane suonavo spesso...poi ho iniziato a studiare per diventare medico, e non ne ho più avuto il tempo», concluse il racconto, incapace di nascondere la velata tristezza nel suo sguardo.
Fu allora che Eren, a soli cinque anni, allungò le braccia fino ad arrivare a sfiorare con le dita le incavature di quel meraviglioso strumento.
«Perché non gli fai vedere come funziona, tesoro?», chiese dolcemente Carla, prendendo in braccio il figlio e sedendosi di fronte al marito, in attesa di sentirlo suonare.
«D'accordo, se insistete tanto vi accontento subito!»
Grisha sembrava amare molto Eren: gli aveva insegnato ad andare in bicicletta, gli aveva fatto scoprire la musica, lo aveva protetto dai mostri nascosti nel buio, lo aveva portato a vedere la neve per la prima volta, era stato il suo primo maestro di violino. Aveva, aveva, aveva.
Come poteva essere tutto andato perduto? Aveva smesso di amarlo, di interessarsi al suo futuro da musicista e, inoltre, lo aveva lasciato da solo ad affrontare la morte di Carla...
Grisha era ancora suo padre dopo tutto questo?

Eren tentò di riemergere da quel fiume straripante di ricordi, nonostante - questa volta - nessun applauso lo avrebbe aiutato ad uscirne. Il brano non era ancora terminato, e già lo Jaeger accusava segni di stanchezza. Levi continuava a fissarlo, quasi come se potesse leggergli l'anima, scrutare dentro di lui attraverso i suoi occhi.
Sapeva che non era una buona idea cimentarsi in quel brano, troppo carico di significato e ricordi per lui. Eppure doveva andare avanti; solo così sarebbe diventato l'uomo che Levi meritava di avere accanto. Ma era giusto nei confronti di Carla? Non voleva, non poteva dimenticarsi di ciò che le aveva fatto. Inizialmente pensava di non essere stato la causa della sua morte, ma...negli anni qualcosa, dentro di lui, era cambiato, marcendo inesorabilmente. Non riusciva a perdonarsi, ad amarsi, a volersi bene. E come si può amare qualcuno se prima non si ama sé stessi?
Eren non credeva in un Dio, né nell'esistenza di un paradiso o di un inferno, ma era consapevole che, se mai fossero esistiti davvero, probabilmente neanche in quel caso sarebbe riuscito a rivedere sua madre, bloccato per l'eternità nel limbo del purgatorio. Un angelo a cui sono state strappate le ali da un arconte, trasformandolo in un demone.
«Complimenti Jaeger, non credevo fossi tanto bravo», si congratulò sinceramente Levi, abbattendo il muro dell'orgoglio che li divideva.
Eren gli sorrise, ormai stanco e privo di forze; per fortuna, però, il suo turno sarebbe finito a breve.
«Grazie», rispose solamente.
Levi sapeva che il ragazzo aveva raggiunto il limite, ma non voleva lasciarlo andare via così presto; decise così di ordinare una fetta di torta.
«Ecco a lei, capitano», disse Eren, poggiando delicatamente un piattino colorato di fronte al corvino.
«Siediti qui, Jaeger», gli ordinò, iniziando a mangiare. Il ragazzo, esausto, accettò immediatamente l'invito.
«Allora, non per metterti ansia, ma...sei uno dei pochi che non ha ancora comunicato su cosa si baserà il suo percorso d'esame. Ti consiglio di sbrigarti se vuoi una mano dai professori per sistemare gli argomenti».
Eren rimase interdetto per qualche secondo: non poteva di certo rivelare gli haiku che avrebbe portato all'esame, ma - in realtà - era più che consapevole di stare ignorando la scadenza per la consegna. Quindi perché il professor Ackerman glielo stava chiedendo? Era forse curioso?
«Ha ragione capitano; mi premurerò a rimediare il prima possibile», rispose il castano, mantenendo il suo tono da butler che stava facendo impazzire Levi.
«Bene. Di cosa parlerai?», domandò il professore, in modo così diretto da stupire lo Jaeger, ormai entrato completamente nel panico.
Dopo qualche secondo di silenzio, il suono di un timer iniziò a espandersi nell'aria, salvando Eren da quella domanda.
«Capitano, il nostro tempo insieme è terminato. La ringrazio infinitamente per i momenti passati insieme. Potrà venire a trovarmi ogni qual volta lo desidererà, o anche nel caso in cui sentirà la mia mancanza. Io la aspetterò qui», recitò solennemente, strizzando l'occhio in sua direzione. In realtà quella era la frase che recitava a tutti a fine servizio, indipendentemente dal fatto che si trovasse di fronte ad un alunno, professore o estraneo. Non se ne pentì, però, quando vide Levi nel più completo imbarazzo. Quest'ultimo si ritrovò a pochi centimetri dal viso di Eren, che si era rapidamente avvicinato al professore e gli fissava insistentemente le labbra.
«Capitano, rimanga fermo un attimo», disse il più piccolo, afferrando dolcemente il viso dell'uomo ed inclinandolo verso sinistra. Levi rimase immobile mentre Eren estraeva il suo secondo fazzoletto e puliva delicatamente l'angolo della sua bocca, leggermente sporco della panna della torta. Nessuno poteva vederli, il che, per Levi, rese un gesto così innocente fortemente erotico.
«Tsk», ghignò Levi, salutando con un cenno del capo il suo alunno e allontanandosi velocemente dal tavolo, per poi uscire dall'aula. Doveva assolutamente prendere una boccata d'aria... Da quando Eren Jaeger era diventato così dannatamente sexy?

Se solo tu mi amassi || Ereri 〜 Riren #Wattys2019Where stories live. Discover now