Uno

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Quando sono da sola e il silenzio diventa assoluto, rivedo davanti agli occhi quella scena.

Quell'incidente, in cui ho perso mia madre.

*****

«Vedi di iscriverti all'università Emily.» Mi dice al telefono mio padre mentre, io, mi stropiccio gli occhi essendomi appena svegliata.

«Non c'è bisogno di dirmelo ogni volta papà.» Ribatto sbadigliando.

«Te lo ripeto continuamente perché lo dimentichi ogni volta!» Mi riprende mentre io scendo dal letto e mi dirigo in cucina, continuando a tenere il cellulare attaccato all'orecchio.

«Ehy pa'... torni a casa oggi?» Chiedo di punto in bianco mentre mi verso del latte in un bicchiere per poi riscardarlo nel microonde.

Tamburello le dita sul tavolo in cucina mentre aspetto una sua risposta, anche se la conosco già.

«Mi spiace tesoro... sto facendo un'importante viaggio di lavoro in Marocco.»

«Capito.» Come sempre non ci sarà.

«Non durerà molto. Sai che se potessi, mi precipiterei immediatamente da te...»

«Lo so. È solo che l'orologio a pendolo a forma di gatto che hai appeso in cucina mi guarda in modo inquietante.» Dico lanciando un'occhiataccia all'orologio mentre sento mio padre ridere dall'altra parte.

«Beh, presto non dovrai più vederlo, dato che all'università in cui andrai ci sono i dormitori.»

«Un lato positivo.» Lo sento ancora ridere e un piccolo sorriso spunta sul mio viso.

«Mi raccomando, non ti scordare dell'iscrizione!»

«Per la millesima volta, non me ne dimenticherò.»

«Lo spero. Ora devo proprio andare... Ti richiamo più tardi. Ti voglio bene.»

«Certo. Anche io ti voglio bene.» Attacca la chiamata.

Abbasso lentamente il braccio e appoggio il cellulare sul tavolo mentre vado a prendere il latte, che ho riscaldato, per fare colazione.

Un'altra giornata completamente sola.

Continuo a fissare l'orologio come se potesse attaccarmi da un momento all'altro e mi porto alla bocca il bicchiere di latte per berlo, per poi scoprire di averlo riscaldato troppo e scottarmi la lingua.

Tutta colpa di quel dannato orologio.

Mentre aspetto che il latte si raffreddi, il mio sguardo cade su una nostra vecchia foto di famiglia, posata sopra una mensola.

Ci siamo io e i miei genitori sorridenti, ignari della sofferenza che avremmo provato dopo.

Mi alzo e immediatamente giro la cornice, contenente la nostra fotografia, per non doverla più vedere.

Pensavo di aver detto a papà di non lasciare queste foto in giro, ma a quanto pare è troppo testardo e non mi dà mai retta.

*****

I marciapiedi la mattina sono sempre deserti, ma non posso dire lo stesso della strada, dalla quale sfrecciano centinaia di auto.

Camminare per strada di prima mattina non mi piace affatto, anche perché potrei dormire a quest'ora.

Sbadiglio mentre mi dirigo verso l'università che ho deciso di frequentare: l'USPA (università specialistica per avvocati).

Voglio tornare a casa il più presto, per cui accelero il passo e raggiungo l'università il prima possibile.

Appena varco la soglia d'entrata, mi accorgo di quanto l'università sia immensa e, dato il mio scarso senso dell'orientamento, sono sicura che mi perderò subito.

Il silenzio regna e comincio a chiedermi perché la segreteria non si trovi all'entrata.

«E ora?» sussurro a me stessa mentre comincio a vagare per l'università deserta. Possibile che non ci sia nessuno?

Non so come sia possibile, ma mi ritrovo a girare in tondo e a tornare al punto di partenza. Sbuffo.

«Serve aiuto?» Chiede una voce maschile facendomi soprassaltare. Mi volto e vedo un ragazzo alto, dai capelli neri che mi guarda con uno strano sorrisetto.

Che ha da guardare?

Nonostante non mi piaccia affatto la sua espressione, decido di chiedergli aiuto. Prima me ne vado da qui, meglio è.
«Sto cercando la segreteria.» Confesso mentre lui si avvicina me, quanto basta per farmi notare la nostra enorme differenza d'altezza.

«Ti ci porto subito. Seguimi.» Dice cominciando a salire la scale.

All'inizio rimango ferma, immobile, indecisa se seguirlo o meno, ma poco dopo, sbuffando, decido di seguirlo.

«Ti iscriverai qui, quindi?» Chiede. Potrebbe evitare di fare conversazione con me, voglio solo trovare la segreteria e tornare a casa il più in fretta possibile. Parlare con lui non fa parte dei miei piani.

«No. Sono qui come nuova bidella e devo chiedere alla segretaria il mio orario.» Ribatto ironica roteando gli occhi al cielo mentre lui accenna ad una piccola risata.

«Avremo una bella bidella allora.» Continua per poi fermarsi e indicarmi una scrivania. «Siamo arrivati.»

«Grazie.» Lo sorpasso e mi dirigo verso la segretaria per chiedere il modulo di iscrizione.

Mentre compilo il foglio riesco a notare con la coda dell'occhio che la segretaria è tutt'altro che interessata a me e che ha occhi solo per il ragazzo, che per qualche strana ragione mi sta aspettando. Ci mancava solo questa.

*****

«So dove si trova l'uscita, potresti smetterla di seguirmi.»

«Che c'è di male nell'accompagnarti fuori?» Chiede continuando a sorridere.

Quel suo sorriso non promette niente di buono.

Sospiro mentre usciamo dall'università.
«Siamo fuori, ora puoi andartene.» Dico voltandomi verso di lui, guardandolo decisa.

Lui, invece, si abbassa e raccoglie una pietra da terra.
«È stato bello aiutarti.» Conclude per poi lanciare il sasso contro una finestra, mandandola in frantumi, per poi correre via.

Rimango a bocca aperta, scioccata. Che accidenti gli è saltato in mente?!

Dalla finestra, per mia sfortuna, si affaccia un uomo, che è a dir poco furioso e io, come un'idiota, sono rimasta ferma al posto di andarmene come ha fatto quel bastardo.

«Nel mio ufficio!»

Questa non è la mia giornata.

Quel vicino irritante! (Da riscrivere) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora