Capitolo 2

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Continuavo a pettinare quegli ondulati capelli ramati, gli stessi che Germana mi aveva lasciato in eredità, mentre osservavo attonita l'immagine di me riflessa nello specchio del bagno.

Ero bianca e fissavo curiosa quel piccolo accenno di lentiggini che ricopriva le mie guance. Non erano tante, eppure apparivano sul mio viso come una magica costellazione.

La Emma che conoscevano tutti non era mai stata una persona egocentrica, ma fin da bambina avevo sempre desiderato sentirmi speciale. Così quelle poche volte che ero riuscita a giocare con la mamma, ci raccontavamo che tutti quei puntini sulla mia faccia non erano altro che un messaggio criptato da dover decifrare e la stramba voglia a forma di cuore che entrambe avevamo incisa come un tatuaggio, sul lato sinistro del petto, rendeva tutto ancora più magico.

Noi eravamo donne speciali. O almeno ci piaceva pensarlo.

Avevo sempre percepito di essere un po' svitata e forse lo ero per davvero, ma quel rapido ricordo mi fece sorridere.

Quella era una porzione della mia memoria che stipavo gelosamente.

«Emma hai finito?» sentii chiedere mentre quella che doveva essere la mano della mamma picchiava incessantemente alla porta del bagno.

«Sì, un secondo!».

Legai rapidamente la lunga treccia che pendeva sulla spalla sinistra e bagnai i polsi.

Ero agitata. Avevo un nodo enorme allo stomaco eppure cercavo di governare il tremore alle gambe, mentre la bile continuava a risalirmi lungo l'epiglottide.

Prima di aprire, mi guardai negli occhi e inspirai a fondo. Sarebbe stata una giornata pesante, ma avrei lottato fino allo stremo per arrivare illesa a fine serata.

«Puoi entrare» dissi a mia madre con voce dimessa. Non temevo un rimprovero, ma continuavo a pensare che a momenti avremmo detto addio a tutto quello.

Camminando a testa china per il corridoio, rischiai di investire Geremia che continuava a correre per casa avanti e indietro come un razzo.

"Beata ingenuità" mi ritrovai a pensare in quell'istante.

«Geremia dove hai messo le mie figurine?» gli urlava contro Mattia, provando ad afferrarlo.

«Ragazzi non fate baccano, sto cercando di pensare se dimentichiamo qualcosa» li rimproverò l'uomo i cui occhi erano identici a quelli di Mattia.

Zeno portava i suoi occhialoni da vista neri ed era incastrato nella sua rigida postura di sempre. Pacato e sereno, non si sarebbe smosso di una virgola neanche se gli avessero detto che il mondo stava per crollare.

A suo dire, aveva già vissuto abbastanza.

Creava cartoni animati e adesso grazie alle sue qualità di disegnatore e sceneggiatore, ce ne andavamo in Francia, dove aveva ricevuto un importante incarico. Lavorare con l'azienda più prestigiosa del mercato mondiale dei cartoon, doveva essere una gran soddisfazione per lui che ultimamente utilizzava il lavoro per nascondersi dalla rottura con la mamma. D'altronde accettava la proposta solo perché era stata Germana a decidere di partire per l'estero senza la sua famiglia e visto che ci ritrovavamo a Palermo solo per lei, quella volta avremmo ricominciato ogni cosa a modo nostro. L'avevamo sempre seguita ovunque andasse, ma era arrivato il momento di lasciarla volare via e fermarci in pianta stabile da qualche parte, per dare inizio ad una nuova vita. Di certo Zeno e la sua nuova occupazione non ci avrebbero più sballottato a destra e a manca. Papà firmava tacitamente i documenti della separazione. Adorava Germana, ma amare significava anche quello. Rinuncia.

A due passi da teWhere stories live. Discover now