"Ho bisogno di aiuto..."

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Alle sei in punto occupo il mio posto assegnato in tribuna allo stadium. La serata è fredda ma non troppo. Dietro a me, un paio di file sopra è seduto il presidente, con accanto la compagna e subito sotto Nedved e Marotta. Di fianco a me ha preso posto la figlia di Pavel, una bella ragazza dai lunghi capelli biondi.
La partita è iniziata da poco, lo stadio risuona dei cori degli ultras, il campo è perfettamente illuminato, tutto è al posto in cui deve essere, come sempre.
Solo io mi sento fuori luogo e fuori posto, abbattuta dalla stanchezza di questa settimana.
Paulo non è tra i titolari, siede in panchina, diversi metri più in basso dal punto in cui mi trovo. Segue attento le fasi di gioco, l'ho incrociato prima di salire in tribuna, prima che entrasse nello spogliatoio, tra noi solo uno sguardo, rapido, sfuggente e tormentato.
L'ho visto stanco, tirato, ma soprattutto stanco, del resto andata e ritorno dall'Argentina in due settimane per giocare poco più di tre minuti in nazionale non devono essere stati una passeggiata. Senza contare tutto ciò che si dice sui giornali riguardo la causa milionaria. No, non deve essere semplice vivere sotto i riflettori in questo modo, dopo che hai iniziato la stagione alla grande e per tutti non puoi permetterti un calo fisico o psicologico, tantomeno tutti e due insieme, in questo senso lo capisco e sono preoccupata per lui. Ma solo in questo senso.
La partita è ferma sul pareggio, 1-1 e sta quasi per finire. La tensione è presente e anch'io la sento, in fondo è sempre la mia squadra del cuore.
Dalla panchina il mister fa alzare Paulo per farlo riscaldare. Sento qualcosa agitarsi dentro di me, non so se lo manderà in campo ma personalmente mi auguro che la partita termini prima che lui possa effettivamente entrare.
Siamo quasi al novantesimo quando viene assegnato un chiaro rigore alla Juve. Nello stadio esplode il delirio. Anch'io infervorata dalla situazione mi sono alzata gridando rigore come se fosse questione di vita o di morte. Appena l'arbitro indica il dischetto d'istinto mi volto verso la panchina e vedo Allegri far segno a Paulo di entrare.
Nella mia mente appare il solito cartellone pubblicitario a luce Led di proporzioni smisurate che lampeggia con la scritta:"NO!"
Non sono il mister e quindi non ho potere decisionale sulla cosa. Posso solo guardarlo mentre si sistema maglia e pantaloncini e si avvicina al quarto uomo.
Lo guardò correre in campo. Non è la sua solita falcata, il suo solito andamento e in una frazione di secondo capisco che andrà a calciare il rigore.
Mi si ferma il cuore e mi porto le mani sul viso. Non posso parlare, non posso gridare niente in questo luogo ma nella mia testa, dentro di me le parole escono come un fiume in piena.
"NO! ti prego non andare a tirare il rigore...ti prego amore mio non farlo! Non farlo amore sei toppo stanco! Non sei lucido...AMORE NON CALCIARE! Manda qualcun'altro cazzo!"
Invece no, lui va dritto al dischetto, prende il pallone e lo sistema. Vorrei gridare, ma non posso, ormai ha deciso, nella sua testardaggine, nella suo dover essere sempre all'altezza, nel voler dimostrare a tutti che non è calato il suo rendimento, che la media gol rimane uguale, che può fare quello che vuole su quel prato e con quel pallone perché quella è la sua vera casa, ha già deciso, senza pensare ad altra possibilità.
Il cuore mi sta esplodendo, non vorrei guardare perché ho paura di aver ragione, di sapere come andrà a finire, ma alla fine non riesco a chiudere gli occhi, posso solo trattenere il respiro.
Parte con la rincorsa e io ho so! Dentro di me già ho capito che non lo farà quel gol, ed infatti il portiere para.
Lo vedo crollare in ginocchio e poi stendersi sul campo. Vedo piombargli addosso tutto, il peso dei voli transoceanici, gli allenamenti saltati, le emozioni che si è portato dietro dall'Argentina, vedo calare sulla sua schiena le ansie che deve gestire e i sentimenti che prova e ha provato tornando nel suo paese e ritornando a Torino. Vedo persino le parole che ci siamo detti, il veleno che gli ho riversato addosso per soddisfare la mia rabbia, non che ne sia pentita ma adesso so che ha un peso.
Quando si rialza, lentamente, dopo il triplice fischio finale dell'arbitro vorrei non vedere il suo volto su cui si vedono i segni di un crollo psicologico imminente se non già avvenuto.
Lo stadio inizia a svuotarsi immediatamente tra i rumori e le voci di disappunto. Solo Pavel ha la faccia di chi capisce cosa sta provando Paulo e me lo dice con uno sguardo.
Esco anch'io. Diretta verso il parcheggio ma una mano mi ferma, è quella di Nedved.
"Vieni con noi." Mi dice e non è una domanda ma una perentoria esclamazione.
Li seguo, giù per le scale verso lo spogliatoio. Non vorrei andare. Ma non ho scelta.
Nell'area mista i giornalisti stanno già facendo la ressa per le interviste.
Entriamo nello spogliatoio ed io mi posizionò nella zona massaggi senza varcare la soglia del vero luogo che appartiene solo a loro. Pavel e il presidente, aprono le porte, vicino a me si posiziona Marotta. Rimango ferma in attesa che le porte siano richiuse ma invece rimangono aperte.
Il mister sta parlando, la voce è alta ma non ci sono rimproveri, ci sono parole che spronano a migliorare, a rialzarsi subito. E in questo momento capisco perché le porte non sono state chiuse, perché in questa squadra si è tutti parte della stessa famiglia, si combatte insieme, si vince insieme, si perde insieme e ogniuno di noi è importante e in questi momenti dobbiamo esserci tutti.
Lo vedo seduto al suo posto, quello che ha la targhetta con il suo nome. Ha il torso scoperto. È piegato sulle ginocchia, tiene in mano un asciugamano bianco, ascolta, ma continua a guardare quella spugna come se quella potesse dargli una risposta. Si mette l'asciugamano sulle spalle e si volta a guardare Allegri dietro cui, poco più lontano ci sono io. I nostri sguardi si incrociano, il suo si fissa nel mio e viceversa.
In quegli occhi in cui ho visto molte cose ora vedo una traccia di sconfitta, delusione e senso di colpa e in quel momento capisco che il crack psicologico e' arrivato. Lo guardo volendogli dire solo che non si deve preoccupare, che non è colpa sua, che non è successo nulla in campo, fuori ancora non lo so. Mi fissa per qualche istante ancora con la palese scusa di guardare il mister, poi si volta, torna a guardare il pavimento mentre Max ha terminato il suo discorso.
Tutti indietreggiamo per poi prendere la via d'uscita. E le porte si richiudono. Anch'io vengo congedata e posso raggiungere la mia auto. Seduta alla guida, prima di accendere l'auto appoggio la fronte al volante e mi sento come un palloncino sgonfio.
L'omino inconscio che fino ad ora è rimasto in silenzio si fa sentire.
"È ora come la mettiamo con quello che hai detto?" Mi domanda.
Rimango un attimo spiazzata.
"Cosa stai dicendo? Che cosa avrei detto? Non ho parlato!"
"Non ad alta voce...ma lo hai fatto! Oserei dire che hai gridato!"
"Ma cosa ti stai inventando...per favore!"
"Devo ripetertelo? Hai rimosso di già? Le tue parole prima del rigore..."
"Senti, ho solo detto che non doveva andare a tirare...ho pregato mentalmente che cambiasse idea...ho solo detto: Am......"
Mi blocco! Ricordo immediatamente cosa ho gridato in modo silenzioso e solitario: AMORE MIO! L'ho chiamato così. E mi è venuto...naturale.
"ESATTAMENTE! Come la mettiamo?" Mi ripete la figura inconsistente.
"...non ne ho idea...ho detto per dire...sono cose che si dicono senza pensare.."
"E questo il punto! Hai detto una cosa vera senza mettere in mezzo la razionalità. Hai detto quello che provi veramente..."
Batto la testa sulle mani che tengono il volante. Questo stronzo inesistente ha stramaledettamente ragione. E io non posso più nasconderlo nemmeno a me stessa.
"Serviva una settimana di sofferenza è un rigore sbagliato per farti capire cosa provi?!"
"Io non posso provare questi sentimenti e lo sai bene!"
"Ci risiamo! Negare anche l'evidenza! Questo vuoi fare, perfino con te stessa...non puoi per una volta provare a essere "banalmente normale"? Non si può fare come fanno tutti? No! Per te è troppo complicato.."
"È complicato!!! Testa di cazzo! Ti sembra semplice?"
"Non diventare volgare! Non c'è nulla di così complicato...apriti!"
