Capitolo 30

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Al mattino mi permisero di vedere Elpis dopo mille insistenze e blandizie, promettendo di non affaticarmi troppo e di non fare capricci, non potetti tenerla in braccio ma la riempii di baci e coccole mentre lei rideva deliziata e mi riempiva di allegria. Jean si assentava spesso senza darmi spiegazioni, io non gliene chiedevo più per evitare delle liti che inevitabilmente lo avrebbero allontanato da me, così i momenti passati insieme divennero ancora più silenziosi, talvolta carichi di tensione perché sapevo che durante il giorno era stato fuori casa e non potevo dire niente.

Mi potetti alzare dal letto solo quando la ferita si fu rimarginata del tutto, circa due o tre settimane dopo dato che le mie avventure, come si divertiva a chiamarle Sofia, avevano peggiorato la mia situazione drasticamente; ripartimmo dopo altri quattordici giorni a causa dell'insistenza di Sofia perché riposassi ancora, nemmeno Jean volle sentire ragioni sebbene ormai fossimo in ritardo di quasi due mesi sulla tabella di marcia. Quando arrivò il momento di salutarci non riuscivo più a fermarmi dal ringraziarla. Lei mi sussurrò all'orecchio prima di lasciarci andare:

"Non farlo arrabbiare troppo, si preoccupa per te."

Ci fermavamo spesso nonostante ripetessi a tutti quelli che viaggiavano con noi che stavo bene, lui mi faceva sdraiare comunque per controllare il taglio ormai cicatrizzato, anche se doveva sollevarmi di peso dal mio cavallo; io lo allontanavo con una risata sebbene quando poi mi toccasse sussultassi ogni volta per il dolore. Sapevo bene che a quel punto più che altro si trattava di un dolore fantasma, ma considerato quanto fossi stata sconsiderata nel prendermi cura di me e avessi superato un periodo di degenza nel Medioevo, non mi biasimavo.

Finimmo di avvertire i villaggi nel giro di un mese, la risposta rimase sempre la stessa e talvolta mi chiedevo perché ci ostinassimo a voler avvertire tutti. Quando raggiungemmo una zona di mare mi disse che avevamo finito ed eravamo lì per imbarcarci e trovare i miei amici: gli saltai al collo per la felicità e lo baciai d'impeto sulle labbra, gli altri che erano con noi fuori la stalla della taverna dove avevamo preso due stanze si misero a fischiare e fare commenti sulle attività di quella notte. Dormendo sempre all'aperto circondati dagli altri, non avevamo mai consumato il nostro matrimonio, non che l'avremmo fatto comunque, ma questo gli altri non lo potevano sapere, così secondo loro quella sarebbe stata la notte in cui il loro capitano finalmente poteva godere del corpo di sua moglie.

Nella locanda Jean mi chiudeva nella nostra stanza con Elpis durante il giorno perché non potessi uscire e stancarmi troppo mentre lui era in giro a cercare una nave che ci procurasse il passaggio . Un pomeriggio, alcune ore dopo pranzo, sentii la serratura scattare e mi alzai dal letto su cui ero sdraiata accanto a mia figlia che si era addormentata da poco. La porta si aprì rivelando Jean e Anchisie, entrambi con una faccia da funerale, che prima ancora di salutarmi guardò la bambina, non fu pronunciata una sola parola, nemmeno mentre l'uomo camminava verso il letto e sfiorava i riccioli della nipote. Solo allora lo fermai.

"Se dobbiamo parlare potremmo svegliarla, perché non andiamo nella sala sotto?" sembrava una proposta, ma non lo era.

Jean mi guardò severo ma non mi rimangiai quello che avevo detto, se fossi stata disposta a cedere quella volta e scusarmi per una richiesta più che ragionevole, cosa sarebbe successo le volte dopo? Avrei sempre chinato il capo e fatto quello che mi veniva detto? Mentre loro scendevano al piano inferiore io chiesi a uno dei nostri compagni di viaggio di restare con la bambina mentre dormiva, vidi che era tentato di dirmi di no, in fondo cosa avrebbe potuto fare in una stanza con Elpis mentre lei riposava, però dopo qualche secondo di tentennamento annuì. Avevano già ordinato due boccali di birra e l'aria che respiravamo si era fatta, se possibile, ancora più tesa, ovviamente non si trattava di una visita di piacere: perché dunque era lì? Attendemmo in silenzio, io giocherellavo nervosa con un filo della mia manica che avrei dovuto rammendare ma per la quale non trovavo mai il tempo, e Jean tracciava con l'indice le linee scavate nel tavolo di legno da precedenti avventori; quando l'uomo finalmente parlò si rivolse unicamente a Jean, lo guardava in viso mentre a me aveva appena degnata di uno sguardo da quando era arrivato.

Rintocchi d'eternitàWhere stories live. Discover now