9- Piccadilly Circus e Hyde Park

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Vengo svegliata dal tocco leggero di una mano che mi picchietta con delicatezza sulla spalla. Mugugno qualche parola indistinta e faccio per girarmi dall'altra parte, ma una voce maschile si fa strada nella mia mente assopita.

- Dobbiamo andare a fare colazione.- bisbiglia Matteo.

La sua voce è come un filo rosso, che risveglia i miei sensi e scuote i miei pensieri dal torpore del sonno. Poco prima di aprire finalmente gli occhi, ripercorro mentalmente gli avvenimenti recenti, ancora incredula ma decisamente felice.

Mi stiracchio senza riuscire a trattenere un sorriso mentre guardo Matteo sedersi sul bordo del letto, dandomi così le spalle. I suoi capelli ricci sono arruffati e d'istinto allungo una mano per sistemarli, per toccarli, per far scorrere sotto alle mie dita quelle ciocche di seta.

Matteo si gira verso di me e il suo volto viene illuminato da un sorriso. Avverto una stretta al cuore quando incrocio il suo sguardo gentile, la stessa sensazione di non meritare la sua bontà con cui ormai ho imparato a convivere.

Vorrei poter fermare il tempo e rivivere questa scena all'infinito, perché questo momento, con la luce dorata dell'alba e Matteo seduto sul bordo del letto di una camera d'hotel di lusso, è semplicemente perfetto, un quadretto che farebbe invidia ai girasoli di Monet.

Credo sia il risveglio più bello della mia vita.

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Dopo aver fatto colazione in hotel, ci imbacucchiamo ben bene e usciamo per passeggiare senza fretta, mano nella mano. L'atmosfera è magica, con le decorazioni natalizie che colorano le strade di argento e di rosso e le vetrine dei negozi illuminate da fasci di lucine colorate.

- Abbiamo una meta o stiamo semplicemente passeggiando?- domando a Matteo, accorgendomi che sta accelerando il passo.

- In realtà stiamo andando a prendere la metro.

Gli rivolgo un'occhiata incuriosita, ma lui si limita a fare spallucce.

- Pensavi che ti avrei portata qui e basta?- ridacchia.- Ci ho messo un mese a organizzare ogni giornata, voglio che tu veda tutto.

In un impeto di tenerezza e gratitudine mi alzo sulle punte per lasciargli un bacio sulla guancia.

- Sei incredibile.

Matteo mi sorride e mi stringe la mano più forte. Una volta giunti al caratteristico cartello che indica la presenza di una fermata della metro, scendiamo gli scalini che conducono ai binari e aspettiamo.

Nell'attesa, prendo a osservare i pendolari seduti da soli sulle panchine, quelli riuniti in piccoli gruppetti e quelli che stanno arrivando, scendendo la gradinata mescolati ad una marea eterogenea di persone.

Osservo le giacche doppiopetto degli uomini e le loro barbe curate, i tailleur delle donne nascosti sotto a pellicce sintetiche o cappotti dai colori neutri. Mi concentro sui loro volti stanchi e sulle mani che stringono grossi bicchieri di caffè, immaginando di essere al loro posto. Mi vedo già con una camicia infilata dentro a eleganti pantaloni color sabbia, mentre mi stringo in una giacca coordinata alla borsa.

Il baccano provocato dall'arrivo della metro mi riporta bruscamente alla realtà. Pendolari, studenti e turisti si accalcano in modo caotico per poi assieparsi in prossimità delle porte. Qualche spintone dopo, anche io e Matteo riusciamo a salire, tenendoci ben saldi ai pali in prossimità delle porte.

Sentendomi osservata, alzo lo sguardo e noto che Matteo mi sta scrutando con aria strana, pensierosa.

- Ho qualcosa in faccia?- domando stupidamente, per cercare di dissimulare l'imbarazzo. Mi mette sempre a disagio il fatto di essere osservata.

Matteo scuote la testa.

- Stavo solo pensando a un'eventualità.- risponde enigmatico.- Ma non chiedermi di che cosa si tratta, non te lo direi comunque.- si affretta ad aggiungere.

- D'accordo, non preoccuparti. Sai che mi fido di te.

Dopo pochissimi minuti, cinque al massimo, la metropolitana comincia a rallentare.

- È la nostra fermata.- sento dire Matteo.

