Capitolo 24: Urlo di battaglia

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La mia infanzia.

Non ricordavo moltissime cose dalla mia infanzia, forse qualche occasione speciale che per me era stata davvero importante, come il primo giorno alle elementari oppure il mio decimo compleanno, se no buio più totale. Non ricordavo neanche il divorzio dei miei genitori.
Ogni tanto mi capitava di sfogliare i vari album e guardare delle foto, pensando "Chi sono tutte queste persone?", perché io non ricordavo davvero nulla.

Certo, mia nonna aveva la pazienza di provare a spiegarmi chi erano certe persone, come zii e parenti lontani, ma anche vecchi amichetti con cui ho smesso di parlare appena entrata alle medie.

L'unica persona sempre e comunque presente era uno strano bambino dai folti capelli fucsia, così folti da coprire quasi gli occhi, rendendo quasi impossibile vederne il colore, e più alto di me. C'erano foto in cui ci tenevamo per mano mentre camminavamo, andavamo a fare la spesa insieme, giocavamo nel cortile della mia casa oppure semplicemente parlavamo seduti sotto a un'albero. Anche gli altri nonni dicevano che era quasi impossibile tenerci lontano, tanto eravamo amici, e a volte mettevo il broncio quando lui andava a scuola e non potevo passare il pomeriggio con lui.

Aveva un'anno o due più di me, perciò andava alle elementari, mentre io dovevo starmene a casa ad aiutare a sistemare, dato che l'asilo non c'era nel nostro paesino. A casa mia nonna mi insegnava le basi del giapponese, per restare allo stesso passo con gli altri bambini, e iniziai anche a scrivere il mio nome senza troppe difficoltà.

I problemi iniziarono proprio al compimento dei miei quattro anni, dove i miei genitori decisero di lasciarsi, dato che ormai avevano altre famiglie. Da quel momento, la mia famiglia si era ristretta ai miei nonni e questo bambino, che veniva a trovarmi ogni singolo giorno.
Probabilmente restai molto scioccata dalla situazione, motivo per cui non ricordavo quel preciso momento, ma da la in poi, non vidi più nessuna foto con il bambino dai capelli fucsia. Era letteralmente svanito, anche se guardavo tutti gli altri album, e vedevo spesso mia nonna esitare sul dirmi il perché, cambiando poi discorso.

Quel dubbio restava sempre nella mia testa, così nascosto da, alla fine, dimenticarlo, perciò non pensai più al bambino dai capelli fucsia e gli strani occhi.

Perciò, perché proprio ora doveva ritornarmi in mente questa storia, dopo dieci anni? Lo avevo dimenticato, ci ero passata e ripassata sopra parecchie volte, era inutile restare a pensare su qualcosa che era già successo.

La testa mi faceva un dolore atroce, obbligandomi a tenerla con entrambe le mani senza accorgermene. Non ero sul pavimento, non più, e a giudicare dalla scomoda coperta che avevo fin sopra alle spalle, non ero neanche a casa. Sembrava fatta per graffiarmi le braccia, tanto era ruvida al tatto.
Restai girata su un fianco a tenermi la testa per chissà quanto tempo, forse cinque minuti d'orologio, prima di decidermi ad aprire lentamente gli occhi, confermando uno dei miei presagi. Ero in ospedale, avrei dovuto anche capirlo da quel fastidioso odore di alcol che c'era nella stanza e che non si ostinava ad andarsene, anche se la finestra accanto al mio letto era spalancata.

Una volta aver capito dove mi trovavo, dovevo però capire perché mi trovavo la. Ricordavo di aver discusso con Ryouhei nel bagno dell'università, ma non capivo come diamine ci ero arrivata in ospedale. Un'altro vuoto di memoria?

Provando a tirarmi a sedere, lasciai andare un gemito strozzato di dolore, toccandomi la spalla su cui ero sdraiata prima. La sentivo pulsare e tremare piano, dovuta anche allo sforzo che stavo facendo per tirarmi a sedere e la, probabile, botta che avevo preso cadendo per terra. Dovevo essere caduta davvero male, per sentire tutto quel dolore.
Mi guardai in giro mentre respiravo piano, provando a cacciare via il mal di testa, e la prima cosa che notai furono dei fiori sul comodino. Non erano molti, massimo una decina, ed erano tutti colorati e diversi l'uno dall'altro, come se avessero fatto quel bouquet velocemente, senza pensare ai vari accostamenti.

Kii.

Kii era l'unica che avrebbe davvero fatto una cosa del genere, soprattutto in preda alla fretta, perciò questo significava che c'erano anche lei e le altre all'ospedale, probabilmente. 
Hm...strano, i fiori sembrano leggermente appassiti, di solito non succedeva mai con i fiori presi quello stesso giorno.

Il mio sguardo cadde poi sull'orologio, il quale segnava le nove e mezza della mattina, altra cosa molto strana. Ero sicura di aver avuto questa scenata intorno alle dieci, dieci e un quarto, non di più, perciò perché segnava quell'orario?
La mia ultima teoria fu quella che il mio cervello decise di riposarsi dopo tutto quello che era successo e farmi restare incosciente per un giorno nel migliore dei casi, speravo davvero di non essere rimasta addormentata per più giorni.

Sentendo la porta aprirsi, il mio primo istinto fu quello di girarmi verso la porta, ma ero divisa dal resto della camera da una tenda bianca piuttosto spessa, a giudicare da come non vedevo alcun movimento dall'altra parte. Il primo viso che vidi quel giorno fu quello del dottore che, effettivamente, era quasi più sorpreso di me nel vedermi sveglia e, pressoché, apposto. Si ricompose velocemente  e poi si sedette accanto a me, facendomi qualche domanda per vedere se stavo davvero bene e se ricordavo cosa era successo prima del mio crollo.
Gli raccontai tutto quello che ricordavo, tranquillamente, tranne per quelle dolorose fitte alla testa che continuavano a impedirmi di parlare normalmente. Il dottore sospirò e mise via la penna e il taccuino, dicendo che avrebbe chiamato mia nonna e il mio fidanzato, dato che se ne sono andati via due orette prima.

Notò il mio mal di testa e, con nonchalance, si alzò dal letto e fece per andarsene, dicendo.

-E' normale avere un'emicrania del genere, signorina Miyano, sei stata incosciente per quasi una settimana intera.- E uscì dalla stanza.

Una. Settimana. Intera?! Ho dormito, tecnicamente, per una settimana?!

Mi sembrava tutto astratto, non riuscivo a crederci. Cioè, io a malapena dormo fino alle dieci nei giorni buoni, ma adesso dormo sette giorni???

Poco dopo sentì un'infermiera entrare, la quale mi aiutò ad alzarmi e mi portò a fare due passi, dicendo che mi si sono addormentati i muscoli delle gambe e che sarebbe una buona cosa camminare, anche per ingannare il tempo mentre arrivavano la nonna e Ryouhei. Annuendo, continuai a camminare, un'po troppo lentamente per i miei gusti, mentre mi tenevo con una mano al braccio dell'infermiera, la quale si fermava ogni tanto per darmi il tempo di prendere di nuovo confidenza con i miei arti inferiori.
Cavolo quanto mi sentivo una bambina, in quel momento, sembra non camminavo da anni interi!

Mi portò in una specie di salotto, che era vicino a delle sale di attesa, e mi fece sedere, dicendo che sarebbe andata a prendermi la colazione. Effettivamente iniziavo a sentire molta fame, in quel momento, e la guardai mentre si allontanava e parlava con una collega, probabilmente provando a prendere qualcosa da mangiare, dato che ero molto fuori dall'orario dove si mangia in ospedale.

Guardai tranquillamente fuori dalla finestra, notando come il sole stava spuntando piano piano dalle nuvole che, a quanto pare, giudicando dalle pozzanghere per terra, dovevano essere state onnipresenti.

Una volta che arrivò il mio piatto (strapieno oserei dire) con del tè e succo di frutta, non riuscì a resistere e iniziai a mangiare il più velocemente possibile, ficcandomi a momenti un'intero croissant in bocca da quanto avevo fame. Diamine, non mi sarebbe mai bastata una colazione del genere per riempire il buco che mi si era creato in pancia dopo sette giorni a digiuno.

Sentì un'urlo provenire dall'altra parte del corridoio e gelai, bloccandomi con il cornetto in bocca, e mi girai lentamente dove avevo sentito quell'urlo. Oh...non era un semplice urlo, no.

Era un'urlo di battaglia nei miei confronti.

E se era mia nonna a farlo, allora significava che ero morta per davvero.

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