15 (Parte seconda)

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«Beh, ci attende un lungo viaggio fino a Palash. Che ne dici di conoscerci meglio?».

Gleb inghiottì il boccone e restò con le mani a mezz'aria, la carne in una mano, il pane nell'altra. «I-i-io... io...».

«Sì, tu. Raccontami la tua storia, sono curiosa». «La mia... cosa?».

Shree sospirò. «Chi sei, che cosa ci facevi nella bottega di Leif...

roba così, insomma. Quel gran bastardo non era tipo da fare beneficenza o da accogliere con sé un eretico. La cosa gli poteva creare più di qualche contrattempo con la chiesa».

Al suono della parola "eretico", Gleb chinò ancor più la testa e la infossò nel petto. «Leif... lui era... lui era una brava persona». «Stiamo parlando dello stesso Leif, vero? Quello soprannominato il Marcio?».

«S-s-s... sì... io credo di sì».

«Ero sarcastica. E comunque, come fai a dire che era una brava persona? Ho visto come ti trattava».

«Mi dava da mangiare e... perfino qualche moneta, ogni... ogni tanto». «Ti sfruttava, Gleb».

Lo schiavo alzò le spalle. «Forse. Ma mi... mi dava comunque più di quello che... potevo avere in altri modi. Ne-ne-nessuno ci vuole più. Dicono che... che siamo responsabili della Morte nera».

«Lo so quello che dicono. Pare che siate stati voi a scatenarla». «Ma... ma io c-c-che c'entro? Io non... io non c'entro niente». Shree trovò che Gleb non aveva tutti i torti. E allora cambiò argomento. «Sei nato schiavo?».

«S-s-sì... non... non ricordo altro».

«Nemmeno quando...» e in un gesto di compassione evitò di finire la frase, limitandosi a indicargli la fronte.

Lui scosse la testa, portandosi una mano al viso. Fece per toccarsi, poi ci ripensò. La cicatrice risaltava lucida alla luce tremolante del fuoco.

«È stato doloroso, immagino». Annuì.

Pestilentia

«Non ho mai capito perché lo fanno. Che senso ha?».

L'altro si strinse ancora una volta nelle spalle, addentando senza troppa convinzione un pezzo di carne e poi un pezzetto di pane. «Forse vi vogliono umiliare. E fortuna vostra che per gli occhi viola non si sono inventati niente. La chiesa sa essere così crudele! Mi domando quando cominceranno ad accecarvi, per non far vedere il colore dei vostri occhi». Shree riprese a parlare rispondendosi da sola. «E intanto vi massacrano. In tempi bui la gente sopravvive come può. Questa è una guerra di fede, come qualcuno l'ha definita. E tu hai avuto la sfortuna di nascere dalla parte sbagliata».

Lo schiavo si limitò ad annuire. Shree ne ebbe quasi pietà e tuttavia non riusciva a condannare i suoi aguzzini. Gli eretici avevano iniziato quella guerra. Scatenando la Morte nera, avevano condannato il mondo, non solo i loro nemici. Non si poteva avere pietà di chi aveva colpito per primo, senza peraltro pensare alle conseguenze. «Che fine hanno fatto i tuoi genitori?».

«La Morte nera se... s-s-se li è portati via».

«Anche i miei. Avevo tre fratelli e cinque sorelle, tutti morti. Mio padre è stato l'ultimo ad andarsene. E non mi stupisce. Era una roccia! Muscoloso, forte, allegro; non ha mai permesso che il decadimento del mondo minasse il suo buonumore. Davvero un gran bastardo, ce ne fossero di più come lui. Quanto a te, se arriveremo a Palash che cosa farai?».

Gleb tornò a sollevare lo sguardo. Il fuoco gli disegnava giochi di luci e ombre su un volto infelice. Shree non dubitava che quelle labbra dovessero aver sorriso sì e no una mezza dozzina di volte in tutta la loro vita.

«Non lo so... forse... forse c-c-cercherò altri come me.».

«Ce n'erano anche a Valissa, ma non mi pare che ti trovassi molto bene con loro».

«Non... non li c-c-conoscevo. C'era... c'era un garzone che l-l-lavo-rava in una locanda. E... e qualcun altro... ma ho sentito dire che a Palash ci sono...».

«Ci sono?».

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Stefano Mancini

«Altri come me... ma c-c-con... con...» non sembrò in grado di riuscire a terminare, così si sfiorò la fronte all'altezza delle cicatrici. Shree annuì pensierosa. Aveva finito il suo misero pasto, ma aveva ancora fame. «Sì, ci sono. Si chiamano eretici. E, casomai dovessimo davvero arrivare a Palash, ti conviene starne lontano. È gente pericolosa, questo è quello che si dice nel mio ambiente. Ti ho detto che siamo in guerra e da quel che ho sentito i loro attacchi si fanno di giorno in giorno più cruenti. Pare che perfino nella capitale non si sappia più come opporsi a loro».

«È... è la mia gente», Gleb parlò con un filo di voce, come se stesse confessando il più atroce dei peccati.

Shree ebbe quasi difficoltà a sentirlo.

«Sì, ma è gente malvagia, che ha messo in ginocchio questo mondo. Qualunque cosa cerchi, non la troverai da loro».

Lui annuì, ma in maniera meno convinta del solito. Poi ingollò l'ultimo pezzo di carne e infine si distese. Qualche minuto dopo, russava in maniera quasi impercettibile.

Nel battere della pioggia, lei prese lo zaino e tirò fuori la reliquia della chiesa. Restò a guardarla domandandosi quanto ne avrebbe potuto ricavare. Vagheggiava di ricavarci abbastanza oro da comprarsi l'immunità alla Morte nera e avere ancora sufficiente denaro da trascorrere una vita dignitosa.

"Perché è così importante? Quale segreto nasconde?".

Non era abituata a farsi domande e la cosa la mise ancor più di pessimo umore. Tornò ad avvolgerlo in un panno e lo ricacciò quasi con rabbia in fondo allo zaino.


"Spero proprio che valga tanta fatica...".

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