Capitolo 1

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Jorja Smith - The One

Quella sera quando rientrai Justin digitava al cellulare, mi diressi verso le ante dell'armadio con passi veloci e fin troppo insicuri. Era come se una parte di me aspettasse di essere fermata mentre recuperavo la valigia. Sotto il suo sguardo bruciante sulla mia pelle mi ripromisi di non voltarmi o la mia decisione sarebbe cambiata in un solo istante. Justin non accennò alcun movimento quando mi vide chiudere la borsa, non parlò ne tirò pugni al muro. Non gli importava, probabilmente. Strinsi la mascella e presi il cambio per fare una doccia calda, tra la mattinata passata a correre per scaricare i nervi e l'allenamento nella sede ne avevo proprio bisogno. Sbuffai e ricordai l'improvviso sfogo che avevo avuto al lavoro, camminando verso il bagno. Non ero riuscita a trattenermi e sotto lo sguardo delle altre ragazze, che avevano già saputo la notizia, ero scoppiata a piangere e avevo continuato per un'ora intera. La pesantezza nel mio petto non faceva che ricordarmi quanto stupida fossi stata a giustificare ogni suo cattivo comportamento. Cosa avevo fatto per meritarlo? Non eravamo mai stati una vera coppia ma sembravo non tenerlo a mente. Vederlo così, tra le braccia di una donna che non ero io mi aveva fatta crollare. Scossi la testa e scacciai i pensieri. Camminai lentamente verso il bagno, sentivo un peso nel petto impossibile da descrivere. Era straziante, una parte di me voleva fregarsene di tutto e tornare accanto a lui e l'altra me lo impediva. Lo aveva già fatto troppe volte, farmi star male senza un motivo e non poteva accadere di nuovo. Quando mi chiusi in bagno sentii i suoi sospiri dall'altra stanza, e non persi tempo ad aprire l'acqua calda. Volevo solo lasciarlo lì, in quell'hotel. Strappare quel contratto sarebbe stata la decisione migliore, sarebbe finito tutto. Mi spogliai ed entrai nella cabina e senza accorgermene le lacrime uscirono di nuovo e si mischiarono con l'acqua. Mi insaponai a rallentatore, con la vista appannata e senza forze, senza la più pallida idea di quale fosse stato il mio scopo adesso. E poi mentre mi piegai per raccogliere la bottiglietta del sapone alla vaniglia, l'unica cosa che vidi fu il buio.

Justin

Sbarrai gli occhi quando un boato proveniente dal bagno riempì la stanza. Cazzo. Prima che potessi rendermene conto raggiunsi la porta alla velocità della luce. Chiusa a chiave. «Yasmine!» urlai battendo pugni sulla porta ma non ricevetti risposta. Ne tirai alcuni più forti e ruppi il legno ma la porta rimase chiusa. Merda.
Mi passò per la testa di chiamare qualcuno ma la faccia di quel fottuto ragazzino dietro al bancone e Yasmine nuda nel bagno mi fecero cambiare idea. E poi ci avrebbero messo troppo e avrebbero fatto storie sulla porta.

Cercai nervosamente tra i suoi trucchi trovando una forcina e pregai Dio di ricordarmi come si facesse. Lo avevo fatto una sola volta, Jaxon giocando si era chiuso a chiave in soffitta, era rimasto lì per una decina di minuti e poi aveva iniziato a urlare.

Mossi la forcina nella serratura e dopo un paio di minuti la porta si aprì non dandomi nemmeno il tempo di gioire per la mia vittoria. Yasmine era nella cabina della doccia nuda, aveva la testa contro il muro, gli occhi chiusi e l'acqua era aperta. Merda.

Yasmine

Quel continuo "bip" era dannatamente fastidioso e suonava da così tanto tempo che era diventato odioso. Sentivo le palpebre pesanti e non riuscivo ad aprire gli occhi.
«Fatemi entrare» disse qualcuno che non riuscii a riconoscere.
«Non è l'orario delle visite, potrà ent--» la donna venne interrotta.
«Deve farmi entrare, cazzo!» un tonfo mi tolse il respiro ed il "bip" aumentò. Alcuni secondi dopo le voci si fecero più vicine.
«Che succede?» di nuovo quella voce e poi mi sentii afferrare. Qualcuno mi prese la mano ed in quel momento il mio respiro tornò, insieme al mio corpo. Aprii gli occhi e riuscii a sentire la gola secca anche senza parlare. La testa mi faceva davvero male e la vista era appannata. Mi guardai attorno cercando di orientarmi poi vidi delle persone con una mascherina sul volto. La presa sulla mia mano aumentò e tutto mi tornò alla mente. Mi mossi lentamente e avvertii un acuto dolore al collo nel voltarmi. Trattenni il respiro con gli occhi stretti. Justin era lì, con lo sguardo fisso sul mio volto e un sorriso malinconico. Mi schiarii la voce e cercai di parlare, doveva andare via.

«Signorina, come si sente?» domandò un uomo.
Stanca e delusa, senza speranze. Aprii la bocca per parlare ma non emisi alcun suono quindi cercai di agitare la mano, le dita si muovevano più lentamente del solito, erano come addormentate ma mimai un "ok".

Lui annuì e si voltò verso Justin.
«Hai un quarto d'ora» annunciò e uscì dalla stanza sbattendo la porta. Che fretta avevano tutti? Non volevo restare con lui dopo quello che era successo.
«Mi dispiace» borbottò, la sua voce era più calda del solito. Per cosa era dispiaciuto esattamente? Per essersi comportato male, per avermi illuso? Per avermi portata lì con lui? Per avermi fatto stare così male da svenire nella doccia? O perché ero dentro al letto di un ospedale senza forze?

«Ho sbagliato tutto, cazzo» sospirò con tono rauco. Qui quello che aveva sbagliato non era di certo lui, ero stata io che mi ero fatta abbindolare come un'idiota. Avevo creduto troppo in tutto quello che aveva detto, gli avevo raccontato parte della mia storia, l'avevo fatto entrare dentro di me.

«E ti chiedo scusa» fece e strinse di più la mia mano. Ero così arrabbiata con lui che se mi fossero tornate le forze gli avrei rotto il polso.

«Va via» riuscii a parlare anche se in un sussurro e con tono tremante. Mi imposi di guardare il muro bianco per non voltarmi, non avevo voglia di affrontare una delle nostre solite litigate e speravo che quella sarebbe stata l'ultima.

«Non vado finché posso rimanere» sussurrò.

«Va via» ripetei con tono più alto. Feci leva sulle braccia e mi misi a sedere, il dolore si fece spazio in tutto il mio corpo e mi morsi il labbro inferiore. Poggiai la schiena sui cuscini e tirai via la mano dalla sua con movimenti rallentati.

«Quando questa settimana passerà, sarà tutto finito. Non mi vedrai mai più» sbottai.

«Stai scherzando?» chiese con voce debole, nel profondo sentii qualcosa rompersi ma feci finta di niente.

«Yasmine» chiamò ed un brivido mi percorse la spina dorsale.
«Non puoi farlo»disse con tono tagliente. Scherzava? Oh sì, che l'avrei fatto.
«Lo farò» sussurrai e gli rivolsi un ultimo sguardo. I suoi occhi profondi puntati sul mio viso, le labbra screpolate dai morsi fin troppo rosse, carnose e attraenti. Le ciglia lunghe che facevano ombra sugli zigomi, il naso alla francese e i capelli biondi spettinati.
Presi un respiro profondo e pigiai il pulsante rosso accanto al letto, la campanella prese a suonare e pochi istanti dopo il dottore entrò nella stanza.
«Mi sento stanca, può farlo uscire?» domandai indicando Justin, sentivo la gola bruciare.







CE L'HO FATTA!
Con un ritardo clamoroso ma c'è l'ho fatta, ecco a voi il primo capitolo del secondo libro "Who We Are - Chasing The Clouds".
Cosa ne pensate?
Vorrei ringraziarvi per avermi sostenuto durante il primo libro, sono molto soddisfatta e spero che vi abbia lasciato qualcosa come lo ha fatto a me. Bando alle ciance, iniziamo un nuovo viaggio e spero di continuarlo con voi, questo libro sarà sicuramente più pieno del precedente e si affronteranno temi più forti, quindi consiglio di non fermarvi ai primi capitoli, ce ne saranno delle belle!
Spero vi piaccia come inizio, fatemi sapere cosa ne pensate.❤️

P.s. se volete spoiler, news, scleri, citazioni, noiose lamentele (ovviamente da parte mia mentre cerco disperatamente di editare una trilogia tutta insieme) ecc... potete trovare tutto qui:
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Vi aspetto!❤️📚

Who We Are 2 - Chasing The Clouds Where stories live. Discover now