"A che cosa? A cosa dovrei aprirmi? A un rapporto inesistente? A un rapporto che soprattutto, NON può e NON deve esistere!? Dovrei fare questo? Trascinare un ragazzo, un uomo giovane che può avere tutto in una storia, in una relazione in cui io NON POSSO dargli tutto!"
Avvio la macchina e mi immetto nel traffico mentre il mio amico omino sta continuando a parlare.
"Non far finta di non ascoltarmi!!! Che cosa non puoi dargli? Pensi sempre a quello che non puoi dare...ma a quello che potresti offrirgli non ci pensi mai? E poi, non puoi saper che cosa vuole? Glielo hai chiesto?"
"Non glielo ho chiesto, no! E non voglio chiedergli nulla!"
"Tutto perché vuoi tenere per te il TUO segreto! Perché non deve saperlo più nessuno..."
Freno ad un semaforo rosso con troppa foga.
"SI! SI! È ancora SI! È una cosa che riguarda solo me!"
"Continui a vivere questa cosa come un MARCHIO! Come qualcosa da nascondere a tutti i costi, ma non è così! Sei tu che vuoi "isolarti", che vuoi restare sola con i tuoi fantasmi..."
"Riguarda solo ed esclusivamente ME!"
"Ma perché? Perché vuoi continuare a punirti...sei già stata punita a sufficienza! Datti la possibilità di vivere, almeno una possibilità!"
"Non con lui...si merita di..."
"Di più...e tu credi di non essere quel di più?"
"....non lo sono! Sfortunatamente non posso esserlo..."
"In realtà non lo sai..."
Il traffico scorre lento e io non ho più voglia di litigare con l'incosistente. Guardo scorrere la strada mentre il mio amico invertebrato rimane muto, imbronciato e con le braccia conserte.
Sono quasi le nove di sera e sto uscendo dal centro della città  quando il mio cellulare inizia a squillare. Attendo che il collegamento Bluetooth della mia auto si inserisca prima di rispondere.
La tecnologia fa il suo dovere e pochi secondi dopo, sul display appare il nome di chi mi sta chiamando. Per poco non sbando quando leggo "Paulo D." Chiamata in entrata.
L'omino si alza in piedi senza parlare e mi guarda con gli occhi minacciosi. Dentro di me la tentazione di non rispondere esiste, ma prende il sopravvento la consapevolezza del contratto che dice che devo essere " a disposizione" per la squadra.
Premo il pulsante di risposta alla telefono mentre il mio amico mi dice:"lascialo parlare..."
Lo ignoro, ma solo in parte.
"Pronto..." Dico solo questo, in un tono più freddo e distaccato di quanto potevo immaginare è un po' mi compiaccio con me stessa, ma non sono prepararata a quello che viene dall'altra parte.
"Caterina! Por favor non attaccare...ho bisogno di aiuto...sono appena tornato a casa...mia mamma sta male...non so cosa è successo...cosa devo fare...nn attaccare por favor!"
La sua voce mi arriva agitata e ansiosa, il discorso è sconnesso, il mio cuore inizia a battere più velocemente e la parte razionale, quella medica di me prende il sopravvento.
"Paulo calmati! Non attacco tranquillo...spiegami che cosa è successo..."
"No lo sabes Cate....sono arrivato a casa ora, non ho visto mia mamma e ho sentito un lamento,  sono corso in bagno e l'ho trovata stesa a terra..."
"Ascoltami, rispondi esattamente alle mie domande, dove e adesso tua madre?"
"È ancora a terra in bagno"
"È vigile? È sveglia?"
"Si, ora si,...è sveglia..."
"Bene, riesci a capire se ha dei dolori?"
"Si, dice che ha male alla pancia..."
"Ok...ha battuto la testa da qualche parte? C'è sangue?"
"No, non c'è niente...Cate, puoi venire? Ti prego...non so..."
"Sto arrivando, tranquillo, non sono lontano da casa tua...ascoltami, non la muovere, cerca di tenerla sveglia...aprimi il cancello, 5 minuti e sono lì...ok? Stai tranquillo!"
"Ok...fai presto..."
Faccio inversione velocemente, ho con me la mia valigetta medica, non la lascio quasi mai ma oggi sono felice di non averla dimenticata.
In pochi minuti sono davanti a casa di Paulo anche se la strada per arrivare mi è sembrata lunghissima.
Prendo la borsa e infilo il portone d'ingresso che è già aperto. L'ascensore e a piano terra e io in un attimo salgo e spingo il tasto dell'ultimo piano.
Quando arrivò la porta dell'appartamento è aperta.
"Paulo? Dove sei?"
Mi viene incontro.
