〚Il principio della disfatta〛XIII

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[Aggiornato e revisione in corso...]

I due scheletri procedevano a passo militare, l'uno a una cinquantina di centimetri dall'altro.
La meta? Nessuna.
Semplicemente camminavano, guidati da chissà quale voce che, come calamite, li attirava.
Dei candidi fiori di campo infestavano le morbide praterie che lì circondava, inghiottiti da un arcobaleno profumato.
Ink si guardava intorno meravigliato, mentre che Error faceva balzare lo sguardo fra i petali pastello, come se cercasse qualcosa.

Passarono così una buona mezz'ora, senza enunciare verbo, oltre al cinguettio di qualche rondine o passero a fare da sfondo a quella quiete.
Senza guardarsi, consapevoli di essere distanti quei cinquanta centimetri.
Che poi divennero quaranta, trentacinque, ventidue, sedici, otto...

Finché la distanza non si azzerò, e le loro falangi non si sfiorarono per pochi istanti.
Si staccarono all'istante, il minore scattò addirittura con un balzo all'indietro, sprofondando in un cespuglio di "occhi della mandorla" blu e rossi.
Lo scheletro nero rise, fra il divertito e l'imbarazzato, coprendosi la bocca con una mano per attutire i simpatici versi glitchati.
Il pittore gli lanciò uno sguardo assassino, con gli zigomi tinti d'arcobaleno.

«C'é poco d-da rid--EEECHI!» Cercò di replicare, prima di esser interrotto da uno starnuto.

Agli occhi del distruttore, quello era lo spettacolo più dolce e tenero che avesse mai visto.
L'anima prese a battergli forte e impetuosa nel petto, una sensazione nuova e velenoica lo catturò fra le sue grinfie.
La causa...
Qual'era la causa?

«Ok, ok. Non prendertela» Lo rassicurò Error, porgendogli la mano per potersi rialzare.

Ink lo liquidò, con ancora uno sguardo da predatore, a modo suo, ma al fine di rialzarsi afferrò la mano del compagno.
Un forte calore si espanse per i loro corpi, era impossibile ignorarlo.

«Be', n-non credo che questa timeline abbia qualcosa di particolare...per lo più sono solo campi e montagne» Sunteggiò lo scheletro nero, guardandosi intorno per l'ennesima volta.

Tutto pur di non sostenere lo sguardo di quel piccolo pittore dalle gote sempre più accese.

«Eri...eri mai entrato altre volte in quella porta, per poi uscirne da uno squarcio?» Domandò Ink, speranzoso di risposte positive.

Lo scheletro nero schioccò la lingua contro il palato in segno di negazione, socchiudendo gli occhi rivolti verso il suolo.

«Non entravo in quella "stanza" da molto tempo, francamente speravo di non rimetterci piede...» Sospirò con voce malinconica, perso in orribili ricordi che Ink non avrebbe potuto immaginare neppure spremendosi le meningi.

Ma che, in un certo senso, aveva vissuto anch'egli.

Calò uno strano e alternativo silenzio tra i due, un po' perché il pittore aveva paura di dire qualcosa di sbagliato e far strabordante dal lato sbagliato il precario umore dello scheletro maggiore, un po' perché quest'ultimo era troppo inghiottito nei ricordi.
Il nero che era divenuto sua carceriere.
Poi la stanza bianca.
Le voci.
Gli abomini.
I suoi vecchi amici...
Papyrus...
...
Senza rendersene conto un solitaria lacrima si incamminò lungo il sentiero occhio-mento, non passando inosservata al minore.

«E-Error?» Riuscì a dire, un po' sconcertato dalla strana piega che stava prendendo la situazione.

Il maggiore scosse forte il capo, uscendo da quello stato di trance.

«Oh, scusa...m-mi sono distratto, di che parlavamo?» Finse.

Ink lo guardò di sottecchi, Error chiaramente cercava di sviare il discorso. Ma decise di dargli corda, ne avrebbero discusso dopo.

ĪĿ ᑎƐŔO DƐĿĿ'ᗩŔƇOßᗩĿƐᑎO (ƐŔŔOŔĪᑎҠ)Where stories live. Discover now