1- Non serve che te ne scappi oltre La Manica

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Ragazzo/a alla pari: giovane di età compresa tra i 18 e i 30 anni che, per un determinato periodo di tempo, decide di fare un'esperienza all'estero presso una famiglia ospitante. L'au-pair sostiene la famiglia prendendosi cura dei bambini e dando una mano nelle faccende domestiche. In cambio del proprio aiuto il giovane riceve vitto e alloggio gratuiti.

Prima di luglio non avevo idea di chi fossero le ragazze alla pari. La prima a parlarmene è stata la mia insegnante di inglese che, portata all'esasperazione dalla mia mancanza di volontà di informarmi sui programmi offerti dalle varie università, mi propose di trascorrere sei mesi all'estero dopo il quinto anno di liceo linguistico. Tutti i miei compagni di classe avevano le idee più o meno chiare sulla scelta dell'università: la maggior parte di loro aveva intenzione di continuare a studiare lingue, mentre qualche pecora nera aveva optato per un cambiamento drastico, come medicina o economia.

Sinceramente l'idea dell'università non mi ha mai allettata molto, per cui l'unica spiegazione possibile è che prima di compilare l'iscrizione per il liceo io sia stata posseduta.

Ad ogni modo, sono riuscita a cavarmela egregiamente attraverso cinque anni di ingiustizie, favoritismi e tentati suicidi nella vasca con due dizionari appesi alle caviglie come zavorre. All'esame di maturità ho incassato un bell'ottanta e complimenti da tutta la famiglia.

Purtroppo, però, tutte le cose belle finiscono. I festeggiamenti, il tiramisù e la mia santificazione ad opera dei miei genitori davanti ai parenti si sono esauriti come borse e vestiti durante i saldi. Dopodiché non sono rimasti che i rimasugli della gentilezza e del rispetto portati verso chi ha raggiunto una delle prime vere tappe della vita. Mia madre ha ricominciato ad usare l'aspirapolvere alle otto di domenica mattina, mio padre a brontolare perché mi dimentico sempre le scarpe all'ingresso e mio fratello a chiudersi in bagno non appena ho deciso di farmi la doccia.

Non avendo voglia di iniziare l'università ed essendo ancora inesperta e impreparata per il mondo del lavoro, ho cercato di ingannare me stessa, giustificando le mie maratone letto- divano e divano- frigo come il modo per "ricaricare le pile" dopo anni di fatiche.

La verità è che non ho più voglia di fare un cazzo, se non ingozzarmi di sushi fino a diventare un nigiri e dormire così tanto da avere gli Swarovski al posto delle occhiaie. A me starebbe bene continuare così per ancora qualche mese, ma mia madre mi darebbe così tante sberle con il battitappeto in legno da provocarmi una commozione cerebrale e la riapertura della fontanella sul cranio.

Insomma, in questi insopportabilmente afosi giorni d'agosto ho iniziato a riflettere sulla proposta della mia vecchia professoressa d'inglese, l'unica insegnante che si sia mai interessata sul serio ai propri alunni. Sei mesi non sono un'eternità, ma al tempo stesso sono il giusto periodo per un'esperienza significativa, che spero possa farmi capire molte cose. Per esempio, perché i tedeschi girino ancora con sandali e calzini o perché alcuni sentano la necessità di toccarti mentre parlano.

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A cena decido di parlarne con i miei genitori. Devo solo trovare il modo per convincerli che sarà un'esperienza utile dal punto di vista scolastico e umanitario, e non semplicemente il momentaneo trasloco della mia pigrizia dal salotto di casa mia al living room di una famigliola inglese.

Aspetto paziente in camera mentre mia madre, appena tornata dall'ospedale dove lavora come infermiera, si mette ai fornelli. Qualche minuto dopo che i petti di pollo hanno iniziato a sfrigolare sulla piastra, sento la porta di casa aprirsi nuovamente, segno che anche mio padre è tornato. Lo sento borbottare qualcosa riguardo un taglio del personale, che si effettuerà in uno dei tanti reparti in cui è suddivisa la fabbrica in cui lavora. Dal canto suo, mio padre non si è mai preoccupato seriamente di perdere il lavoro, perché in realtà quello che avrebbe sempre voluto fare è l'imprenditore. Tuttavia, sa che questo rimarrà solo un sogno e che continuerà ad essere un operaio fino alla pensione.

Quando sento gli sportelli della cucina aprirsi e chiudersi con maggiore frequenza e la TV del salotto accendersi, esco dalla mia camera e scendo le scale. Mio padre sta finendo di apparecchiare la tavola, mentre mia madre riempie i piatti.

Rivolgo loro un cenno e mi siedo a tavola. Punzecchio per un po' i pomodorini con le punte della forchetta, poi taglio nervosamente il pollo. Per sbaglio faccio cadere la forchetta e vedo mia madre alzare gli occhi al cielo quando mi alzo per prenderne un'altra.

- Stai bene?- mi chiede quando ormai sia lei sia mio padre hanno finito di mangiare, mentre io ho a malapena assaggiato il pollo.

Annuisco con scarsa convinzione.

- Vorrei proporvi una cosa.

I miei genitori si scambiano un'occhiata eloquente e quasi li sento sospirare all'unisono.

- Non si tratta di una cazzata, ma di un progetto serio.- mi metto sulla difensiva.

- Modera il linguaggio, Clara.- mi riprende mia madre.

- Scusa. Stavo dicendo, ho in mente questa cosa da un po'. Me l'aveva proposta la professoressa di inglese e ripensandoci non mi sembra così male.

Mio padre mi fa un cenno di incoraggiamento e io attacco a parlare della possibilità di trascorrere sei mesi all'estero come ragazza alla pari. Come pensavo, non hanno la minima idea di che cosa si tratti, anche se è bastata la parola "estero" per far loro aggrottare le sopracciglia. Mi lancio cosí in un'accurata descrizione dei ruoli e della vita di una ragazza alla pari. Mostro loro anche qualche testimonianza raccolta nei siti che si occupano di questo progetto e tutti i vantaggi possibili e immaginabili.

- Lascia stare questa roba e pensa all'università.- mi liquida mio padre massaggiandosi il ventre prominente e spostando la sua attenzione sul telegiornale.

Cerco di incrociare lo sguardo di mia madre, fissandola speranzosa.

- Non sei un po' piccola per stare via così tanto tempo?

- Posso sempre chiedere alla famiglia ospitante di concedermi qualche weekend libero per tornare in Italia.

- Non lo so.- borbotta mia madre dopo qualche attimo di silenzio. Mio padre ha ormai perso il filo del discorso e sta seguendo le notizie di cronaca in TV.

- In questo modo non sarei più un peso per voi.

Mia madre scuote la testa spazientita e si alza da tavola, cominciando a raccogliere piatti e posate.

- Per non essere più un peso potresti aiutarmi ad apparecchiare, sparecchiare, fare il bucato e lavare i piatti. Non serve che te ne scappi oltre La Manica. E sai perché?- fa una breve pausa, durante la quale impila i piatti nel lavello e inizia a insaponarli.- Perché quello che tu chiami "non essere più un peso", io lo definisco "scappare dalle proprie responsabilità". Detto questo, il discorso è chiuso.

Au-pair Girl// Blake Richardson New Hope ClubWhere stories live. Discover now