Capitolo 8

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Il mattino seguente girovagai ancora un poco per la città, cogliendo l'occasione per vedere quello che la mia condizione di schiava mi aveva impedito di ammirare, ma all'ora di pranzo contemplai l'idea di intrufolarmi nuovamente in casa e rubare qualcosa, le poche monete che avevo sarebbero bastate appena per qualche frutto. Entrai nelle ore più calde, quando sapevo che sarebbe stato difficile trovare qualcuno in cucina, e subito mi diressi lì: non c'era nessuno nei corridoi e scivolai lungo le pareti cercando di non fare rumore, essere scoperta a quel punto avrebbe vanificato i miei giorni di assenza. Inoltre non ero troppo felice della punizione che di sicuro mi sarebbe toccata.

Stavo per afferrare del cibo quando mi sentii chiamare da Leta che era poco distante da me:

"Niche!" un sussurro incredulo, quasi di sollievo.

Sussultai spaventata e mi voltai pallida e tremante con tutti i muscoli tesi, pronta a scappare. Se anche Jean mi aveva insegnato a essere veloce, non aveva affinato il mio udito.

Fece un passo verso di me ed io ne feci due indietro, controllando che l'uscita più vicina fosse anche la più pratica. Gli occhi le brillavano di felicità e capii che non mi avrebbe tradita, abbassai la guardia e assunsi una posa più rilassata, lasciando cadere a terra la mia sacca.

"Perché sei fuggita? Ci hai fatti preoccupare, Jean ti sta cercando... fortunatamente mio marito non c'è." era evidentemente felice di rivedermi.

"Lo avete mandato voi a cercarmi?" mi ero calmata un po', il mio cuore aveva rallentato la sua folle corsa.

"No, è uscito come una furia appena lo ha saputo, ma da quando non ci sei ha gli occhi spenti, parla appena. Dice che se ti trovano ti uccideranno."

Sospirai e mi sedetti su di una panca poggiando le braccia sul tavolo e piegando la testa sconsolata, lei mi si affiancò e mi si sedette accanto cominciando a passarmi una mano sul capo e tra i capelli come fanno le madri, mi crogiolai in quella dimostrazione d'affetto a lungo.

"Perché sei fuggita? Non stavi bene qui con noi?" ripeté la sua prima domanda, parlava in un sussurro.

"No, qui stavo bene... è solo che..." non riuscivo a proseguire, una morsa mi stava serrando la bocca e un rossore traditore stava salendo velocemente dal collo alle mie gote.

Mi guardò negli occhi alcuni momenti come se dietro il mio sguardo si celasse il destino degli uomini e mi fece un sorriso di quelli che ti dicono che non sei riuscito a tenere nascosto nulla, era tutto chiaro, come sotto la luce del sole.

"È colpa di mio figlio, vero?"

Annuii vergognandomi non poco, volevo morire, non mi sembrava proprio il caso che lei lo venisse a sapere. Sospirò e si posò le mani in grembo, guardandole con gli occhi lucidi, mi chiesi cosa le stesse passando per la testa, ma non ebbi l'ardire di fare domande, non spettava certo a me. Cominciavo a chiedermi quando sarebbe tornato Jean, se mi avesse trovata lì molto probabilmente mi avrebbe uccisa con le sue stesse mani. Se Leta aveva ragione lo avevo fatto infuriare. Nuovamente fui impossessata dalla fretta, letale anche ai migliori ladri.

"Penso sia giunta l'ora di dirlo a qualcuno, di te mi posso fidare e il segreto mi sta mangiando viva."

La guardai con rinnovata curiosità, corrugando la fronte con espressione interrogativa sebbene lei non mi stesse guardando. Sentivo che mi stava per svelare qualcosa di vitale importanza e sperai che nessuno la interrompesse, per un momento misi da parte le mie paure.

"Diciotto anni fa, quando mi sposai, venni a vivere in questa casa. Io avevo la tua età e lui aveva sempre ospiti a casa, preso dagli affari che andavano a gonfie vele. Io all'inizio ero chiusa nelle mie stanze, talvolta vedevo mia madre, più di frequente le cameriere. Un uomo continuava a venire: era socio di Anchisie e commerciava con lui dalla Francia, per me era un posto esotico, lontanissimo, i suoi racconti e le sue attenzioni mi facevano immensamente piacere... eravamo giovani e io mi sentivo una reclusa. - sorrideva nel ricordare, doveva essere stata almeno un po' felice allora. - Restai incinta e non gli dissi niente, per Anchisie era il primo figlio, lui cosa avrebbe potuto fare per me? Ero la moglie di un altro uomo. Dovetti insistere molto per dargli quel nome, volevo almeno un ricordo di quel periodo, l'unico in cui sia stata veramente felice. Lo sai solo tu Niche." ad un certo punto aveva alzato lo sguardo e mi aveva trafitto con l'immensa tristezza e solitudine che vi potevo leggere chiaramente. Solo allora capii come si doveva sentire davvero quella donna.

Io non avevo parole, cosa dire ad una donna che aveva rinunciato ad ogni rispettabilità mettendo al mondo e crescendo un figlio illegittimo? Se fosse stata scoperta il marito l'avrebbe probabilmente uccisa, visto come portava avanti quella casa.

"Io... io non so che dire Leta." ammisi dopo qualche momento di imbarazzato silenzio.

Mi sorrise amorevolmente perché non aveva bisogno che le dicessi niente. Mi diede da mangiare e mi portò da una sua amica che mi prese al suo servizio con un sorriso.

Leta tornava ogni giorno per passare del tempo con me e ogni volta mi diceva come stesse Jean, sebbene non glielo chiedessi, e io ero contenta che stesse male, era la mia vendetta.

La vita proseguiva più o meno immutata, in quella casa mi ero fatta degli amici e con loro mi allenavo con la spada; non c'era un uomo in casa a vietarmelo poiché la donna era vedova e si divertiva a guardarci mentre duellavamo, gridando il suo entusiasmo e inspirando bruscamente quando sembrava che stessimo per farci male.

Alcune settimane dopo il mio arrivo in quella casa, mentre ero nella biblioteca a copiare qualche lettera, arrivò Leta di corsa, senza essersi fatta annunciare, quasi sul punto di scoppiare a piangere. La facemmo sedere e le demmo qualcosa da bere. Quando si fu calmata le chiedemmo:

"Cosa è successo? Perché piangi?" la mia nuova padrona le sedeva accanto.

"Jean... Anchisie l'ha convinto a partire. Ora che Niche non c'è si è lasciato convincere. Partirà domani." parlava a singhiozzi, il petto sqassato dai singulti e il viso ancora inondato di lacrime.

Dovetti sedermi perché mi sentivo venir meno: non poteva partire per una guerra che non era la sua, non poteva farmi questo. Anche se io e lui eravamo ai ferri corti. Se avessi potuto glielo avrei impedito, ma c'era il padrone in casa e Leta non me lo avrebbe certamente permesso.

Rintocchi d'eternitàWhere stories live. Discover now