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La mia routine in quei dieci giorni si alternò inizialmente tra uno sciopero della fame, la solitudine assoluta e i tentativi, seppur vani, di sfondare la porta. Ero troppo debole, anche in forma di lupo, dopo tutte le batoste che avevo ricevuto. Quando le guardie si accorsero che potevo ancora trasformarmi, non si limitarono più a buttarmi il cibo dalla piccola fessura della porta all'ora dei pasti, ma entravano in cella e facevano in modo che lo inghiottissi, a forza di colpi. Sapevo che le vivande contenevano il veleno, non lo nascondevano nemmeno, tanto che l'acqua era amara. Quindi, mi ritrovai costretta alla mia forma umana, in un processo doloroso di lenta guarigione, rallentato ulteriormente dalle percosse che ricevevo giornalmente e dal fatto che non potessi evocare il mio lupo. Inutile dire che il suo risentimento, ed il mio ovviamente, nei confronti di Ígor non facesse che aumentare e ciò non giovava in alcun modo alla situazione. Il legame si stava rafforzando, ma in modo del tutto antitetico al normale. Il naturale bisogno dell'altro era contrastato dai sentimenti negativi che albergavano nel mio animo, come una rosa selvatica che cresce alimentata dalla pioggerellina notturna, ma lei cui spine sono aculei sempre più affilati e robusti che finiranno per sovrastare e strozzare con la loro stretta mortale i vermigli petali del fiore. Mi rannicchiai sul letto in posizione fetale quando un'improvvisa fitta mi colpì allo sterno e al ventre. Lasciai un gemito di dolore fuoriuscire dalle mie labbra mentre sentivo le costole quasi stridere tra loro per tornare nella posizione normale. Era un'agonia che durava da ore e non capivo come Ígor potesse sopportare questa situazione. Non mi serviva la sua protezione, affatto, e neanche gliela chiedevo, ma mi appellavo proprio a quegli istinti naturali del lupo di salvaguardare la salute del suo compagno, evidentemente per noi non valeva in quel modo. In un primo momento me ne rattristai quasi, ma poi mi resi conto che nemmeno io seguivo il bisogno animalesco tipico del lupo di stare a contatto continuo con il suo mate, anzi, l'unica cosa che volevo era andarmene da quel castello e riacquistare la mia indipendenza. Quindi, il pensiero del mio obbiettivo fece infondere in me una nuova scintilla di speranza e, ignorando le sofferenze fisiche, mi alzai a fatica e mi diressi verso la porta per ascoltare il borbottio sommesso di alcuni guerrieri del branco. Riconobbi la voce squillante di Kim tra tutte quelle voci possenti. Stavano parlando del porto e delle prossime partenze delle navi per il rifornimento dei viveri. Mi accostai alla fessura della porta e vidi Kim con un ragazzo affianco che gli avvolgeva il braccio sulla vita di fronte a me, mentre due uomini dal fisico possente che mi davano le spalle. Quando il ragazzo accanto al mio amico mi notò, con un sorrisetto diede un leggero colpo all'anca di Kim, il quale alzò lo sguardo e, vedendomi, mi fece un occhiolino appena accennato per poi giustificarsi immediatamente con la guardia poiché 'gli era finito qualcosa nell'occhio'. Compresi che un'imbarcazione sarebbe partita la sera stessa per velocizzare il tempo del tragitto fino alla destinazione, che non avevo compreso, ma di cui non mi interessava assolutamente nulla. Un modo per tornare a casa lo avrei comunque escogitato. Aspettai fino a notte inoltrata, nessuna guardia venne a consegnarmi il pasto serale, quindi stavo fisicamente meglio. Non avevo programmato alcun piano, ma sarei riuscita a lasciare Heimaey a qualunque costo. All'improvviso, nel silenzio, si fece largo il rumore di una chiave girare nella toppa. Kim entrò nella stanza e mi scortò fuori, dove vidi anche il suo compagno. Mi avvicinai a lui e gli tesi la mano. "Alesha, piacere." Non appena me la strinse avvertii la stessa sensazione di fiducia che avevo provato con Kim la prima volta che lo avevo visto. Mi sorrise in modo gentile, in contrasto con il suo fisico prestante tipico di chi si allena assiduamente. "Elías, piacere mio." Kim ci interruppe dicendo: "Ragazzi, dobbiamo fare in fretta, la nave parte tra qualche ora, ma tu Alesha ti dovrai imbarcare tra poco se non vuoi che ti scoprano, ora stanno facendo l'ultimo controllo della merce, si riposeranno per un po' e poi partiranno, quindi muoviamoci per non destare troppi sospetti. Elías, tesoro, vai a controllare che sia tutto a posto, noi ti raggiungiamo presto." Il ragazzo annuì e se ne andò dopo aver dato all'altro un dolce bacio sulle labbra. Potevo sostenere che il loro fosse un vero legame tra compagni, gli sguardi traboccanti di affetto che si scambiavano parlavano più di mille parole.

"Kim, ma le guardie?" gli chiesi. Egli si limitò a rivolgermi un sorriso birichino e si limitò a dire: "Allucinogeni. Domani per loro sarà una brutta giornata. Dato che si sono fatti sfuggire 'l'ostaggio', verranno severamente puniti. Ah, stavo per dimenticarmene, tieni, ti ho portato qualcosa da mangiare." Mi porse un panino avvolto in un fazzoletto e una borraccia di acqua. Mi sembravano millenni che non bevevo acqua così fresca e dissetante. Mi venne un dubbio e gli chiesi: "Non è che tu ed Elías avrete problemi?" "No, tranquilla, nessuno sospetta di noi. Ci comporteremo normalmente d'ora in poi. Ti dico che ovviamente Ígor verrà a cercarti, ma farò in modo di esserci anche io." Lo abbracciai lievemente e subito la stretta venne ricambiata. Ci staccammo e iniziammo ad inoltrarci nei corridoi completamente bui se non fosse stato per le torce affisse alle pareti. Scendemmo le scale a punta di piedi e quando arrivammo al portone, vidi i corpi delle guardie scomposti ed ammassati gli uni sugli altri. Rubammo alcuni mantelli pesanti da dei ganci sulle pareti e, sconfiggendo il moto di repulsione per l'indossare un indumento appartenente ad uno sconosciuto, me lo avvolsi attorno al corpo per non farmi riconoscere nella remota possibilità di incontrare qualcuno lungo il tragitto verso il porto. Fortunatamente, i sentieri erano sgombri e giungemmo alla nave abbastanza celermente nonostante io facessi ancora fatica a spostarmi e a camminare. Comunque, strinsi i denti e sopportai fino alla meta. Una volta lì, attraversai il ponte di legno per arrivare all'imbarcazione. Esso scricchiolò e sentii un vociare in lontananza, quindi mi congelai sul posto ed attesi. Quando fu di nuovo tutto calmo, entrai nella nave e mi nascosi dietro ad un enorme ammasso di scatoloni. Era perfetto come nascondiglio, riparato da occhi indiscreti e con una finestrella che faceva penetrare la brezza notturna. La raggiunsi e mi ci affacciai. Kim ed Elías si erano fermati prima del ponticello. Quando li vidi, l'uno vicino all'altro, sorrisi loro e li salutai con la mano. Il più grande ricambiò il gesto, mentre Kim mi mandò un bacio volante. Ci saremmo rivisti. Ne ero sicura. Li vidi girarsi ed affrettarsi verso il castello. Io, allora, mi sedetti a terra e feci un respiro profondo, chiudendo gli occhi e strizzandoli per il dolore alle costole. Dopo quelli che mi sembrarono secoli, dettati da una profonda ansia, l'imbarcazione cominciò a muoversi e solo quando mi accorsi che eravamo al largo, mi rilassai e potei addormentarmi in pace.

P.s.; spero davvero che l'attesa sia valsa la pena.

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