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"Anche io vengo da Heimaey, nel senso che il mio 'compagno' è il Beta del branco degli Ice Blood." Gael si irrigidì visibilmente. "Cosa? Tu hai un compagno? Allora cosa ci fai qui? Anzi no, prima dimmi come si chiama." Potei osservare la delusione trasparire dagli occhi di Gael e ciò mi fece male, un dolore che mai avevo provato nel profondo della mia anima. "Si chiama Ígor Aronsson. Tu lo conosci?" Gael fu lesto a rispondermi. "Certo, d'altronde c'è solo un branco su quella maledetta isola. È stato lui a rinchiudermi in una cella e a farmi cacciare via. Comunque, se hai già lui, perché mai te ne sei andata?" Se nella prima parte della domanda il tono fu ironico, nella seconda, esso venne intinto da una punta di astio che le mie orecchie non poterono fare a meno di percepire, chiaro e forte. Il mio istinto mi fece mettere sulla difensiva e sputai delle parole che in qualsiasi altra circostanza avrei pensato due volte prima di far uscire. "Me ne sono andata, come dici tu, perché sono stata drogata, picchiata e obbligata a lasciare la mia città per essere poi rinchiusa in una cavolo di camera isolata da tutti e senza la possibilità di trasformarmi, poi sono riuscita a fuggire e sono stata mesi in giro per le foreste a vivere di stenti. Lui ha cercato di togliere la mia dignità e la mia libertà, questo non è assolutamente quello che un compagno dovrebbe fare, ecco il motivo! " Fumavo di rabbia e fastidio in quel momento, ma non appena mi resi conto di ciò che avevo lasciato scappare dalle mie labbra, mi portai le gambe al petto, come per creare un guscio per proteggermi dallo sguardo giudicatore di Gael, ignorando il bruciore alle gambe. Respirai affannosamente, cercando di calmarmi e di sfuggire all'imbarazzo provocato dalla mia uscita fuori luogo. Potei giurare di avere le gote furiosamente arrossate, poiché sentii un insolito calore infiammarmi le gote e non seppi se per la vergogna o l'ira. Comunque, il risultato non cambiava. Osai rivolgere lo sguardo verso Gael e lo vidi con un'espressione diversa da quella che aveva mentre mi provocava. Scorsi dell'incertezza nei suoi movimenti inizialmente, ma poi l'indecisione venne sostituita dalla determinazione. Gael mi accarezzò i capelli, poi scese sulla schiena, mantenendo sempre un tocco rilassante e dolce, quasi come se mi stesse cullando per farmi addormentare. Non volevo la sua pietà, assolutamente, e per questo non reagii al suo gesto. Anzi, decisi di scostarmi, ancora piuttosto infastidita dalla situazione che si era venuta a creare. Gael, quindi, lentamente ritrasse la mano ed io mi alzai per uscire a prendere una boccata d'aria accompagnata da un suo flebile 'mi dispiace'. Aprii la porta e la feci sbattere con violenza, non curandomi del fatto che non fossi nemmeno a casa mia, troppo accecata dai sentimenti negativi che albergavano nel mio cuore. Rimasi sorpresa dallo spettacolo che mi si parò davanti non appena sorpassai l'uscio: il sole stava tramontando e tutte le sfumature dei colori più profondi si mescolavano in una tavolozza irreplicabile con tempere o acquerelli, che in quel momento mi riscaldò e tranquillizzò. L'aria frizzantina mi spettinava leggermente i capelli, ma non me ne curai affatto, troppo rapita dalla visione del rosa che si tuffava nel giallo e nell'arancione, mentre l'azzurro contornava solo in modo tenue quell'esplosione di vivacità, donando al paesaggio un aspetto etereo. Sospirando, mi stesi sul prato fresco, non lontano dall'abitazione, tra il frustrato, poiché non avevo la possibilità di allontanarmi senza incappare in qualche imprevisto, e il rassicurato, dato che non ero sola, nonostante quel qualcuno con me si fosse comportato da giudice supremo non conoscendo i miei trascorsi. Dovetti ammettere a me stessa che le sensazioni provate con Gael in quel poco tempo di conoscenza e vicinanza erano di parecchio più amplificate di quelle suscitate da Ígor in settimane di convivenza forzata, sia a Reykjavik, che a Heimaey. Era da tanto ormai che non reputavo più Ígor il mio mate e questa convinzione venne rafforzata dalle nuove emozioni sperimentate con Gael. L'approccio con il primo si poteva considerare violento, fatto di strette, colpi e graffi sanguinanti, volti ad imporre la propria autorità l'uno sull'altra, non c'era stato nulla di così delicato e tenero come gli sfioramenti con Gael, tocchi del tutto innocenti, ma capaci di provocarmi brividi e di farmi sentire sicura accanto ad una persona e non più costretta ad affidarmi alle sole mie capacità. Fu proprio questo a scombussolarmi, la consapevolezza di sentirmi totalmente diversa nei confronti di un individuo rispetto a tutti gli altri. Ciò mi spaventò nella maniera più assoluta, venni sopraffatta dal terrore che lui non avvertisse le mie stesse sensazioni e un freddo pungente mi penetrò fin sotto la pelle dandomi la percezione di mille spilli conficcati anche nei muscoli, ormai tesi all'inverosimile. Fu in quel momento che venni avvolta da dietro da due braccia possenti, ma morbide che mi circondarono le spalle. Gael, con il suo profumo di pioggia, mi aveva attirato verso di lui e aveva appoggiato il mento sulla mi testa. Io, cosciente, ma ancora provata da quell'attacco di panico fermato in tempo, appoggiai la fronte sui suoi avambracci. Cercai di rilassarmi ulteriormente spegnendo ogni collegamento con la realtà. "Mi dispiace così tanto. Non avrei dovuto dire quelle cose con il tono che ho utilizzato." Quelle parole sussurrate furono come un balsamo calmante per il mio stato d'animo agitato. Feci più pressione sulle sue braccia e portai le mie ad appoggiarmi contro di lui, segno di aver accettato le sue scuse. Gael, poi, riprese a parlare: "Dimmi solo una cosa, anzi puoi farmi anche un cenno. Non vuoi tornare da lui, vero? Non lo sopporterei se ti riavvicinassi ad Ígor, ma la scelta è tua." L'ultima frase fu esalata a voce ancora più bassa, come il più leggero dei fiati di vento, e rimase sospeso tra noi, in un eco le cui onde si erano infrante all'interno del mio cuore, donandogli nuovo battito vitale. Dopo qualche secondo, mi sentii pronta a rispondergli. "No, non tornerò da lui. Non dopo tutto quello che mi ha fatto passare, che ci ha fatto passare." Gael annuì, poi si spostò da me e mi si parò davanti, sorridente. "Entriamo dentro. Vorrai farti un bagno ed avrai fame. Non negarlo, ho sentito il ruggito del tuo stomaco a miglia di distanza." Io ribattei prontamente: "Il mio stomaco è nobile e non ruggisce, borbotta lievemente." Gael alzò un sopracciglio e scoppiò a ridere, immediatamente seguito da me. Insieme, quindi, rientrammo in casa, con una nuova spensieratezza che aleggiava intorno a noi.

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