23.

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«Quindi? Dove vuoi portarmi oggi?» siamo appena usciti dal suo appartamento e sono veramente curiosa di cosa mi voglia far visitare. Conosco qualche città italiana, ma di Torino mi sfugge molto e credo che Paulo riuscirà a colmare queste lacune immense con le sue visite turistiche per la città.

«Un po' in giro per la città, ci sono tanti posti che voglio farti vedere e tanti musei che sono sicuro vorresti visitare» mi lascia sul vago lui, mettendo le mani in tasca e guardandosi in giro.

«E qual è la nostra prima meta?» chiedo impaziente, sistemandomi la maglietta nei pantaloni e calciando qualche sassolino per terra.

«Ti fidi di me?» ignora la mia domanda, fermandosi in mezzo alla piazza e osservandomi insistentemente, in un modo che mi fa sentire un po' a disagio.

«Assolutamente no» dico, sicura, facendolo ridacchiare. Guarda il mio viso, mordendosi il labbro inferiore, probabilmente indeciso su cosa fare.

«Bene, allora tu dove vorresti andare?» chiede, pizzicandomi il fianco e ridacchiando per la mia reazione infastidita.

«Conosco poco Torino, ma so che c'è un museo egizio niente male» lui annuisce, pensieroso «È tipo il più grande dopo quello del Cairo, vero?»

«Vero, e guarda te, in tutti questi anni non ci sono mai andato e non voglio sicuramente cominciare oggi» sorride falsamente, facendomi sbuffare.

«Ma è dove voglio andare!» mi lamento, alzando gli occhi al cielo alla sua espressione divertita.

«Ci sono altri musei molto più interessanti» scrolla le spalle, continuando a restare sul vago.

«No, ti prego, tutto ma non lo stadio» mormoro, sperando che lui non abbia avuto la malsana idea di portarmi all'Allianz Stadium. Mi piace il calcio, ma non tifo Juventus e entrare lì dentro sarebbe un torto a me stessa e a mio fratello che mi aspetta a casa con la sciarpa del Barcelona.

«Ma è bellissimo! Ti giuro, dai, per favore, vieni con me allo stadio» allunga fastidiosamente le vocali nell'ultima parola e mi afferra il braccio, facendomi gli occhi dolci.

«È un no categorico, Paulo» lo guardo, convinta della mia decisione. Non sono venuta a Torino per vedere lo stadio.

💙💙

«Guarda, non è bellissimo?» dice, indicando le migliaia di seggiolini sugli spalti.

«Bellissimo, adesso possiamo andare?» chiedo, infastidita. Sono consapevole del fatto che il calcio è una passione che Paulo coltiva fin da piccolo, ma in questo momento sta rasentando il fanatismo estremo.

«Vieni con me sul campo» si gira verso di me, con gli occhi illuminati di una luce strana, che gli dona così tanto.

«Ma sei impazzito per caso? Tengono più alle condizioni del campo che a voi giocatori, se dovessimo rovinarla per qualche motivo verremmo ucciso brutalmente» mi appoggio con le mani al seggiolino davanti a me, stendendo le gambe.

«Ucciderebbero te, sicuramente non me, la loro Joya» ridacchia e io gli faccio il medio, sorridendo fintamente.

Mi afferra la mano e in men che non si dica sono sulle sue spalle, esattamente come ero stamattina, con la sua spalla muscolosa che fa pressione sul mio stomaco.

«Paulo, lasciami andare!» cerco di muovere le gambe, ma lui mi stringe le cosce e impedisce qualsiasi movimento.

«No, c'è un bel paesaggio da qui» riesco a muovere il piede abbastanza da dargli un calcio nello stomaco e lui si piega, dolorante.

«Sei una stronza» geme, ma poi ritorna ritto sulle gambe e ricomincia la nostra discesa verso il campo.

«Ecco, da qui non puoi più scappare» mi posa per terra, massaggiandosi l'addome con la mano destra e indicando il corridoio bianco che sbocca sul campo con la sinistra.

«Dopo di te» mi sussurra all'orecchio, prima di spingermi in avanti e incoraggiarmi ad entrare in campo. Lo guardo, insicura, ma lui sorride e mi trasmette almeno un po' della sua sicurezza.

Mi incammino verso il campo, stringendo le spalle e torturandomi le mani, continuando a chiedere a me stessa cosa dovrei fare.
Paulo è dietro di me, ne sono sicura, e mi sta seguendo, ma nessuno dei due osa rompere questo silenzio quasi religioso che ci avvolge.

Mi prende la mano, la stringe alla sua, e accarezza il dorso con le dita, rassicurandomi, per poi cominciare a correre e trascinarmi dietro, con lui.

«Paulo, cosa stai facendo?» esclamo, standogli dietro a fatica. Dai pantaloncini neri, che gli arrivano poco sopra al ginocchio, si intravedono i muscoli tesi della coscia mentre corre e quelli del polpaccio.

«Fidati di me» quando arriviamo in campo, rallenta per poi fermarsi. Mi fa fare una giravolta, per poi ridere e fermarsi ad osservare lo stadio in tutte le sue angolazioni, spingendomi a farlo a mia volta.

«Chiudi gli occhi e immagina quarantun mila persone che ti guardano, che tifano per te, che pagano per vederti giocare al meglio» mi copre gli occhi con le mani, e io posiziono le mie sopra alle sue, cercando anche solo di immaginare quanto ciò che sta descrivendo possa essere esaltante. Se poi lo si fa ogni sabato, non riesco neanche a quantificare l'ebrezza che si prova.

«Ehi! Cosa ci fate voi due sul campo?» le mani di Paulo afferrano velocemente le mie e mi trascina di nuovo verso il corridoio, ridendo e correndo ancora più velocemente di prima.

«Chi era?» chiedo, già con il fiatone. Mi aspetto una battuta sarcastica da parte sua su quanto velocemente mi stanchi, ma stranamente sta zitto.

«Il custode» esclama in risposta, mentre sento degli altri passi dietro di noi. Seguo Paulo, fidandomi istintivamente di lui. Apre la porta di uno spogliatoio e mi fa entrare, poi la chiude dietro di sé, facendomi cenno di fare più silenzio possibile.

«Vieni, andiamo nelle docce» mi prende di nuovo per mano e mi guida per quell'immenso spogliatoio. Osservo i nomi dei giocatori, scritti sopra gli appendini, finché non arrivo al suo. Dybala.

«Oh, in quella foto hai ancora i capelli di un ventenne e non quelli bianchi di un sessantenne» gli faccio notare, guardando attentamente la foto.

«Ma guarda te! Ti faccio entrare e fare il tour dello stadio gratis e tu mi ringrazi con battutine di pessimo gusto» fa il finto offeso, per poi spingermi verso le docce.

«Sei sicuro che dobbiamo nasconderci qui?» chiedo, un po' in imbarazzo.

«Tanto non c'è nessuno, Jazmín, non hai niente di cui preoccuparti» sussurra, pochi attimi prima che la porta si apra e io mi affretti a nascondermi dietro il muro delle docce.

«C'è qualcuno?» chiede il custode, senza ricevere, ovviamente, alcuna risposta. Appoggio la schiena al muro e cerco di riprendere fiato. Paulo mi copre la bocca con la mano, cercando di non farci scoprire.

«C'è qualcuno?» ripete, sperando che qualcuno si faccia vivo.

«Mah» mormora, e fa partire l'acqua in tutte le docce dall'interruttore generale. Vedo che il ragazzo davanti a me sta per aprire bocca, così gliela copro come lui ha fatto con me. Geme quando l'acqua fredda gli bagna la schiena e le gambe, così si spinge sempre di più verso di me, schiacciandomi completamente al muro. Posso sentire letteralmente le mie guance andare a fuoco.

Ci guardiamo per un attimo, poi le luci dello spogliatoio si spengono e la porta si chiude, così come l'acqua.

Rilascio un sospiro di sollievo, allontanando la mano dal viso di Paulo e adoperandola per massaggiarmi le tempie, cercando di mettere insieme tutto quello che è successo nell'ultimo quarto d'ora.

«Ti puoi anche allontanare adesso» mormoro, spingendo via il ragazzo facendo pressione con le mani sul suo petto. Lui ridacchia, trascinandomi con sé lontano dal muro.

«Adesso vedi cosa si prova, stronza» ride sonoramente, poi riapre l'acqua gelata della doccia.

lollissimo

boh niente

commentate qui con la vostra scena preferita di questa storia fino ad adesso

ciaone🖤🖤

¡Mala Mía!paulo dybalaWhere stories live. Discover now