Pan per focaccia - prima parte -

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Non sta succedendo davvero. La mia migliore amica non è gravida.

Non è possibile.

Insomma, è pieno il mondo di donne amorevoli che sono nate per essere mamme. Ma è impensabile che Dio - o chi per lui - abbia acconsentito a mettere un essere umano nel cantiere di Jules. La mia Jules. Quella che è materna come un sacchetto dello sporco.

Guido con l’agitazione che si spande nelle vene, chiedendomi come sia potuto accadere e rimpiangendo di aver dovuto abbandonare Alex con le sue succosissime labbra; abbassando il finestrino della Circe, con gli occhi piantati sulla strada, tengo una mano stretta con forza sul volante mentre con l’altra frugo nella borsa per estrarre una Marlboro e, con dita tremanti, la accendo, aspirando nervosamente.

Sono ormai a pochi chilometri da casa di Jules; avvicinandomi al suo palazzo, non posso non rimpiangere il fatto di aver abbandonato Alex nella nostra cucina, a petto nudo aggiungerei.

Ripensare alla mezz’ora trascorsa col mio coinquilino in una situazione di emergenza come questa mi fa sentire una persona orribile, ma non posso fare a meno di domandarmi se le costanti interruzioni non siano un modo dell’universo per farmi sapere che è il caso che lasciamo perdere. In fondo il mio desiderarlo con tutta questa costanza non fa che mostrare che razza di incoerente io sia: in poche settimane la mia intolleranza per Alex si è trasformata in lussuria. L’unica cosa che è rimasta invariata è l’intensità del sentimento. Per lo meno da quel punto di vista ho conservato credibilità.

Sono bravissima a rigirare le frittate, ma la verità è che non è solo il calore che mi provoca ogni volta che mi bacia a farmi sorridere: la sua strafottenza ora è diventata divertente, il suo senso dell’umorismo è ridicolo, il suo essere misterioso un costante stimolo. Ora Alex è una distrazione piacevole. Forse un po’ troppo, al punto che comincio a temere che potrebbe rammollire il mio spirito di stronza, ma non me ne importa nulla. Soprattutto non me ne deve importare ora: la mia testa deve restare concentrata su Jules e sul guaio in cui potrebbe essersi cacciata.

Ci sono momenti sbagliati per diventare mamma e questo non è decisamente l’anno giusto per Jules: lei e Cucciolo vivono in un costante stato di “ti-amo-ora-vai-a-farti-fottere”, la mia amica non ha un’indipendenza economica e non è ancora neppure una professionista riconosciuta dallo Stato. È troppo presto, è tutto troppo sbagliato.

Parcheggio l’auto dietro quella di Bet, proprio di fronte al cartello “Passo Carraio” del cancello di Jules e, contemplando la bizzarra idea di recitare il rosario in favore della mia amica riccia, mi attacco al campanello: pochi secondi dopo dall’altoparlante gracchiante esce la voce di Bet che mi apostrofa per il mio ritardo:

“Ce ne hai messo di tempo!”

“Aprimi, Bet.”

Lei esegue senza protestare ed io accenno una cosa che potrebbe essere classificata come corsa per raggiungere rapidamente la porta d’entrata. Aprendola, la prima immagine che mi si presenta davanti agli occhi è quella della mia amica riccia con il viso affondato nel collo di Bet.

Vedere Jules fragile non è qualcosa che mi capita spesso: proprio per questo, incontrando i suoi occhi scuri e lucidi di pianto, sento la gola contrarsi per la preoccupazione. Questa situazione è oltre le nostre possibilità: noi siamo tre ventiquattrenni - anzi, a dirla tutta Jules ne ha ancora ventitre - che giocano a fare le donne. Ma se la mia amica fosse davvero incinta?

“Che cosa faccio, ora?”

“Cerchiamo di stare calme.” le dico mentre Bet le sposta i ricci umidi di lacrime dal viso.

La mia richiesta non può che suonare ridicola, me ne rendo conto: nessuna donna al mondo di fronte ad un test positivo può mantenersi calma. Se poi la donna è una giovane legalmente adulta ma che della vita non ha ancora capito niente, il panico è la reazione più logica.

L'imbarazzante piacere del TuttoTondoWhere stories live. Discover now