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«Ártemis?» Sussurrò il dio della bellezza, inoltrandosi sempre più nella foresta.

«Ártemis?» Riprovò. «Ártemis, dove se-» Si fermò di scatto alla vista del dio, intento a giocare beatamente con un coniglietto. Il suo volto ospitava un bellissimo sorriso a forma di cuore, possiamo dire. Denti bianchi ben esposti, labbra rosee e risata non troppo profonda. Si trovava in ginocchio a terra, con il coniglio dal pelo bianco tra le braccia; gli accarezzava dietro le orecchie e gli toccava il naso.
Lo posò poi sulla propria testa, ridendo. «Sei proprio bello.» Disse, rivolgendosi all'animale. «Ti chiamerò Aphrodítē.»

Il divino non potè far altro che sorridere ed arrossire. «Mi trovi bello, Ártemis?»

L'altro per poco non ebbe un infarto. Lasciò il coniglio a terra, con le goti rosse per l'imbarazzo.
«Hai frainteso.»

«Certo.» Roteò gli occhi al cielo. «Non sei così bravo a mentire.» Si avvicinò a lui, inginocchiandosi.
«Perchè sei qui, Aphrodítē?»

«Mi avevi promesso un appuntamento, ricordi?»

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«Insegnami a pescare!»

L'altro lo guardò, ridendo poi di gusto. «Non sai mangiare decentemente una mela, figuriamoci il pesce

«Infatti non lo mangio, lo caccio solamente.» Aggiunse sorridente. Fu ignorato tristemente. «Perchè sei così freddo con me?»

L'altro si bloccò nel bel mezzo del sentiero, non mosse un muscolo e non si girò a guardarlo. «Pensi che non sappia quello che vuoi da me?»
Che il belloccio fosse rimasto di sasso era dire poco. «Cosa intendi?»

Non ottenne risposta. Il dio della caccia continuò il suo cammino, come se nulla fosse accaduto. Il nostro Aphrodítē lo inseguì, prendendolo per un polso e strattonandolo con forza. «Cosa intendi?!» Alzò il tono della voce.

Finalmente si voltò, degnandolo di uno sguardo che sguardo non era. Il dio della bellezza sentì la spina dorsale congelarsi, così come i piedi e il viso intero. L'occhiata che gli fu lanciata era paralizzante. I suoi grandi occhioni, così belli, erano ridotti a due fessure; le pupille erano concentrare sulla sua persona, colme di disprezzo, ma anche di rabbia; quelle dolci labbra a cuore erano serrate, salde tra loro.
Dopo quella che sembrava un'eternità, il verginello parlò.

«Vuoi solo portarmi a letto, puttaniere.» Disse, infilzando, poi, il braccio del divino con una freccia e camminando via, con lentezza angosciante.

Aphrodítē rimase immobile sul posto, incapace di parlare, di sentire il dolore fisico o di raggiungere l'altro, non in grado nemmeno di pensare. Una lacrima solcò la sua guancia, poi un'altra, un'altra ancora, fino a quando il suo volto non fu ridotto un disastro da tutta quell'acqua dal sapore salato.

«Non è vero, lo giuro.» Mormorò, mentre il sangue colava copiosamente dalla ferita, finendo sull'erba verde e sui sassolini.
Dopo poco, si sbloccò, lo shock terminò e si sfogò in un pianto incessante.
Per tutta la foresta rimbombavano i suoi singhiozzi, superando il rumore del ruscello e il brucare degli animali.
Hermês, che volava da quelle parti, giurò addirittura di aver udito qualcuno urlare a squarciagola ripetutamente, con voce disperata, il nome del dio armato di arco e frecce d'oro.

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⏰ Last updated: Mar 08, 2019 ⏰

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