Capitolo 2

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Viaggiammo a lungo e raggiungemmo l'entroterra, quindi Sparta. Mi sentivo un automa, ero seduta su di un carro con le mani legate morbidamente in grembo. Ci avevano spiegato da subito quale fosse la pena per gli schiavi che tentavano di scappare e non era poi una morte così allettante.

Fui condotta in una casa molto ricca dove fui affidata alle cure di una donna che mi sorrise con benevolenza, mi diede qualcosa da mangiare e dopo mi portò da un'altra donna che mi fece tutta una serie di domande per stabilire cosa avrei potuto fare per rendermi utile. Dedussi che si trattasse della moglie del padrone di casa, era vestita riccamente con un'acconciatura fatta di elaborati riccioli fermati sulla nuca con forcine di madreperla; poche rughe attorno agli occhi, due ambre luminose, e qualche linea d'espressione vicino alle labbra.

Decise che ero sufficientemente istruita da non dover grattare pavimenti e mi assegnò alla redazione delle sue lettere personali; non sapeva ancora niente della mia grafia ovviamente, a meno che non fosse migliorata miracolosamente anche lei nel viaggio mi sarei trovata ben presto a impastare la sbobba dei maiali. Le parve strano che sapessi scrivere perché allora era raro che una donna venisse istruita, ma non mi fece domande a cui non avrei saputo rispondere. Parlava con un tono calmo, di chi era abituato ad essere ascoltato, e la voce doveva aver avuto un ché di melodioso ai tempi d'oro della giovinezza, chissà chi aveva spento quel fuoco. Fui subito condotta in una grande sala stracolma di libri, altro segno evidente della loro ricchezza, dove mi misi subito all'opera con le pile di lettere già in attesa di essere affidate ad un messo. Funzionava forse meglio delle Poste in Italia? Probabilmente sì, qualsiasi cosa poteva essere più veloce di loro.

Quella sera, poco prima di cena, qualcuno entrò nella stanza e sollevai appena lo sguardo dal mio lavoro, solo quando parlò mi alzai in piedi dallo spavento: là dentro il silenzio era assoluto.

"Sei nuova qui."

La voce era delicata nel pronunciare le parole, profonda ma non troppo grave e si accordava benissimo con chi la possedeva: un ragazzo decisamente più alto di me dai capelli neri come la pece e gli occhi di un verde insolito, aveva le spalle larghe ed era evidente che non stesse con le mani in mano tutto il giorno, sembrava che avesse tutti i denti al loro posto e le labbra erano perfette. Un adone che se fossimo stati al liceo non mi avrebbe degnata neanche di uno sguardo, troppo occupato dallo stormo di ragazze che lo avrebbero di sicuro circondato ad ogni ora.

"Sono arrivata questa mattina." avevo uno strano formicolio alla bocca dello stomaco.

"Non sai che è educazione presentarsi?"

Avvampai fino alla radice dei capelli e lui sorrise accrescendo notevolmente il mio imbarazzo, possibile che io, una donna del ventunesimo secolo, perdessi l'uso della parola quando un uomo, bello come un dio (bisognava concederglielo) mi parlava?

"Mi chiamo Niche. Tu?"

"Davvero non l'hai capito?"

Mi guardai attorno come chiedendomi se avessi dovuto saperlo.

"Bene, non lo sai. Sono il figlio del padrone." sembrava quasi sollevato.

Volli seppellirmi viva, ma come potevo sapere chi fosse se ero arrivata solo quella mattina? Abbassai lo sguardo sul tavolo mentre lui si avvicinava, non volevo guai e dovevo trovare un modo per capire come fossi finita lì... non avevo proprio bisogno di un bell'imbusto spartano tra i piedi, anche se dovevo ammettere che era proprio affascinante.

"Facciamo così, dimentica chi sono e questa sera vieni a fare un giro con me in città." la proposta era allettante, ma sapevo bene che mi sarei cacciata solo nei guai, storie del genere finivano bene solo nei romanzetti della Harlequin.

Rintocchi d'eternitàWhere stories live. Discover now