Non appena le porte si aprono, ci affrettiamo a scendere e allontanarci dalla banchina per non essere travolti dalla folla che deve salire e scendere.

Saliamo le scale che ci portano di nuovo in superficie, ritrovandoci in un'ampia piazza, al cui centro è posizionata una statua. Ciò che più mi colpisce sono piuttosto gli enormi cartelloni pubblicitari luminosi, sotto ai quali passano turisti che camminano lentamente per guardarsi intorno come noi, schivati da gente del posto che, con passo rapido e sicuro, si sta dirigendo probabilmente a scuola, al lavoro o a svolgere qualche commissione.

- Siamo a Piccadilly Circus.- mi informa Matteo, mentre prendiamo a camminare a fianco alle vetrine dei negozi.- Ho pensato che potremmo passare un po' di tempo all'Hyde Park e poi stasera andare a mangiare in un ristorantino a Soho.

- Pensa quanto sarebbe bello farlo ogni domenica.

- Perderebbe il suo fascino.

- Credo che dipenda dalle persone, non dai luoghi.- penso a voce alta mentre superiamo dei venditori ambulanti di street food, con il profumo di caramello che ci avvolge come una sottile cortina.- Io non mi stuferei mai di percorrere questa strada con te, o qualsiasi altra via di questa città, ogni lunedì o anche ogni giorno.

Matteo ridacchia e mi circonda le spalle con un braccio, stringendomi a sé.

- Sul serio, sento una specie di connessione con questa città, pur essendo la prima volta che la visito.- aggiungo.

- Lo so. Si vede dal modo in cui ti guardi intorno, sembri in estasi anche mentre guardi i cartelli stradali. Mi sa che quando ti porterò sul London Eye farai un arresto cardiaco.- scherza Matteo.

- Sarebbe un bel modo di morire. Sarei nel mio luogo preferito con la mia persona preferita.

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Il famoso e gigantesco parco di Londra è più lontano di quanto pensassimo e arriviamo solo venti minuti dopo, infreddoliti ma molto soddisfatti di noi stessi per non aver ceduto e aver chiamato un taxi.

Entriamo dal lato meridionale e ci fermiamo ogni tanto per scattare delle foto o per ammirare qualche scoiattolo. Sobbalzo ogni volta che noto un movimento fra i cespugli, seguito immancabilmente dal guizzo di una coda.

Ad un certo punto giungiamo davanti a un'enorme pista da pattinaggio delimitata da eleganti cancelletti. Supplico Matteo per verificare che l'impianto sia aperto; ho sempre voluto imparare a pattinare sul ghiaccio, ma a causa dei turni di lavoro di mia madre non ho mai avuto nessuno che potesse accompagnarmi eventualmente, così è sempre rimasto un sogno nel cassetto.

Ci avviciniamo a quella che presumiamo sia la biglietteria e una sorridente donna sulla trentina ci aiuta a comprare due biglietti. Dato che è un giorno feriale, ci fa pure uno sconto di tre sterline.

Quando giungiamo sulla pista, traballanti sui nostri pattini appena noleggiati, ci sono solo due donne coi rispettivi figli dalla parte opposta rispetto a dove ci troviamo noi.

Muovo qualche passo incerto sul ghiaccio, con Matteo al mio fianco che è ancora più instabile di me. Provo ad acquistare velocità, ma sul più bello mi sbilancio all'indietro e cado come un sacco di patate. Sento Matteo scoppiare a ridere mentre io, rossa d'imbarazzo, mi rialzo a fatica e ci riprovo, più determinata di prima.

L'aria gelida mi sferza le guance e mi scompiglia i capelli, ma non ci faccio caso. Mi concentro solo sui miei piedi, che ormai sono diventati un tutt'uno con il ghiaccio. Mi muovo con sempre maggior fluidità e rapidità, azzardo persino una piccola giravolta impacciata, per poi voltarmi per tornare da Matteo e scoprire così che mi sta riprendendo col cellulare.

Sorrido imbarazzata, poi mi seppellisco il viso fra le mani inguantate.

- Tu non lo sai, ma hai appena realizzato il mio sogno di una vita.- dico a Matteo una volta che ha messo via il cellulare. Ho il fiatone e le guance arrossate a causa dello sforzo.-  E per questo la me del passato ti ringrazia.

- E la te del presente?

- La me del presente ti ama.

Au-pair Girl// Blake Richardson New Hope ClubWhere stories live. Discover now