Capitolo 10

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Partì al mattino senza clamore, non c'erano nemmeno i servi della casa a salutarlo. Il padre lo benedisse con un mezzo sorriso compiaciuto, forse inconsapevole che quello che credeva suo figlio sarebbe potuto morire, e la madre gli baciò la fronte come se così potesse donargli il qualche modo altra vita. Mi sovvenne il mito di Achille e la madre Teti che volle a tutti i costi proteggere il figlio, immergendolo nella fonte magica tenendolo per il tallone. Quale sarebbe stato il punto debole di Jean? Era umano dopotutto. I due si sorrisero perché entrambi sapevano cosa mi fosse capitato: Leta mi raccontò in seguito che il figlio era andato da lei la sera stessa in cui gli avevo fatto visita e si era fatto raccontare tutto.

Era difficile non saperlo più al sicuro in quelle mura così vicine e non facevo che distrarmi mentre lavoravo, persa nelle mie fantasticherie; rischiai di tagliarmi mentre affettavo della verdura e durante l'allenamento fui buttata a terra più e più volte da persone cui normalmente riuscivo a tenere testa più a lungo, non mi fu detto niente da nessuno, ma era più che era evidente che tutti gli altri si stessero chiedendo cosa avessi, lo capivo dalle occhiate veloci che si scambiavano, dai silenzi imbarazzati mentre mi rialzavo da terra.

Dopo che ebbi passato due giorni in quello stato mi preparai di nuovo a partire, ma questa volta con una meta meglio definita: avrei viaggiato con un vestito per non destare troppa attenzione, i pantaloni forse sarebbero stati più pratici e passare per un uomo mi avrebbe semplificato un po' la vita, ma un uomo sarebbe stato forse derubato, credendo che portasse con sé dei beni. Ma mi ero assicurata una lama corta sopra il ginocchio, tanto per evitare di essere impreparata nel caso in cui avessero cercato di farmi violenza. Misi tutto nella borsa con foga, asciugando con rabbia le sporadiche lacrime che cadevano perché stavo abbandonando di nuovo tutto per quell'allocco di cui mi ero innamorata.

Mi riempii la bisaccia di denaro e provviste, sapevo che quello che stavo per fare era folle, ma da quando ero piovuta là non facevo altro che complicarmi la vita. Viaggiavo in gruppi quando potevo, altrimenti mi muovevo di notte pregando che non incontrassi nessuno che mi ostacolasse e facesse del male.

Riuscii ad attraversare il paese in una sola settimana, seguivo la scia lasciata dall'esercito ed ero sicura che non mi stessi sbagliando: mi piangeva il cuore quando passavo per i villaggi distrutti e razziati dall'esercito, il più delle volte solo i raccolti venivano distrutti, ma mano a mano che mi avvicinavo alla città nemica trovai interi villaggi dati alle fiamme e dei corpi straziati pendere dai rami degli alberi. In quei casi non resistevo e dovevo andarmene prima che il mio stomaco cedesse miseramente.

Vidi il fumo e udii i rumori dell'accampamento prima ancora di vederne i limiti. Era tardo pomeriggio e quindi non potevo intrufolarmi e cercare la sua tenda, dovevo sperare che avesse un turno di guardia quella notte. In caso contrario avrei dovuto fargli la posta fino a quando non fosse uscito dall'accampamento, entrare lì sarebbe stato un suicidio. Mangiai qualcosa e riposai, dovevo essere pronta ad una lunga notte di veglia.

Calarono le tenebre e mi appostai su di un lato poco illuminato, senza sentinelle fisse, dove mi nascosi nella boscaglia circostante attendendo un qualsiasi segno di vita, quasi trattenendo il respiro per la tensione. Sentivo i rari rumori provenire da dentro l'alta palizzata in legno e soprattutto i rumori notturni del bosco alle mie spalle, alcuni mi facevano venire i brividi. Notai che le sentinelle passavano velocemente da quel lato e meno che sugli altri, probabilmente erano sicuri che da quella parte non sarebbero potuti venire attacchi.

