Capitolo 1

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                                            Veronica

L'irritante ticchettio della penna sul bancone iniziava seriamente a darmi sui nervi.

Il locale era rimasto completamente vuoto, tranche per l'irritante ragazzo seduto in fondo al bancone, nel mio settore, obbligando anche me ad aspettare, finché non si deciderà finalmente ad alzarsi e a tornarsene a casa.

Continua a ticchettare nervoso con la penna, sta iniziando a far innervosire anche me.

''Allora, quello lo bevi, o cosa?", dico, indicando il bicchiere mezzo pieno di fronte a lui.

solleva lentamente lo sguardo e si guarda intorno, come se non fosse chiaro che mi riferisco a lui: è l'unico qui dentro, maledizione!

Sono le tre di notte e siamo in pieno inverno, non ha proprio niente di meglio da fare piuttosto che starsene qui?

E, ovviamente, il mio capo ritiene che sia scortese mandare via un cliente.

anche se sono le tre di notte.

anche se è pieno inverno.

anche se è mercoledì.

anche se domani ho l'università.

Stringo forte le mani a pugno per calmare la rabbia. Questi ricchi arroganti credono che tutto gli appartenga e tutto gli sia dovuto, che il mondo giri intorno a loro e poco importa degli altri. Poco  importa che io sia costretta a rimanere qui con lui, nonostante ho lezione tra cinque ore e mezza.

Lui se ne sta lì, con lo sguardo perso a pensare a chissà cosa, è ovvio che non gli importi fare tardi o saltare un giorno di lavoro, probabilmente nemmeno ce l'ha un capo che possa licenziarlo.

"Voi donne siete tutte uguali", sbuffa dopo un po'.

''Eh, no! Questa storia con me non attacca!''

Mi guarda perplesso.

''Lo so cosa stai cercando di fare. Tu vuoi abbindolarmi con le tue parole, raccontarmi la tua triste storia strappalacrime finché non finirò per provare pena per te e magari dimenticarmi che sono le tre di notte ed io sono bloccata qui solo ed esclusivamente a causa tua. Non ci provare, non potrei mai provare pena per te'', dico tutto d'un fiato.

Il suo sguardo si irrigidisce maggiormente.

''Ecco, questa è un'altra cosa che avete in comune: siete delle grandi stronze'', sentenzia. ''E sai una cosa? Posso esserlo anche io. Quindi, adesso portami un'altra birra''

''Ah si? E che ne dici se chiamassi il mio capo e gli dicessi che mi stai disturbando? E capisci cosa intendo'', lo sfido, poggiando le braccia sul bancone di fronte a lui e avvicinandomi leggermente.

''In quel caso chiamerei il capo del tuo capo, ma non ce ne sarebbe bisogno. Ce l'hai di fronte'', replica.

Arretro di scatto, come se mi avessero appena dato uno schiaffo.

Lo osservo meglio, come ho fatto a non riconoscerlo prima.

Bill Efron, così giovane e così ricco.

''Ma sai cosa? Io non sono uno stronzo''. Detto ciò, si alza poggiando una banconota da 500 dollari sul bancone accanto a me. Sta pagando nel suo bar e mi ha appena lasciato una mancia che vale più del mio stipendio settimanale.

Si alza barcollando e si dirige verso l'uscita, tirando fuori le chiavi dell'auto dalla tasca.

''Aspetta, dove vai?'', chiedo.

''Tolgo il disturbo, così non dovrai rimanere qui un attimo in più''

''Io, non volevo... non intendevo quello''

''Che c'è? Inizio a farti pena? O è solo perché hai appena scoperto che sono il tuo capo?'', ridacchia. Ma è evidente che non è una risata felice.

Inciampa nei suoi stessi piedi e se non fosse stato per il tavolo accanto a lui, l'avrei dovuto aiutare ad alzarsi.

''D'accordo, ti accompagno a casa''.

Non ascolto cosa risponde. Non so cosa mi sia preso, non è il primo e sicuramente non sarà l'ultimo ad uscire da questo bar triste ed ubriaco con la chiave di un auto stretta tra le mani. Ma non riesco a lasciarlo andare, in qualche modo temo per la sua salute. E' quasi incredibile che un uomo come lui, uno che ha tutto, si riduca così per aver perso una sola semplice cosa.

Afferro al volo la mia giacca e le chiavi del locale. Mi avvicino a lui e gli prendo le chiavi da mano.

''Mmm, una BMW, non ne ho mai guidata una, ma c'è sempre una prima volta'', gli sorrido.

La sua espressione non sembra preoccupata, nemmeno felice o triste; solo spenta. Come se dentro di lui non ci fosse niente più.


Dopo aver seguito le sue indicazioni e aver sbagliato strada un paio di volte, mi ritrovo nel parcheggio di uno dei grattacieli più alti di New York, in uno dei migliori quartieri della città. E mentre lo aiuto a reggersi in piedi nell'ascensore panoramica, la città si stende ai miei piedi. E' meravigliosa, più di quanto lo sia dal basso.

Ogni tanto Bill mormora parole senza senso, a volte sembra imprecare, altre piagnucolare. Quando arriviamo all'ultimi piano, l'ascensore si ferma e una signora dai capelli bianchi ci aspetta all'entrata. Indossa un completo nero, è evidente che sia stanca e preoccupata.

''Era al bar, non potevo lasciarlo guidare'', dico, come se mi sentissi in dovere di giustificare la mia presenza lì. Mi sento fuori luogo.

''Lasci, ci penso io'', replica la donna con un tono gentile.

''Nooo, tu vai a dormire, e tu vieni con me'', biascica Bill, sfuggendo dalla presa della donna e afferrando la mia mano.

''Andiamo signor Bill, sono sicuro che la signorina abbia di meglio da fare che occuparsi di lei'', replica.

''Non si preoccupi, ci penso io'', replico accennando un sorriso.

E mi chiedo quante volte abbia assistito ad una scena del genere, quante volte si sia dovuta alzare alle quattro del mattino per prendersi cura dell'uomo per cui lavora.

Sono quasi sicura di aver visto un sorriso compiaciuto spuntare sulle labbra di Bill, ma non vi presto troppa attenzione; mi avvicino a lui e lascio che mi guidi fino alla sua stanza, che, per la cronaca, scopro di essere quasi più grande del mio piccolo appartamento.

Una volta dentro, Bill non si avvicina minimamente a me, ma si dirige verso il suo letto, buttandosi sui soffici cuscini.

Pochi secondi dopo, dorme. Lasciandomi esterrefatta di fronte a ciò che ho davanti.

E' tutto surreale.

Guardo verso la sveglia sul suo comodino; sono le quattro.

Dovrei tornare a casa, ma non credo sia una buona idea tornare a piedi fino al mio appartamento a quest'ora e da sola.

Mando un messaggio alla mia coinquilina e l'avverto che non torno a casa.

Dopo tutto, che c'è di male nel dormire sul divano di Bill Efron per una notte? Cosa può mai succedere?




Lo scapoloWhere stories live. Discover now