Achille e Patroclo

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I due personaggi sono, caratterialmente, molto diversi tra di loro. Achille è irruento, impetuoso, aggressivo e sanguigno, Patroclo invece è dolce e buono.

Molti personaggi dell'Iliade lo lodano, come Briseide, che lo definisce "sempre dolce", e persino i suoi cavalli lo piangono, poiché era stato un buon auriga per loro. Un episodio che evidenzia la gentilezza di Patroclo è quello descritto nel libro XVI (versi 1-100), in cui egli corre in lacrime da Achille, dicendo che molti Achei stanno morendo in battaglia e altri sono feriti; si preoccupa, quindi, della sorte dei suoi compagni.

La storia del loro amore non ci viene esplicitamente riportata ma, tra le righe, se ne legge la profondità affettiva. Patroclo dovrebbe essere più anziano di Achille e quindi rivestire il compito di "Erastes" ed ovviamente l'Acheo ha il compito di "Eromenos".

In breve la narrazione che li unisce nelle pagine di Omero è la seguente. I due si recarono all'assedio di Troia, dove conquistarono gloria e rispetto. Quando Achille si ritirò dalla battaglia, Patroclo, indossate le sue armi, ne prese il posto, portando scompiglio nelle schiere avversarie e ribaltando le sorti della battaglia. Ma non tenne conto del consiglio dell'amico, ossia limitarsi a respingere i troiani dall'accampamento acheo, e questo ne causò la caduta.

In un primo momento Apollo lo stordì, colpendolo due volte e respingendolo alle mura di Troia, che altrimenti avrebbe conquistato, poi Euforbo lo ferì con un colpo di lancia e infine Ettore gli diede il colpo di grazia, trapassandolo con la lancia dalla propria biga.

Spogliato delle armi, il cadavere di Patroclo fu conteso dai due schieramenti nel corso di una lotta furiosa che si concluse solo con l'arrivo di Achille: al suo grido, i troiani fuggirono in preda al terrore all'interno delle mura della città. Sconvolto dal dolore, dopo aver organizzato i giochi funebri in onore del compagno, Achille riprese parte alla guerra.

Il primo indizio che abbiamo del loro rapporto amoroso, ci arriva dalla madre di Achille. Nelle pagine dell'Iliade, dopo la morte dell'amato, Achille è disperato. La madre Teti, una nereide che aveva sposato il mortale Peleo, e che era stata, suo malgrado, il fulcro dello scoppio della guerra di Troia, giunge a consolarlo sulle rive del mare, apparendo con altre dee, sullo stile di un "Desperate Houswifes" mitologico.

L'algida Teti, che ricorda molto la Bree del telefilm di cui sopra, perde per un attimo il suo carattere frigido e si lancia in un pianto dirotto, in acuti ululati, e con dolcezza e partecipazione cerca di distogliere il figlio dal lutto dell'amato.

La dea rimprovera dolcemente il figlio per il fatto di aver prolungato troppo la sua relazione affettiva con Patroclo, "devi continuare a vivere dimenticando Patroclo e prendendo moglie, com'è giusto che sia". Raggiunta la maggiore età, 18 anni, l'eromenes doveva infatti abbandonare l'erastes e prender moglie per metter su famiglia. Sembrerebbe quasi che Teti non approvi il rapporto omosessuale del figlio, ma a ben vedere, le cose stanno diversamente.

Se analizziamo le parole della dea scopriamo che non è un rimprovero al rapporto del figlio con il suo amante più anziano, bensì al fatto che Achille era talmente innamorato del suo erastes da aver prolungato troppo questo legame affettivo; tanto da non aver ancora preso moglie.

Una tacita conferma del carattere amoroso del rapporto. Teti, dunque, non accusa il rapporto in sè, ma invita il figlio ad accettare quella che, per i greci, era una regola naturale: bisogna porre fine alla fase omosessuale (di eromenes) e assumere il ruolo virile di capo famiglia.

Senza per questo riservarsi di rivestire i nuovi panni di anziano amante (erastes), trovandosi un giovinetto come compagno amato (eromenes). E il suggerimento pare sia stato seguito poichè si parla successivamente anche di Achille e Antiloco, e di Achille e Troilo.

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