16- Momento giusto, non persona giusta

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La mattina successiva è stata talmente frenetica che ho letteralmente perso la cognizione del tempo. Mi sono svegliata presto per liberare la camera d'hotel, poi ho trascinato la mia valigia fino alla fermata della metro, con non poche difficoltà dato che ha nevicato tutta la notte e di conseguenza strade e marciapiedi si sono trasformati in vere e proprie sfide per il traffico mattutino e per l'incolumità dei pedoni. Ho poi scoperto con orrore che a causa della neve la metro era in ritardo di ben mezz'ora. Credo di non essermi mai sentita così stremata già di prima mattina: mentre per stare attenta ai borseggiatori dovevo tenere d'occhio la valigia e la borsa, contemporaneamente controllavo l'ora, pativo il freddo, cercavo di farmi venire in mente se avessi dimenticato di rimettere qualcosa in valigia, facevo colazione con una brioche comprata sul momento e parlavo al telefono con Bea per ricevere un po' di supporto morale.

All'ostello non mi hanno accolta nel migliore dei modi, forse perché nell'attesa che recuperassero la chiave magnetica della mia nuova stanza ho inzaccherato il tappeto dell'atrio con una poltiglia molliccia di neve e fango. Ad ogni modo, dopo una bella doccia calda e un pranzo degno di essere chiamato tale, mi sento rigenerata. È da tanto che non mi prendo un po' di tempo per me stessa, così dedico il primo pomeriggio a tutte quelle attività frivole che possono sembrare inutili, ma che in fondo ognuno di noi ha bisogno di concedersi ogni tanto per staccare dalla frenetica, rapida e caotica realtà. Per esempio, mi do lo smalto, mi liscio i capelli con la piastra, sperimento una combinazione insolita di ombretti, ascolto un po' di musica.

Ad un tratto, verso le tre e mezza, mi viene in mente che Blake sperava che andassi a salutarlo all'ora di pranzo. Mi batto una mano sulla fronte, sentendomi una stupida. Me ne sono totalmente scordata e la cosa peggiore è che non posso nemmeno chiamarlo o mandargli un messaggio per scusarmi. Ad ogni modo, non aveva forse detto che il loro treno parte verso sera? Forse sono ancora in tempo.

Mi cambio in fretta e furia, indosso il cappotto e lo abbottono mentre corro giù dalle scale dell'ostello. Ancora una volta mi affido a Google Maps per trovare la National Gallery e, dopo dieci minuti di tram che mi sembrano infiniti, giungo a destinazione. Mi guardo intorno, scrutando con attenzione i visi di qualsiasi persona che vedo, incrociando i loro sguardi nella timida e segreta speranza di incontrare i vispi occhi castani che sto cercando. Sto per darmi per vinta e abbandonarmi allo sconforto, quando noto un berretto grigio uguale a quello che indossava Blake ieri sera calcato su un casco di lucidi capelli neri.

Mi avvicino alla panchina su cui è seduto, domandandomi se si è messo apposta in una posizione così scostata rispetto al vivace viavai della piazza. Quando mi trovo abbastanza vicina che potrei toccargli una spalla se solo distendessi il braccio, noto che il suo sguardo è fisso su una famigliola a qualche metro da noi. Dai suoi occhi, ora così lontani, traspare una nota di malinconia, come se la scena gli avesse evocato qualche ricordo che vorrebbe disperatamente rivivere. I suoi occhi sono fermi e sembrano voler aggrapparsi in qualche modo a quelle persone, come se sbattendo le palpebre potessero scomparire tutti all'improvviso.

Saluto Blake e mi siedo accanto a lui, sfiorando la manica del suo giubbotto con il bordo del mio. Il contatto sembra riportarlo alla realtà, difatti scuote la testa come per cacciare un pensiero poco gradito e si volta verso di me, salutandomi con un sorriso un po' tirato.

- Come va?- mi chiede.

- Tutto bene, almeno per ora. Stamattina ho lasciato l'hotel e finora l'ostello mi è sembrato abbastanza tranquillo.- aggiungo.- Tu?

- Bene.

C'è qualcosa nella sua voce, una nota rauca che non mi torna.

Au-pair Girl// Blake Richardson New Hope ClubWhere stories live. Discover now