Verso quelle che supponevo fossero le due di notte vidi passare quella figura che conoscevo bene, camminava con circospezione, guardandosi attorno, ma senza fermarsi. La sua ombra ad un certo punto cadde sul mio nascondiglio e cercai di essere ancora più silenziosa: probabilmente avrebbe potuto riconoscere un respiro di troppo nei suoni della notte. Attesi che fosse passato altre due volte per essere certa di non essermi confusa, ma quell'aria baldanzosa era proprio la sua, riconoscibile anche se illuminato appena dal chiaro di luna. Dopo mi appiattii contro la palizzata attendendo che tornasse per il suo ultimo giro di ronda. Quando lo vidi svoltare l'angolo inspirai e dopo trattenni il fiato aspettando che arrivasse più vicino. Una volta che mi fu davanti lo afferrai per un braccio spingendolo contro la palizzata, gli coprii la bocca perché non potesse urlare e gli dissi chi ero perché altrimenti mi avrebbe uccisa in un secondo: a mio favore avevo avuto solo l'effetto sorpresa.

"Stai buono Jean, sono io!"

Lui sembrò volermi urlare qualcosa perché cominciò a mugolare arrabbiatissimo contro la mia mano, la situazione si ribaltò in pochi millesimi di secondo e ben presto mi ritrovai compressa tra la palizzata di legno e il suo corpo, i suoi occhi dardeggiavano.

"Che diamine ci fai qui? Dovresti essere a casa con mia madre!" era ancora più arrabbiato di quando non lo fosse l'ultima volta che ci eravamo visti.

"Lo sai che non ci riesco, non sono tagliata per quella vita." sussurrai, altrettanto infuriata.

Alzò gli occhi al cielo sbuffando sonoramente e dopo, quando si fu allontanato un po', mi chiese:

"Come hai fatto ad arrivare qui? Dove hai dormito?" ora nella sua voce c'era una nota di apprensione e io sospirai mentre cercavo il modo di dirgli come ci fossi riuscita e cosa avessi visto senza farlo sentire in colpa. Mi chiedevo come potesse dormire notti tranquille con tutti quei morti sulla coscienza, come non potesse essere perseguitato dai pianti di tutti i bambini che aveva reso orfani.

"Ho seguito le tracce che avete lasciato." mormorai.

Vidi il suo sguardo incupirsi, le sue labbra serrarsi in una linea sottile, le mani stringersi in pugni così stretti da far sbiancare le nocche. Rabbrividii nell'aria fredda della notte.

"Forse dovresti tornare a casa, non sei tagliata per la guerra."

Stavo per dirgli che le sue parole erano ridicole, ero una donna. In quel secolo non ero destinata alla guerra, ma alla casa, al marito e ai figli.

Gli poggiai una mano sul braccio, ma lui si allontanò. Rimasi ferita da quel gesto e mi voltai per tornare nella boscaglia con passo leggero. Doveva tornare indietro, nessuno lo vedeva lì e normalmente ci volevano appena pochi minuti per coprire quel lato della palizzata, sarebbero potuti arrivare altri soldati. Lo guardai dal mio nascondiglio e al chiaro di luna lo vidi chiudere gli occhi e dopo aprirli di scatto. Tornò sui suoi passi quasi marciando ed io sospirai: forse venire lì non era stata una buona idea.

Girovagai lì attorno per alcuni giorni, non feci incursioni nel campo e mi limitai a guardare tutti gli andirivieni. Ero a meno di venti metri da lui quando uscì dall'accampamento armato dalla testa ai piedi, solo, il cuore mi saltò in gola per la paura, ma mi obbligai a calmarmi: non era un novellino in fatto di guerra.

Rintocchi d'eternitàOpowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz