Like Jason Bourne

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Stamattina ho fatto colazione a Reggio Emilia, in via Roma. Il bar era pieno di stranieri. C'era la musica alta, non riuscivo a farmi capire. Per avere un cornetto ho dovuto infilare un dito nella vetrina e indicarlo. Il locale era bello, ma senza il bagno. Anzi, c'era, ma stava di fuori. Quando ho chiesto la chiave, la barista mi fa: «Ti mando la ragazza». Ho atteso, e dalla cucina è uscita un'indiana bellissima. È rimasta a fissarmi, ha alzato un dito e ha detto: «Fai il giro del vicolo, ci vediamo lì.» Ho fatto il giro del vicolo. Quando sono arrivato lei era già sull'uscio, ho pensato: Cazzo, che veloce. «Il bagno è al secondo piano» ha detto. Ho iniziato a salire, lei m'ha afferrato un braccio. «Non puoi fare le scale.» «Non posso?» «Non puoi.» Ha chiamato l'ascensore per me. È rimasta lì finché non sono entrato. Allora ho immaginato di essere Jason Bourne, risvegliatosi da poco, magari a Zurigo. L'ascensore saliva lentissimo. S'è spalancato davanti al bagno. Sono entrato, ho fatto ciò che dovevo fare e ho aperto il rubinetto. Ma il sapone non c'era. Ho imprecato, piano però, metti che l'indiana era dietro la porta. Sono uscito, non era dietro la porta. Così ho trasgredito e ho preso le scale. Mentre scendevo, ho pensato che dagli appartamenti sbucassero delle persone pagate per farmi fuori. Jason Bourne memorizzava le vie di fuga in automatico, io no. Al piano terra non c'era nessuno. A parte una signora con una borsa enorme, è entrata di corsa, per poco non m'ha falciato. Ho avuto paura. Ho chiuso bene la giacca, ho sospirato e sono andato a scuola. Insomma, tutto questo per dire che ieri sera forse ho mangiato pesante.

On Writing - [1/8]Where stories live. Discover now