Everything has changed.

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Primo squillo.

Secondo squillo.

Terzo squillo.

"Pronto?"

Appoggiai velocemente la cornetta alla cabina telefonica, chiudendo la chiamata.

Forse non ero ancora pronto per intraprendere una chiamata con lui, giusto?
Quando udii la sua voce, molto più profonda, più roca, il mio cuore perse dei battiti.
Nonostante non potessi vederlo, non potessi sapere cosa stesse facendo in quel preciso istante, percepii il vuoto in lui. La tristezza.

Presi di nuovo coraggio e digitai di nuovo il numero e richiamai.

Uno squillo.

Due squilli.

Tre squilli.

Quattro squilli.

"Vi state divertendo? Non ho tempo da perdere!" Sbottò.
"Sono io..." Dissi.

E poi il silenzio.
.

"Lou?" Chiese, nonostante fosse già ovvio.
"Si. Sono io."

E tornò il silenzio, quello assordante. Doloroso.

"È... è successo qualcosa?" Chiese con un velo di preoccupazione.
"No, niente. Volevo solo sentire la tua voce." Ammisi.
E poi lo sentii sospirare.
"Va tutto bene?" Domandò, nonostante anche quello fosse ovvio.
"No, non va tutto bene."

Non fece in tempo a rispondere che qualcuno lo interruppe, la voce di un ragazzo.
"Harry, Love. Sei sempre al telefono, andiamo sbrigati!"

"Louis io-." Provò a dire.
"Tranquillo, sei di fretta. Ci tenevo a dirti che sono felice che tu sia andato avanti, ciao Haz."
E ancora una volta chiusi quella dannata telefonata.

Mi buttai in terra e mi concessi il pianto.
Stetti seduto in terra per un tempo indefinito e mi piansi addosso.

Si aveva già fatto un'altra vita, era andato avanti e non lo potevo biasimare.

Erano passati tre mesi, 2190 ore, 131400, 144 minuti, 7884008,64 secondi.
Era più che comprensibile e decisi di lasciarlo andare, fargli vivere la vita al massimo.
Se lo meritava, per tutte le volte che mi aveva reso felice, per tutte le volte che mi aveva aiutato ad andare avanti, per tutte le volte che c'è stato.

Lui meritava che quella persona lo rendesse felice, come io non ho mai saputo fare.

In quel momento stavo provando tante emozioni, troppe, ma nei sui confronti non avevo un minimo di racore, nemmeno nei confronti del ragazzo che lo ha chiamato Love, nei suoi confronti provavo solo gelosia: perché al suo posto avrei dovuto esserci io.

Mi sollevai, spinto da quel briciolo di dignità che mi era rimasta, mi asciugai le lacrime, sorrisi amaramente e andai a casa.

Non mi chiusi in me stesso come avrei fatto qualche mese prima, no.
Stetti con la famiglia e lasciai che mi amassero, lasciai che la tristezza mi scorresse addosso, non dandolo a vedere.

Riuscii a godermi una serata tranquilla, riuscii a ridere e scherzare come mio solito e mi sentii sollevato.

Era tempo che anche io andassi avanti.
Non per ripicca.
Non per rancore.
Non per vendetta.
Ma per il mio bene.

Portrait. [L.S]Where stories live. Discover now