"Sono qui...vieni"
Lo seguo nel bagno, quello in cui non sono mai entra, quello che serve gli ospiti.
A terra c'è una donna sulla cinquantina, forse qualcosa di più. Capelli neri, viso ovale. È molto pallida.
"Come si chiama?" Chiedo a Paulo che mi sta alle spalle mentre mi inginocchio di fianco alla donna.
"Alicia...si chiama Alicia..."
"Alicia? Mi sente...? Chiedo mentre mi tolgo il piumino che ho addosso per essere più libera.
Lei muove lentamente la testa e mi guarda con gli occhi socchiusi.
"Alicia, salve...sono la dottoressa Donati, Caterina Donati, ora cerchiamo di farla stare meglio ok?"
Lei continua a guardarmi, ora con l'occhio più aperto. Poi prova a parlare. Si vede che è molto sofferente.
"...e' un medico?..."
"Si, Alicia, sono un medico..."
"Così giovane e...così bella!..."
Rimango stupita dal commento che fa' anche perché mentre lo dice guarda il figlio come a chiedere qualcosa, ma ora non ho tempo di pensare a questo.
"Grazie Alicia...mi ascolti, riesce a rispondere alle mie domande?" Le chiedo mentre guardo la dilatazione delle pupille con la luce.
Prendo stetoscopio e il necessario per provarle la pressione.
"Si, ce la faccio..."
"Cosa è successo, riesce a dirmelo?"
Fa cenno di sì con la testa.
"Ho...iniziato ad aver forti dolori alla pancia...al basso ventre..."
"Aveva mai avuto questi dolori?"
"No, così no...mai"
"Poi cosa è successo? È venuta in bagno?"
"Si...dovevo..."
"Doveva urinare?"
"Si..."
"Ha avuto perdite di sangue urinando?"
"Si..."
"Una piccola perdita o una perdita consistente?"
"Una perdita...abbondante..." Mi dice forse un po' vergognandosi della presenza del figlio.
"Ok, il sangue era scuro o di un rosso vivo?"
"Rosso...vivo..."
Buon segno penso dentro di me, ma non dico nulla.
"Poi cosa ha fatto? Ha provato un po' di sollievo dopo la perdita?"
"Si, ma poco..."
"Si è alzata e poi?"
"Ho sentito un dolore più forte...tutto e' diventato nero..."
"Ed è...caduta...cosa ricorda di quando ha riaperto gli occhi?"
"Paulo...ho visto Paulo..."
" sente dolore se premo qui Alicia?" Le chiedo tastando l'addome, lei emette un lamento poi risponde.
"Si..."
"Ok...dobbiamo andare in ospedale Alicia, ci dobbiamo accertare di quello che è successo...ora le faccio un antidolorifico, così starà un po meglio..."
Prendo il necessario per aprire un accesso venoso sul braccio.
"Paulo, chiama il 118 e passameli al telefono...dovrebbero rispondere i miei colleghi..."
Lo dico in tono perentorio, come se fissi in sala operatoria o in ambulatorio dove è ovvio che tutti devono obbedire ai miei ordini. Non mi volto a guardarlo, non mi chiedo come sta, cosa sta provando, la mia mente, il mio essere è tutto rivolto a risolvere il problema di Alicia. Con la coda dell'occhio mi rendo conto che non sta chiamando.
"Paulo! CHIAMA!" Al tono della mia voce più alto di in ottava si muove immediatamente.
"Metti il viva voce..."
Obbedisce e si avvicina a me perché possa parlare mentre infilo l'ago nel braccio di sua madre.
"118...come posso aiutarla?"
"Buonasera, sono la dottoressa Donati....mi passi il pronto soccorso dell'ospedale Umberto I"
"La collego subito dottoressa...arrivederci"
"Salve"
"Umberto I....dottoressa Donati è lei?"
"Si, salve... Mandatemi subito un ambulanza"
Do all'operatrice l'indirizzo di casa di Paulo mentre preparo una siringa di antidolorifico per Alicia.
"Codice giallo, ma massima priorità....allertate la dottoressa Bernardi di ginecologia...sarò a seguito della pazienta, donna sud americana, sulla cinquantina, forti dolori addominali con perdita ematica consistente e successivo mancanza di conoscenza per un periodo non definito ritrovata svenuta dal figlio, ora cosciente ma con forti dolori, non rimossa dal luogo della caduta, possibili contusioni ma non apparenti fratture, segni vitali stabili, pressione 90/60...attendo operatori..."
"Ambulanza in arrivo tra cinque minuti dottoressa, allertiamo ginecologia"
"Grazie attendo"
L'operatrice riaggancia la chiamata e io inietto in vena il medicinale.
Paulo resta immobile in piedi di fianco a noi.
"Con questo dovrebbe stare un po' meglio Alicia..."
Mi alzo e prendo Paulo per un braccio portandolo fuori dal bagno.
È Scioccato lo so, lo vedo ma deve reagire.
"Paulo guardami!"
Lui fissa su di me i suoi occhi a fatica.
"Ascoltami, andrà tutto bene...ora apri la porta e tieni occupato l'ascensore, vuoi salire in ambulanza con lei?"
Non mi risponde. Mi guarda con gli occhi persi ma io ho bisogno della sua collaborazione.
Lo scuoto leggermente e lui sembra tornare in se.
"Mi hai sentito?"
"Si...si"
"Vuoi salire in ambulanza con lei? Io vi seguo in macchina..."
"No! Sali tu...è meglio se sali tu..."
"Sei in grado di guidare? Sei sicuro, Paulo se non sei sicuro di farcela vi seguo in auto...andrà bene, fidati...andrà tutto bene..."
Mi fissa per un istante a soppesare le parole che ho detto, poi vedo tornare un po' dell'uomo che conosco.
"Non credo di riuscire a guidare..." Mi dice, con lo sforzo di ammettere una debolezza.
"Ok, sali sull'ambulanza e io vi seguo con l'auto...ci sono le sirene...vai ad aprire"
È così fa. Io torno in bagno da Alicia che si lamenta un po' meno ma è sempre pallida.
In pochi minuti sento arrivare i paramedici con il rumore tipico della barella che si portano dietro.
Entrano in casa e arrivano a me tranquilli, con quel distacco tipico di chi fa il nostro mestiere ed è abituato a vedere di tutto e contro quel tutto deve mettere una barriera.
Illustro la situazione e ciò che ho fatto, conosco quasi tutti i ragazzi dell' ambulanza tranne il nuovo medico che è con loro.
Ma subito si presenta. Alessandro Manara. Lui sembra già conoscere il mio nome. Mentre gli spiego l'accaduto e perché sono intervenuta mi ascolta con attenzione. Mi sembra strano dover spiegare a qualcuno perché mi trovo in questa situazione ma lui mi precede.
"Non c'è bisogno che si giustifichi dottoressa Donati, da juventino so che ruolo ricopre all'interno della società e non mi stupisce trovarla qui perché allertata dal sig. Dybala...ha fatto un ottimo lavoro, complimenti..."
Lo guardò tendere la mano a Paulo che la stringe in maniera automatica e poi parlarmi con fare professionale ma con una sfumatura "maschile" che non mi sfugge ma che non so spiegare.
Effettivamente è un bel uomo, poco più che trentenne, viso regolare, capello scuri leggermente mossi, sopra il metro e ottanta di altezza, fisico atletico e asciutto, occhi scuri e labbra carnose su un sorriso dai denti bianchi e ben allineati, come direbbe Miranda un gran bel esemplare di maschio alfa! Si prevedono file di donne interessate al nuovo medico.
Ma in questo momento non ho tempo di pensare a lui.
I ragazzi hanno sistemato Alicia sulla barella e sono pronti a scendere. Paulo, ha infilato un giubbino scuro, io ho rimesso il mio e ripreso la borsa.
Scesi in strada lo guardo salire sull'ambulanza e lui mi manda uno sguardo che sembra volermi chiedere un mare di cose, alcune chiare, come la salute della madre altre che non riesco a comprendere.
In fondo alle sue pupille vedo qualcosa che si agita, qualcosa di legato alle emozioni ai sentimenti, ma non ho tempo di indagare. Salgo in auto e mi metto a seguito dell'ambulanza, tutto il resto dovrà aspettare.

Spazio autrice
Care amiche eccomi di nuovo a voi con un altro capitolo.
La storia sta evolvendo, ma come sempre non so dirvi come sarà l'evoluzione...☺️☺️☺️ di sicuro so che all'orizzonte c'è una svolta...anzi, ci sono delle svolte! Qualcuno mi ha chiesto se i due protagonisti riusciranno a viaggiare sugli stessi binari? Beh, diciamo che dovranno superare "orgogli e pregiudizi", fidarsi è svelare qualcosa di segreto che li tiene sospesi...
Mi auguro che la seconda parte di questa storia vi stia piacendo. Aspetto, con molto piacere i vostri commenti e le vostre ⭐️ come sempre vi abbraccio. Velmachelly

L'altro battitoTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon