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Continuavano a tremarmi le mani e sentivo come una specie di strano prurito, e neanche ne capivo il perché. Era una sensazione strana: mentre il pullman si dirigeva abbastanza lentamente verso la scuola mi perdevo nel guardarle tremare, poi alzavo leggermente la testa ogni volta che il pullman si fermava a un semaforo o altro. Ricollegai però anche una strana sensazione nello stomaco e non capii perché io, effettivamente, fossi così agitato. Una cosa però era certa e la sapevo bene: le mie mani odoravano di burro.

Finalmente, quel giorno, arrivammo a scuola dopo un viaggio a dir poco monotono che era durato poco più del solito. Il mio istituto era distante circa un'ora dal mio paese, perciò era davvero noioso un viaggio di quelli. Inoltre, non avevo occasione di parlare con qualcuno sul pullman, e a volte scrivevo testi di ipotetiche canzoni spesso anche molto stupide.
Poi, dopo essere entrato a scuola, non ne volevo più uscire. Non sopportavo il rimanere a casa per via della mia famiglia che, a dir poco, odiavo ma che ancora non potevo lasciare. Era il mio primo anno di superiori: stimavo che, appena le avrei finite, me ne sarei andato da .
Dopo un po' iniziarono le lezioni, e per gli altri io ero inesistente. Sarà stato per qualche motivo specifico che io non conosco, ma onestamente non me ne importava molto, siccome stavo bene anche da solo.
Mi strinsi nelle spalle e abbassai la testa incurvandomi leggermente, stringendo i libri al petto e sospirando, poi guardai verso le scale e salii lentamente da solo, anche se le lezioni sarebbero iniziate venti minuti dopo. Entrai nella mia classe, la terzultima di un corridoio lunghissimo e pitturato di un azzurro tenue, e notai che nessuno era entrato in classe. Mi guardai attorno, osservando la luce che filtrava dalle tapparelle semi-chiuse. Poggiai la borsa sul mio banco, in seconda fila vicino alla finestra. Accesi la luce e alzai le tapparelle, un po' come se fossi a casa mia, poi misi a posto qualche sedia e pulii la cattedra dal gesso con un fazzoletto. Successivamente, cancellai la lavagna e misi a posto un ripiano dell'armadio in disordine. Vidi alcuni libri dalle pagine strappate e le copertine sporche, ai lati, di macchie di caffè. Non potei evitare di sorridere, e poi riposi con cura quei libri rovinati, dopodichè mi tolsi gli occhiali tondi per pulirli bene, assottigliando gli occhi già piccoli e spostando lo sguardo verso la porta.

Cominciarono ad arrivare i primi miei compagni, e sorrisi ad alcuni di essi che ricambiarono con un cenno della testa: ero in buoni rapporti con tutti e non avevo nemici, ma neanche avevo amici. Mi sedetti con tranquillità al mio banco: effettivamente mi ero calmato un po', e notai che il tremolio delle mani si era affievolito molto. Cominciai a guardare fuori dalla finestra aperta, scrutando il clima sereno e odorando l'aria tranquilla che si trovava in quel posto, poi quasi subito dopo iniziarono le lezioni. Ero tra i più bravi della classe, ma passavo anche venti ore a studiare e quattro a dormire, pochissimo a mangiare avendo sempre lo stomaco chiuso: ed ecco perché ero anche così magro e spesso debole, uno stato che mi portava a prendere vitamine in caramelle.
Nessuno mi odiava, però, o almeno pensavo così, e anzi stavo simpatico ad alcuni, ma la simpatia si limitava al saluto o al sorriso, e magari a un "come va?" semplice e breve. A me, onestamente, non importava troppo avere degli amici, avendo il mio mondo. Non mi sarebbero comunque dispiaciuti, a dir il vero.
Dopo un po' le lezioni finirono, e mi sentii nuovamente male. Non so se fossero la puzza di urina o l'odore forte di plastica che aleggiavano nel pullman, o magari semplicemente la mancata voglia di tornare in quell'inferno che chiamavo "casa".

Dopo un'altra ora, tornai dunque a casa, ma al solito non vi era nessuno: e sospirai. Ero spesso da solo a casa, e sinceramente non me ne importava molto di stare con i miei austeri e crudeli genitori. A farmi compagnia c'era solo un batuffolo bianco sporco che correva verso di me, abbaiando e saltandomi addosso. Sorrisi e, dopo aver poggiato la borsa sul divano, mi sedetti per terra a gambe incrociate e accogliendolo tra le braccia. Il barboncino si arrampicò e mi leccò il viso, e cominciai a ridere.

<< Oh, no, piccolino, non leccarmi così! Mi sporchi poi... >> dissi inutilmente, accarezzandolo e prendendolo in braccio. Giocammo ancora qualche minuto, poi lo lasciai e mi diressi in camera mia, barcollando e scuotendomi dai peli della bestiolina. All'improvviso, vidi anche una lettera sulla scrivania della mia camera, e la guardai sospettoso. La afferrai delicatamente e lessi la calligrafia, riconoscendola, perciò feci un'espressione di disgusto e la strappai, buttandola. Un'espressione cupa mi modellava il volto, e mi buttai pesantemente sul letto, a faccia in giù. Rimasi per qualche minuto così, a riflettere. Ripensai a un po' di cose.

La mia vita era semplice, tranquilla, ma monotona. Vivevo nel mio mondo: ma ormai avevo imparato a conoscerlo e a conoscerlo sempre di più, fino a quando anche i miei interessi non divennero scontati. E allora, che mi rimaneva? Avrei veramente dovuto farmi delle amicizie? Alzai lo sguardo verso la portafinestra, notando che i miei capelli rimanevano fastidiosamente attaccati al volto per via delle lacrime che scorrevano lente, dalle guance lungo il mento e fino alle clavicole. Mi solleticavano ed ero riluttante ad asciugarmi, avendole trattenute per fin troppo tempo. Eppure non capivo perché io mi sentivo talmente triste da piangere così tanto, infatti poi piansi per la seguente mezz'ora. Quasi mi mancava l'ossigeno: non capivo cosa mi stesse succedendo, nè perché. Rimasi, come bloccato, a fissare il vuoto mentre queste lacrime scorrevano. Poi, sentii uno zompettare leggero e mi voltai verso il mio cagnolino.

Strinsi i denti, e guardai altrove come se mi vergognassi persino di lui. Mi morsi infine il labbro e poi mi alzai, affacciandomi fuori dalla porta finestra. Il mio viso era completamente rosso per via delle lacrime, ma non scottava, e anzi era umido e freddo per via del sudore e delle lacrime che erano cadute. Mi asciugai frettolosamente le lacrime, uscendo sul mio balconcino e appoggiandomi al davanzale, guardando lontano, verso l'orizzonte. Il sole era ormai tramontato e adesso era l'ora del crepuscolo. Aggrottai la fronte e mi diressi, deciso, verso il grande salotto. Mi guardai attorno e afferrai con rabbia una foto dei miei genitori che era poggiata sulla mensola. Mia madre, europea, aveva degli occhi molto belli, castani, che nelle foto spesso sembravano scintillare, e mio padre aveva invece un'espressione molto seria. Strinsi la foto, e sentii un fuoco ardere dentro di me. Lanciai un urlo di rabbia e scaraventai la cornice contro la porta, in modo che si rompesse il vetro e si frantumasse. Quest'ultimo si ruppe in poche scheggie, però alquanto grandi: il cagnolino cominciò ad abbaiare appena mi vide. Stavo andando in iperventilazione e tenevo gli occhiali sgranati sul vetro frantumato. Mi buttai in ginocchio, stringendo con rabbia una delle scheggie, fino a farmi male, poi alzai lo sguardo piangendo nuovamente.

<< Non sono più un giocattolo >> sussurrai infine.


○ buonasera a tutti!! innanzitutto scusate se non posto da tanto, ma ho avuto un piccolo blocco e anche qualche impegno, quindi mi ritrovo ad aggiornare solo ora !! spero che il capitolo vi piaccia, anche se ammetto che avrei potuto fare di meglio;; inoltre, vi ringrazio! ho visto che la storia sta avendo un buon successo, ancora molto ridotto ma sempre più sviluppato e sono onestamente molto contenta di questo!! keep moving forward!

- alice

yourself; hyungwonhoWhere stories live. Discover now